sabato 3 settembre 2016

PRIMO PIANO

Il Sole 3.9.16
Madre Teresa diventa santa
Domani la canonizzazione
È uno degli eventi simbolo del Giubileo
di Carlo Marroni


La croce è piccola, appuntata sulla spalla sinistra, a sostenere il sari bianco bordato d’azzurro, la divisa delle Missionarie della Carità. È là, in un angolo, per chi la vuole vedere ma senza imposizioni. Eppoi non intralcia nel lavoro di assistenza ai malati, come accadrebbe con una croce tradizionale. Fu Madre Teresa di Calcutta, molti anni fa, a dare questa semplice spiegazione, ricordando che lei e le sue sorelle erano (e sono) accanto ai più poveri dei poveri, che in minima parte sono cattolici.
Domani la piccola suora albanese di nascita e indiana per sempre viene canonizzata da Papa Francesco: un evento-simbolo del Giubileo della Misericordia, che Teresa, nata Anjezë Gonxhe Bojaxhiu nel 1910 e deceduta nel 1997, incarna con naturale grandezza. L’esempio di vita di Madre Teresa di Calcutta, «testimone privilegiata di carità e di generosa attenzione ai poveri e agli ultimi, contribuisca a portare sempre più Cristo al centro della vita e a vivere generosamente il suo Vangelo nel continuo esercizio delle opere di misericordia per essere costruttori di un futuro migliore, illuminato dallo splendore della verità» ha scritto ieri Bergoglio nel telegramma inviato – tramite il cardinale segretario di Stato Pietro Parolin, che lunedì celebrerà la prima messa di ringraziamento – al simposio di Asianews all’Urbaniana.
Una santa certamente controcorrente, che ha sperimentato di sé i dubbi della fede, che senza strategie “organizzative” ha creato una rete mondiale che oggi conta su 5.300 affiliate presenti in 139 nazioni e sparse in 758 case: una macchina che tuttavia si regge non sulle impalcature tradizionali delle Ong, ma sull’amore per gli ultimi, («I poveri sono la riserva di umanità di cui tutti abbiano bisogno, la riserva della capacità di soffrire e gioire»), e sulla preghiera, a cui lei e tutte le affiliate dedicano almeno tre ore al giorno. Una forza che l’ha portata a dialogare con i grandi della terra, ad essere accolta da presidenti e re (la regina madre Sofia di Spagna era sua amica, e sarà a Roma), a ricevere un premio Nobel.
Un aneddoto straordinario ricorda come non si fermasse davanti a nulla, come quando nel 1986 papa Giovanni Paolo II, con cui ebbe un legame speciale, la inviò in Sudan dove la città di Juba, assediata, rischiava di morire di fame. Lei si presentò senza preavviso nell’ufficio dell’allora direttore dell’Onu nella capitale africana, Staffan De Mistura – lo straordinario diplomatico italo-svedese, che ha raccontato la storia, e oggi inviato per la Siria – e cercò una soluzione. Che lei trovò chiamando direttamente il suo “caro amico” presidente Usa Ronald Reagan, che in un baleno riuscì a sbloccare gli aiuti alimentari, paracadutati dal cielo.
«Madre Teresa aveva un sogno: quello di aprire una casa delle missionarie della carità in Cina. Questo desiderio non si è realizzato durante la sua vita. Ma speriamo che, se è volontà di Dio, possa avverarsi un giorno. Se Dio vorrà e se ci saranno le condizioni, saremmo felici di farlo oggi», ha detto Suor Mary Prema Pierick, la tedesca superiora generale dell’ordine, in una intervista a Vatican Insider. La religiosa è la terza superiora e risiede nella casa a Calcutta dove è sepolta la fondatrice, una costruzione su una grande arteria della metropoli, sosta di pellegrini di ogni religione, ma anche mendicanti di strada, e bambini.
«Madre Teresa diventa una fonte di ispirazione per tutti noi; dobbiamo guardare alla sua vita come un modello cristiano», ha osservati padre Brian Kolodiejchuk, postulatore della causa di canonizzazione di Madre Teresa e membro del ramo maschile dell’ordine, che tra l’altro ha curato il libro in uscita Il miracolo delle piccole cose (Rizzoli).
L’evento di domani sarà certamente uno dei più importanti del Giubileo: il portavoce vaticano Greg Burke ha detto che sono già stati distribuiti 100mila biglietti per la cerimonia, ma è possibile che il numero cresca. In ogni caso la cerimonia sarà trasmessa in mondovisione con il collegamento con 120 stazioni televisive, e saranno utilizzate tecnologie che permetteranno una ripresa panoramica ad altissima risoluzione di Piazza San Pietro che, dalla visione generale dell’intera piazza colma di fedeli, consentirà di zoomare sul volto di ogni singolo partecipante. Un Progetto promosso dalla Segreteria per la Comunicazione della Santa Sede. Massima la sicurezza sul terreno: la zona di San Pietro sarà suddivisa in tre aree, con controlli su persone e bagagli, secondo una logica di cerchi concentrici. A sorvegliare l’intera area dell’evento le squadre specializzate antiterrorismo Uopi della Polizia di Stato (Uopi) e dell’Arma dei Carabinieri (Api), mentre i Reparti Speciali assicureranno il servizio di pronto intervento. Già da oggi scatteranno limitazioni del traffico anche pubblico nelle aeree circostanti San Pietro e domani sopra il centro sarà chiuso lo spazio aereo.

