sabato 3 settembre 2016

ITALIA

il manifesto 3.9.16
La decrescita infelice
Pil a zero, il governo è fermo
Crisi. L’Istat conferma la crescita zero nel secondo trimestre del 2016 e ritocca a +0,8% il dato annuo. Male l'industria, i servizi insufficienti. Il governo smart si ritrova in una palude. Per Renzi l’Italia prosegue una «lunga marcia» nella stagnazione: «Il Pil va meglio, ma non significa che va bene»
di Roberto Ciccarelli


Il cavallo è stremato e si rifiuta di bere: la crescita nel secondo trimestre del 2016 (aprile-giugno) è zero anche se ieri l’Istat ha rivisto al rialzo la stima di crescita del Pil del secondo trimestre 2016 rispetto al secondo trimestre 2015. In base ai nuovi calcoli, la crescita acquisita per il 2016 è salita allo 0,7 per cento (era stimata allo 0,6). Sull’anno il Pil è allo 0,8% e non allo 0,7% indicato in via preliminare il 12 agosto scorso. La revisione al rialzo non è tuttavia bastata a far scattare il segno più nella variazione congiunturale. In euro il Pil è salito rispetto alle stime diffuse il 12 agosto scorso di 213 milioni: passando da 389,022 miliardi a 389,235 miliardi. L’Istat ha ritoccato anche il livello del Pil relativo al primo trimestre, la base per calcolare la crescita (da 388,988 miliardi a 389,147 miliardi). Il guadagno ha assottigliato il margine di aumento registrato nel secondo trimestre. A questi calcoli è appeso il governo: ogni variazione millesimale è un colpo al cuore. Solo ad aprile aveva previsto nel Def la crescita all’1,2 per cento del Pil, ora è allo 0,8 come nel 2015. E c’è una cattiva notizia: con questo ritmo la crescita dell’1,4% preventivata per il 2017 sarà una chimera. Le previsioni del governo sono tutte sbagliate, la sua corsa sta finendo in una palude.
Nelle ultime tre settimane, tra palazzo Chigi e viale XX settembre, c’è stata la danza del decimale per allontanare questo spettro. Il ritmo è stato così indiavolato che martedì 30 agosto dal ministero dell’economia hanno anticipato di 72 ore la stima dell’Istat. Stima che di solito resta segreta fino alle 10 del giorno in cui viene comunicata. L’impazienza, per non dire il nervosismo, del governo sono arrivati al punto da prevedere una crescita di segno positivo nel secondo trimestre capace di raggiungere l’agognato 1% sul Pil annuo. Nelle slide presentate da Renzi tre giorni fa per illustrare i risultati dei suoi primi 30 mesi compariva una crescita all’1%, immancabile. Aneddoti che vanno oggi ricordati come un tentativo di ipnotizzare la realtà. I dannati fatti economici continuano a non rispondere al premier. Un tempo Renzi aveva la passione per l’ornitologia fantastica. Ieri ha lasciato in pace i gufi e ha parlato di ciclisti che si rialzano in coda al gruppo che corre verso il nulla.