Repubblica 3.9.16
Il libro del Cardinale Paglia
Il nuovo umanesimo di fronte alla fine
L’autore sa bene che i dubbi inquinano continuamente anche i credenti più fedeli
di Eugenio Scalfari


IL LIBRO che sto per recensire, edito da Piemme, è di 275 pagine intitolate “Sorella Morte” con il sottotitolo “La dignità del vivere e del morire”. L’autore è l’arcivescovo Vincenzo Paglia che è stato per molti anni il consulente ecclesiastico della Comunità di Sant’Egidio, ben nota per le sue opere di assistenza in Italia e all’estero. Una comunità molto diversa da tutte le altre che articolano la Chiesa nei suoi vari modi di rapportarsi alla società civile; forse quella che meglio risponde allo spirito cattolico, inteso nella sua essenzialità.
Paglia aveva già scritto vari libri ma, a mio avviso, nessuno di questo livello e su un tema così attraente per credenti e non credenti, scienziati, filosofi, medici, politici e anche quella che si chiama pubblica opinione: la dignità del vivere e del morire è un argomento fondamentale per tutti e «Sorella morte» non a caso è il verso più bello della Laude di Francesco d’Assisi: «Laudato si’, mi’ Signore, per sora nostra morte corporale / da la quale nullu homo vivente pò skappare».
Questo è l’inizio del libro. La parte finale merita anch’essa d’esser citata: conclude in modo alto una lunga e approfondita dissertazione che ha al centro alcune parole molto significative: eutanasia, suicidio, testamento biologico, omicidio legalizzato. Una delle frasi finali è questa: «Non si deve dimenticare lo scarto e lo scandalo che compongono la vita e la morte nel pensare e nel convivere umano. Potremmo dire che tutti, nessuno escluso, ci troviamo comunque davanti al mistero ed è proprio lo spazio del mistero che dobbiamo salvaguardare». Per un arcivescovo cattolico sarebbe stato facile risolvere il tema appellandosi alla volontà del Signore e al sollievo che la fede dà ai morituri sull’aldilà che l’attende e gli assicura la vita eterna; ma Paglia conosce bene che il dubbio inquina continuamente anche i credenti più fedeli all’insegnamento religioso e poi la nostra specie non è formata unicamente da religiosi, quale che sia la loro religione e l’aldilà che essa descrive.
Il libro prende in esame tutti i problemi che il vivere e il morire comportano, cita una quantità di scrittori che hanno approfondito l’argomento, di leggi che nel tempo l’hanno disciplinato e perfino di stragi e di guerre che l’hanno consapevolmente utilizzato. L’atteggiamento dell’autore penetra così profondamente nelle varie tesi da identificarsi con alcune di esse e da condannarne senza appello altre. La parte finale del libro, che ho già citato, espone proprio l’essenza che anima l’autore: «È lo spazio del mistero che dobbiamo salvaguardare». Il mistero, la cui soluzione è l’amore. «In questo passaggio della storia è indispensabile un’alleanza tra tutti, per individuare un orizzonte comune ove iscrivere il senso del vivere e del morire».
Queste parole richiamano l’insegnamento di papa Francesco, che Paglia evidentemente condivide: la sua modernità, la visione di Cristo come amore, fratellanza, scambio reciproco e concetto della misericordia come dono e non come perdono. Questo è l’insegnamento di Francesco e questo è lo spirito che il libro di Paglia esprime.
***
La questione dell’eutanasia è uno dei temi centrali di questo libro poiché con quella parola si analizzano vari problemi. L’esame comincia fin dall’introduzione che prende le mosse da un’opera poco nota che Paglia utilizza con dovizia. L’autore è uno scrittore svedese, si chiama Carl-Henning Wijkmark e il nucleo del suo pensiero è contenuto in un romanzo dal titolo La morte moderna del 1978.
Un gruppo di uomini di legge discute sul crescente tasso di morte delle persone anziane e sulle ripercussioni di questo fenomeno sull’economia capitalistica. «Abbiamo un’esplosione di anziani», constata il moderatore del dibattito e prosegue: «Avremo presto bisogno di più morti, ma come fare? La radice del male non è che l’eutanasia sia illegale ma che lo sia perché pochi la chiedono». Dunque per superare questa difficoltà bisognerebbe convincere i politici, le famiglie, i medici e possibilmente gli anziani stessi ad affrettare il più possibile la “buona morte”, ed ecco perché l’eutanasia è al centro del dibattito.