Le previsioni del Mef sono state smentite dall’Istat e la crescita non allieterà gli spiriti a Natale. Il saltino dello 0,1% è dovuto all’aumento congiunturale del fatturato dell’agricoltura e dei servizi. Quest’ultimo è stato evocato dallo stesso Renzi per dare una ragione al suo slide-show. Purtroppo c’è stata una controspinta: i servizi finanziari e assicurativi si sono mossi in direzione opposta a quella auspicata sia a livello congiunturale, -0,6%, che annuo, -1,8%. La flessione ha sminuito l’apporto dovuto dai servizi vagheggiato dal Mef il 30 agosto. Ancora più chiari i dati sui consumi fermi e il calo degli investimenti. Nel secondo trimestre 2016 si sono registrati contributi nulli per i consumi delle famiglie e delle istituzioni sociali private e per gli investimenti fissi lordi e un contributo negativo (-0,1 punti percentuali) per la spesa della pubblica amministrazione. Variazioni negative ci sono state anche nell’industria in senso stretto (-0,8%) e nel settore degli altri servizi (-0,1%). Gli investimenti delle imprese «in macchinari, attrezzature e prodotti vari» sono diminuiti nel secondo trimestre 2016 dello 0,8% rispetto al trimestre precedente e dello 0,3% rispetto allo stesso periodo del 2015. Gli investimenti in costruzioni sono fermi su base congiunturale e aumentano dell’1,2% su base tendenziale. Nel complesso gli investimenti fissi lordi sono diminuiti dello 0,3% rispetto al primo trimestre e sono aumentati del 2,1% rispetto al secondo trimestre 2015.
Dal Forum Ambrosetti a Cernobbio ieri Renzi ha riscoperto Mao e la rivoluzione cinese: «L’Italia prosegue la sua lunga marcia. Il fatto che il Pil italiano vada meglio degli altri anni è un dato di fatto – ha detto Renzi – Andare meglio non significa andare bene». Anche perché chi vuole fare meglio, spesso fa peggio: un detto che si adatta a questo esecutivo. «La crescita c’è, anche se è debole» ha detto Padoan che si è impegnato a usare le risorse «in modo selettivo», a sostenere «gli investimenti e la produttività», «con un occhio alle esigenze dei pensionati». Reazioni surreali per le opposizioni, ieri scatenate: «#RenziValeZero, come la crescita del Pil» ha scritto in un tweet Beppe Grillo che deve far dimenticare il caos romano. «A ottobre gli italiani subiranno una Legge di Stabilità lacrime e sangue per tappare i buchi di Renzi» sostiene Brunetta (Forza Italia). «Economia ferma, governo immobile» sostiene Scotto (Sinistra Italiana). Ma anche la surrealtà avrà un ruolo da oggi fino all’autunno: in ballo c’è la nuova flessibilità da ottenere a Bruxelles e la necessità di sembrare normali nel paese in cui i cavalli non bevono.

il manifesto 3.9.16
Pil, la danza comica dei decimali
Crescita. Renzi ha solo una fortuna: al momento non ci sono candidati alternativi, né di destra, né di sinistra. Vedremo nelle prossime settimane il DEF e cosa accadrà negli incontri europei, ma rimane la sensazione amara dell’impotenza
di Roberto Romano


La notizia della crescita che passa da 0,6% a 0,7% nel 2016 mostra ancora una volta che il Pil italiano può solo cambiare i decimali, non il segno-contenuto dello stesso. La domanda interna è ferma (0,1%), mentre la spesa e gli investimenti pubblici diminuiscono dello 0,3%, facendo ridurre la crescita del Pil. Il taglio della spesa pubblica non doveva far crescere il PIL? C’è qualcosa da ricordare al presidente del Consiglio: il valore aggiunto (congiunturale) dell’agricoltura cresce di 0,5%, nei servizi di 0,2%, ma rimane l’evergreen negativo dell’industria italiana (Made in Italy?) del meno 0,6%.
Alla fine il PIL è fermo. Il governo manifesta certezze e sicurezze incomprensibili, confermando l’ignoranza del potere recentemente illustrata dal maestro Leon. L’analisi dello stato dell’economia italiana è sempre la stessa, con delle aggravanti: confondono produttività di struttura con gli incentivi alla produttività “contrattuale”. È concepibile che aumenti il valore aggiunto di un’impresa tessile, a parità di lavoro, solo per fare un esempio, in ragione della detassazione dei premi di produttività da 2 mila euro a 2.500 euro? È credibile che aumenti la produttività in ragione della riduzione programmata di 3 mld di euro dell’IRES? Vorrei solo sottolineare che stiamo trattando lo stesso valore aggiunto-profitto fiscalmente in modo diverso, non di una crescita del valore aggiunto. Padoan ha una scuola e una formazione sufficiente per spiegare all’ignorante potere che base imponibile, fisco e produttività fanno capo e principi e regole economiche molto diverse. In altri termini, il valore aggiunto e il profitto sono direttamente proporzionale al che cosa si produce e al come si produce in seconda istanza. Nel come si produce c’è l’utilizzo e l’acquisto di beni strumentali. Peccato che nel frattempo i beni strumentali dell’Italia siano tra i più vecchi tra i paesi europei, e quando le imprese rinnovano i beni strumentali il più delle volte sono importati. Oltre al danno anche la beffa del lavoro buono (giovane) regalato all’estero.
L’inversione delle aspettative è fondamentale. Vero, anzi verissimo! Se il cavallo continuerà a non bere, come si usa dire, anche il 2017 sarà un anno da zero virgola o qualcosa in più. L’inversione delle aspettative è decisivo, perché muta il clima di fiducia di consumatori e imprese. Vero, anzi verissimo! Proviamo allora a farci una domanda, e spero che il Ministro Padoan la rivolga alla compagine governativa: se le stime di crescita del PIL sono così basse; se il tasso di utilizzo degli impianti è ancora lontano dal normale utilizzo; se la domanda interna e internazionale scarseggia, con l’aggravante che l’Italia commercia con l’estero sulla base del costo e non dei beni e servizi prodotti; se i prezzi diminuiscono (deflazione), riducendo i margini di profitto, oppure non permettono la sostenibilità del costo degli investimenti fissi; perché l’imprenditore volenteroso e pieno di buone intenzioni dovrebbe aumentare gli investimenti? Dovrebbe farlo in ragione di una riduzione a margine della tassazione? Ministro Padoan, per favore, racconti le lezioni di Caffè, Graziani, Sylos Labini, Leon e Pasinetti, solo per ricordarne alcuni che hanno certamente frequentato, ai ministri del Governo. Altro che sgravi per i nuovi assunti e Jos Act; altro che decimali nel deficit pubblico e nell’avanzo primario. Il Paese è a terra, stremato e senza fiato. Se proprio il governo vuole rilanciare la crescita, almeno non faccia nulla. Ogni iniziativa intrapresa rallenta la crescita del Paese e lo indebolisce. Era difficile fare peggio di altri e illustri personaggi, ma non c’è mai limite al peggio. Renzi ha solo una fortuna: al momento non ci sono candidati alternativi, né di destra, né di sinistra. Vedremo nelle prossime settimane il DEF e cosa accadrà negli incontri europei, ma rimane la sensazione amara dell’impotenza.

La Stampa 3.9.16
L’Istat: l’Italia rimane a “crescita zero”. Renzi: “Risultati meglio del passato”

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Corriere 3.9.16
Il presidente Istat Giorgio Alleva, numero uno dell’Istituto di statistica:
«No pressioni dal governo. Niente ci può condizionare»

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Corriere 3.9.16
Realtà dei numeri e impegni
di Dario Di Vico