Forse la fede religiosa, di tutte le religioni ma soprattutto di quella cristiana, dovrebbe incoraggiare le persone anziane ad affrettare la loro scomparsa in vista di un aldilà eterno e beatificato dalla presenza di Dio, ma in realtà questo fenomeno non avviene: accettano più serenamente di altri la morte quando viene, ma non fanno nulla per affrettarla, a meno che la sofferenza fisica e psicologica non diventi insopportabile. In ogni caso tuttavia si scontrano con la resistenza dei medici la cui deontologia professionale consente di alleviare il dolore con apposite medicine ma non di procurare la morte.
Su questo tema si svolge una parte notevole del libro di Paglia. Ho notato che l’autore talvolta parteggia per l’una o l’altra tesi che si fronteggiano e che condanna ovviamente quelli che affrontano le stragi razziste del nazismo con un uso deturpante il concetto di eutanasia. Pensate fino a che punto può arrivare una mentalità sconvolta dal potere, dal razzismo, dal piacere della crudeltà. Paglia – razzismo a parte – analizza una serie di opinioni concernenti la sua ricerca del rapporto tra vita e morte. C’è anche una pagina in cui viene citato il brano di un mio libro nel quale paragono la morte di Voltaire a quella di Pascal e dopo averne dettagliato le differenze spiego perché tra quelle due morti io, nonostante il mio pensiero illuminista, preferisca la morte di Pascal a quella di Voltaire.
A quel punto Paglia compie una svolta fondamentale che in realtà è il centro di tutta l’opera: il rapporto di vita e morte nella predicazione di Gesù nella sua settimana di passione e poi nella crocifissione e nella resurrezione che ne segue; il suo rapporto con gli apostoli e la funzione di Paolo nella fondazione dottrinaria del cristianesimo. Sono a mio avviso le pagine più belle e drammatiche perché fortemente drammatico è il tema. A me piace soprattutto il racconto di quanto avviene nel Giardino di Getsemani, quando Gesù accompagnato da alcuni degli apostoli, a un certo punto si apparta e prega in ginocchio e tra le lacrime Dio Padre. «Se vuoi, Padre mio, allontana da me l’amaro calice che dovrò tra poco bere, ma se non vuoi lo berrò fino in fondo». Tre volte pone la domanda, che resta tuttavia priva di risposta.
Il tema tuttavia si ripropone quando Gesù, ormai sulla croce, interroga a sua volta il Padre: «Perché, Padre, mi hai abbandonato?». Non c’è nulla di nuovo in questo racconto di Paglia, ma il tocco con cui lo ripropone sottolinea con molta efficacia letteraria un punto di fondo del cristianesimo: Gesù è figlio di Dio ed è Dio anche lui, un’articolazione del Dio trinitario, ma è anche figlio dell’uomo come raccontano i Vangeli, sente tutte le umane passioni e le varie tentazioni che vince con la sua natura umana e non con quella divina. Sotto la croce – ricorda l’autore – gli apostoli non ci sono, salvo il giovane Giovanni e le donne che seguono Maria. E poi la resurrezione, con un Gesù trasformato in Cristo che risale al cielo lasciando sulla terra come eredità ai suoi apostoli l’amore verso Dio e verso gli altri, i poveri, i deboli, gli esclusi.
Il libro però non finisce qui. Esamina congiuntamente i due temi dell’amore e della morte, che ovviamente riguarda tutti i viventi di varie o di nessuna religione. E quindi i sentimenti di amicizia, di odio, di accoglienza, di guerra. Quali che siano le persone viventi e quali che siano i sentimenti che tutti animano, la morte verrà per tutti e tutti lo sanno.
Lo sanno, ma mi sembra che quando quell’evento capita agli altri, non siano particolarmente scossi, spesso anzi se ne tengono lontani e si autodifendono con l’indifferenza. Questo è il finale del libro che qui voglio citare. «Il rarefarsi della compagnia ai morenti è uno dei motivi del decadimento della dimensione umana del vivere. Tornare a riflettere su questa dimensione dell’esistenza significa iniziare a ritessere quel nuovo umanesimo di cui tutti abbiamo bisogno per vivere meglio e per morire degnamente».
IL LIBRO Sorella morte. La dignità del vivere e del morire di Vincenzo Paglia (Piemme, pagg. 275, euro 17,50)