I eri abbiamo avuto due notizie, una cattiva e una buona. La prima è venuta dall’Istat che comunicando il dato definitivo del Pil del secondo trimestre 2016 ha purtroppo confermato le sue stime: crescita zero.La seconda è arrivata da Cernobbio dove il premier Matteo Renzi davanti alla platea di imprenditori ed economisti del tradizionale seminario Ambrosetti ha ribadito che abbasserà le tasse.Il verdetto sul Pil ha spiazzato il ministero dell’Economia che con scelta singolare e avventata aveva predetto solo tre giorni fa che la pallina non si sarebbe fermata sullo zero.Tirare l’Istat per la giacca è sbagliato dal punto di vista istituzionale e poi evidentemente non porta nemmeno fortuna.Onestamente un decimale non vale una guerra di comunicazione e alle prossime tornate il governo farà bene a non trasformare di nuovo i suoi economisti in aruspici.È vero che l’Istat ha anche corretto al rialzo (da 0,7 a 0,8 per cento) il dato del Pil anno su anno ma è il risultato di un arrotondamento tecnico legato alla destagionalizzazione e non ci dice nulla di nuovo sulla salute dell’economia reale.In parole povere saremo costretti ad attendere con il fiato sospeso anche i verdetti dei prossimi trimestri quando pur partendo da una crescita acquisita dello 0,7 per cento non è sicuro che riusciremo a raggiungere la fatidica soglia dell’1 per cento.
D el resto le immatricolazioni di auto non viaggiano più allo stesso ritmo dei semestri precedenti, i consumi si sono fermati di nuovo, le costruzioni non sono ripartite, l’indice di fiducia di imprese e famiglie è calato. E in più i venti neoprotezionistici che scuotono il globo non consentono ottimismo su un nuovo poderoso contributo delle esportazioni al Pil. Restano da vagliare l’andamento della produzione industriale e il contributo della stagione turistica in corso, sulla quale si fa molto affidamento in virtù dello spostamento delle destinazioni dalla Tunisia e dall’Egitto verso i nostri lidi. A metà del mese di dicembre sapremo.
Più in generale comunque non è certo tempo di illusioni, è chiaro a tutti che il dopo crisi si sta rivelando una bestia assai difficile da domare. I vecchi modelli interpretativi non funzionano più e il ministro Pier Carlo Padoan, sempre a Cernobbio, da economista con una robusta esperienza al Fmi e all’Ocse ha sottolineato che parlare di stagnazione secolare sarà un’esagerazione ma il malessere dell’economia planetaria è assai profondo. Ascoltando ieri in riva al lago di Como i guru delle previsioni, infatti, si è avuta la sensazione che anche loro vivano un momento di transizione: capiscono di dover adeguare la cassetta degli attrezzi, ancora però non ci sono riusciti e finiscono per usare quelli vecchi.
Torniamo però alla bella notizia. Renzi in un efficace botta e risposta con il pubblico ha affermato che, pur consapevole di dare un dispiacere a molti suoi compagni di partito «che vivono su Marte», abbasserà il tax rate ad iniziare dall’Ires, come del resto già previsto dalla scorsa legge di Stabilità. La domanda che sorge immediata è se/come il governo riuscirà a trovare le risorse per tener fede a un impegno che va considerato assolutamente corretto. Il ministro Padoan ha ricordato che 15 miliardi dovranno andare prioritariamente a evitare che scattino le clausole di salvaguardia e maturi addirittura la beffa sotto forma di nuovi aumenti tributari.
Per non finire quindi in un cul de sac l’unica strada che si para davanti a Renzi è accompagnare la scelta di ridurre le tasse con il rilancio delle riforme strutturali. Un’abbinata che Bruxelles in passato ha sempre apprezzato.

Repubblica 3.9.16
Camusso
“Una patrimoniale per finanziare il taglio delle tasse sui salari nazionali”
La leader Cgil Susanna Camusso boccia il piano dell’esecutivo che punta a rilanciare la produttività
Questa politica ha delegato il governo ai poteri economici e finanziari
Non si può affrontare questa crisi con le vecchie ricette anti-inflazione degli anni ‘80 e ‘90
Il vero drammatico problema dell’Italia di oggi si chiama disoccupazione giovanile
intervista di Roberto Mania


ROMA. «Una crescita generale dei salari accompagnata da un piano di investimenti pubblici e privati. Serve questo per uscire dalla stagnazione, combattere la deflazione, ridurre le diseguaglianze. Per voltare pagina rispetto alle politiche dell’austerità». È la ricetta di Susanna Camusso, segretario generale della Cgil, che boccia il progetto del governo di detassare gli aumenti in azienda legati alla produttività: «Riguarderebbe una minoranza di lavoratori. Vanno detassati gli incrementi dei contratti nazionali che interessano tutti».
Camusso, l’Istat fotografa un paese fermo. Com’è l’Italia vista dal sindacato?
«Un Paese nel quale bisognerebbe cominciare a raccontare la verità. Innanzitutto, il vero drammatico problema dell’Italia si chiama disoccupazione giovanile. Siamo un Paese che non sta costruendo per le generazioni future. Anche così si stanno accentuando le differenze e le diseguaglianze. Sul fronte produttivo c’è ormai più o meno un terzo delle aziende che hanno innovato, sono competitive nel mondo, hanno salari dignitosi, partecipazione, alto tasso di sindacalizzazione. Sono la nostra vetrina sul mondo. Poi c’è il resto: aziende dipendenti dalla domanda interna che però è crollata. Un Paese spaccato che avrebbe bisogno di un obiettivo condiviso, un’idea di Paese come fu per l’euro. Invece si va avanti con le politiche dei bonus».
Che c’entrano i bonus?
«C’entrano perché si affronta tutto con la logica dell’emergenza. Un po’ qua, un po’ là. Si è visto con gli 80 euro, la gente ha prima pagato i debiti poi si è rimessa a risparmiare. Meglio il bonus maternità o un piano per creare più asili pubblici? C’è un nodo irrisolto dalle nostre parti: continuare a farci governare dall’economia e dalle regole o affidare il governo alla politica?».
Perché la politica si sarebbe ritirata?
«Ha delegato al sistema finanziario e imprenditoriale di decidere le nostre prospettive. L’idea di fondo è: noi vi togliamo i vincoli, spetta poi a voi imprese decidere cosa e come fare. Renzi dice che il problema non è l’economia ma la politica. Ha ragione, il problema è questa politica che si fa governare dai seguaci di un’ideologia economica sbagliata. Pensi che abbiamo destinato agli sgravi contributivi per le assunzioni 17 miliardi, il risultato sono 585 mila assunzioni in quasi tre anni. Anziché assumere i giovani, sono stati assunti i cinquantenni. Bene, ma così è come invitare i giovani a comprarsi un biglietto aereo e andarsene. Non penso che si possa tornare, con un colpo di bacchetta magica, ai livelli occupazionali del 2007, ma quando vedo che i giovani medici dei pronto soccorso sono assunti o con contratti di collaborazione o come partite Iva, penso che sia una dichiarazione di resa. Questo governo ha promesso l’abolizione del precariato mentre oggi con i voucher rischiamo di avere una forma ancora peggiore di sfruttamento».
Il governo sta preparando un piano per estendere la detassazione del salario aziendale e rilanciare la produttività. Cosa ne pensa?
«Che bisogna smetterla! Ci siamo battuti, e continueremo a farlo, per la detassazione dei premi. Ma serve una misura per l’insieme dei lavoratori dipendenti, non solo per quel 20% interessato dalla contrattazione aziendale».
La risposta del governo, e della Confindustria, è che per quella strada, rendendo fiscalmente più favorevole il salario aziendale, si stimolano i contratti integrativi.
«È sempre la stessa litania. Abbiamo già provato e non ha funzionato. Non si può continuare a mettere in campo politiche anti- inflazione quando siamo in piena deflazione».
Propone di detassare gli aumenti a livello nazionale?
«È una strada possibile. L’obiettivo deve essere quello di rilanciare la domanda, di far ripartire gli investimenti, di una crescita generale dei salari. Detassarlo solo per una parte minoritaria delle aziende significa dire a tutte le altre: cercate di cavarvela competendo sui costi, abbassando qualità e retribuzioni. Una ricetta vecchia. Ma se ci mettiamo a guardare i numeri ci accorgiamo che gli investimenti sono drammaticamente scesi e che la contrattazione di secondo livello non è cresciuta».
Ma il salario in azienda è legato ai risultati, lei propone un aumento delle retribuzioni scollegato da qualsiasi parametro. Le retribuzioni tornano ad essere una variabile indipendente dell’economia? Non siamo fuori dalla crisi.
«Scusi, quella che viviamo non è forse una crisi da domanda? Si può affrontare in piena deflazione con le ricette anti-inflazione degli anni 80 e 90?».
Come fa un’impresa in difficoltà a pagare anche gli aumenti salariali?
«Esattamente per questo va cambiata la politica. Senza una ripresa della domanda quell’impresa è destinata chiudere. Sto proponendo di utilizzare la leva fiscale. Serve un concorso di tutta l’economia».
Servono soldi. Dove li prende?
«E per la detassazione del salario di produttività non servono i soldi?».
Ciò che propone lei costa molto di più. Avete delle stime?
«Pensiamo che con misure attente a non colpire il ceto medio si possano recuperare svariati miliardi l’anno».
Quindi rilanciate la patrimoniale? Non la vuole nessuno.
«Guardi che pensiamo di tassare solo i grandi patrimoni, non la casa dell’operaio che per comprarsela ha acceso un mutuo».
È realistico chiedere 7 miliardi per i rinnovi dei contratti pubblici?
«Quella cifra non è nostra ma dell’Avvocatura dello Stato».
Quanto ci vuole allora?
«Non faccio cifre. Dico, però, che, dopo anni di blocco, i salari nel pubblico impiego devono aumentare».