Il Fatto 3.9.16
Parola di Renzi: se vince il No rimane tutto com’è
Il premier: “Non c’è una invasione di cavallette, non c’è la fine del mondo”
di Wanda Marra

qui

Corriere 3.9.16
Cernobbio
Referendum, Renzi frena: se vince il No, non c’è la fine del mondo
Il premier interviene al Forum Ambrosetti e ammette: c’è stato un eccesso di toni
per responsabilità diverse, anche mie
di Mario Sensini

qui

il manifesto 3.9.16
Referendum, anche il No è “normale”
La terza svolta di Renzi: "Anche se il Sì viene sconfitto non ci saranno le cavallette". Aveva detto: "Il paese sarà ingovernabile"
di Andrea Fabozzi


ROMA Matteo Renzi ieri ha parlato del referendum costituzionale durante il suo intervento a porte chiuse nel forum Ambrosetti di Cernobbio. Ha detto che «se vince il No non c’è la fine del mondo, non ci sono le cavallette. Semplicemente resta tutto così». Un’affermazione a prima vista banale; per essere apprezzata fino in fondo va messa a confronto con quello che il presidente del Consiglio ha detto negli ultimi tre mesi. A giugno: «Se passa il no l’Italia diventa ingovernabile, ci sarà sempre un inciucio, una larga intesa, un accordo. E in Europa non ci fila più nessuno». A luglio: «Sinceramente, chi può pensare che in caso di no al referendum il presidente del Consiglio e anche il parlamento non ne possano prendere atto?». Ad agosto: «Se vince il no ci sarà instabilità, distruzione della prospettiva di crescita e anche il rischio, se si guarda ai sondaggi, che il M5S possa andare a guidare il paese». Ieri, quando ha spiegato che se vince il No «non cambia niente», Renzi ha aggiunto che sul referendum «c’è stato un eccesso di toni per responsabilità diverse, anche mie».
Che il parlamento non dovesse più «prendere atto» – cioè andare a casa – dell’eventuale vittoria del No, Renzi lo ha già corretto una decina di giorni fa alla Versiliana: «Si vota comunque nel 2018». In più ha fatto capire che magari neanche lui si dimette: «So cosa farò ma non ne parlo più». È costretto a rovesciare completamente la campagna elettorale per il Sì, per la quale pure paga (il Pd) il super consulente americano. Ma ha un problema: si era spinto così avanti nella personalizzazione del referendum, aveva spiegato così bene che si trattava di un voto su di lui e sul suo governo, che ogni correzione è inevitabilmente una ritrattazione. Forte il rischio di disorientare gli elettori: «Se perdo vado a casa», «Non sono io che personalizzo ma i miei avversari», «ho sbagliato a personalizzare».
«Ha sbagliato a personalizzare» adesso lo dice anche David Serra, anche lui ieri a Cernobbio. Il finanziere che di Renzi è amico e sostenitore economico continua però a vedere le cavallette: «Con le regole vecchie abbiamo perso, se le regole non cambiano avremo instabilità e il capitale vola via» dice lui che di mestiere gestisce un fondo speculativo e ha sistemato una sede alle Cayman.
Più aggiornata alla nuova narrazione è la ministra delle riforme Maria Elena Boschi, che pure era stata la prima a spiegare «senza ipocrisie» che il referendum sarà sul governo. Ora dice che «tra Sì è No la scelta è di tutti noi: tutti siamo padri e madri costituenti». Secondo Boschi «bisogna arrivare preparati e informati a questo appuntamento con consapevolezza di quello che siamo chiamati a decidere, che è anche una grande responsabilità». Il governo verrà incontro: «Il nostro obbiettivo principale in queste settimane sarà cercare di dare degli strumenti di informazione per rendere tutti più consapevoli su quello che siamo chiamati ad affrontare e scegliere insieme, per non avere qualcuno che poi il giorno dopo possa pentirsi della scelta fatta magari anche non partecipando e decidendo di rimanere a casa». Si sa che il governo spera in una partecipazione alta per favorire i Sì. La prima tappa di questa operazione pedagogica sarà martedì, quando Renzi tornerà ospite di Porta a Porta. E mentre il conduttore Vespa assicura che «nelle prossime puntate le ragioni del No avranno lo stesso trattamento di quelle del Sì», i dati dell’Autorità sulle comunicazioni continuano a testimoniare uno squilibrio nelle tv (Rai e private) nell’ordine del 60 a 40 in favore del Sì. Anche perché non c’è la par condicio: il governo ritarda nel fissare la data del voto e così non siamo ancora, formalmente, in campagna elettorale. Dalla festa dell’Unità il presidente del senato Grasso si augura «una comunicazione il più possibile uguale per entrambe le posizioni».

Il Fatto 3.9.16
Forum di Cernobbio
Banchieri e capitani d’industria compatti per il Sì

Élite finanziarie e industriali compatte a supporto di Renzi e del suo referendum. È quanto emergerebbe da un sondaggio condotto dall’agenzia Ansa a Cernobbio tra 27 manager, imprenditori e banchieri. Tra i nomi figurano Gianmaria Gros-Pietro, presidente di Intesa Sanpaolo, Francesco Starace, ad dell’Enel, Gabriele Galateri di Genola, presidente di Generali, Emma Marcegaglia, presidente dell’Eni, Piero Gnudi, presidente dell’Ilva, Maximo Ibarra, ad di Wind, l'imprenditore del caffè Riccardo Illy, gli ex ad di Unicredit Federico Ghizzoni e Alessandro Profumo, l’ad di Deutsche Bank Italia, Flavio Valeri e Renato Mazzoncini, ad del gruppo Fs. Tutti gli interpellati hanno dato un giudizio positivo sull'intervento del premier e dichiarato che voteranno sì al referendum costituzionale
di novembre. Gli imprenditori individuano inoltre negli incentivi e nel taglio delle tasse alle imprese la priorità verso cui dovrebbero concentrarsi le risorse della legge di stabilità (76,9%) mentre taglio dell’Irpef, flessibilità in uscita per le pensioni e piano casa e infrastrutture hanno ricevuto ciascuno solo il 7,7% dei consensi.