Il Fatto 3.9.16
Renzi salva il Gp di Monza e fa felice l’amico Marchionne
Emendamenti,sblocchi di fondi e trattative: così il governo con Luca Lotti è riuscito a trovare i 68 milioni di euro chiesti dalla Formula1. Pagano Aci e Regione Lombardia
Per il renzismo lo sport è propaganda, per la Ferrari il bisogno di correre in casa
di Carlo Tecce

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Il Fatto 3.9.16
Gruppo Agnelli, l’ultimo addio all’Italia
Exor va in Olanda Col trasloco della cassaforte tutte le società dell’ex galassia Fiat sono all’estero
di Marco Maroni

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Il Sole 3.9.16
Bersani: o cambia l’Italicum o voterò no al referendum


Nel giorno in cui Matteo Renzi da Cernobbio prova a depotenziare la portata politica del referendum istituzionale d’autunno (se «vince il no, non c’è l’invasione delle cavallette, non c'è la fine del mondo, resta tutto così» ha detto il premier - si veda l’articolo a pagina 2), Pier Luigi Bersani ribadisce la sua posizione: o l’Italicum cambia o voterà no. «Qualche errore di assetto istituzionale si può rimediare - ha detto ieri l’ex segretario del Pd e punto di riferimento della minoranza democratica - ma se si prende una strada sbagliata sul tema della democrazia, non si sa dove si va a finire. I senatori devono essere eletti e l’Italicum va cambiato. Altrimenti - avverte - non sono disposto ad appoggiare la riforma». Parlando a Ravenna dove era per l’inaugurazione di un circolo Pd, Bersani ha negato il rapporto tra referendum e durata del governo ma ha chiarito: «Non sono disponibile ad accettare che il Senato sia la risultanza di tavolini regionali nei quali tu fai l’assessore e io faccio il senatore perché mi serve l’immunità».
Alle dichiarazioni di alcuni giorni fa di Bersani («La gente non mangia pane e referendum»ha replicato intanto ieri il ministro della Giustizia e compagno di partito Andrea Orlando: «La Costituzione serve anche per fare il pane, non c'è la Costituzione da una parte e il pane dall'altra, chi lo sostiene fa un ragionamento agghiacciante», ha detto: « Se il Parlamento non funziona, la gente sta male , chi sostiene che non si mangia pane e Costituzione sbaglia».

Il Sole 39.16
Dopo Pannella
Al congresso dei Radicali è scontro sul patrimonio


«Gli iscritti ai soggetti radicali non hanno, ormai da molti anni, alcuna funzione di controllo sul patrimonio materiale, Radio e sede, su simboli e archivi storici. Venuta meno la garanzia di Marco Pannella va assicurata ai Radicali tutti la titolarità rispetto alle decisioni sugli strumenti utili all’iniziativa politica»: ad accendere la polemica al secondo giorno del Congresso dei Radicali nel carcere romano di Rebibbia - il primo dopo la morte dello storico leader avvenuta il 19 maggio - è Valerio Federico, tesoriere di Radicali Italiani, esponente della componente dei cosiddetti “quarantenni” vicina a Emma Bonino. Un tema che alimenta lo scontro politico con gli “ortodossi”, tra cui Maurizio Turco, tesoriere del Partito radicale. Di cui ieri è stato approvato il bilancio «a stragrande maggioranza». «Respinto - informava una nota - l’invito a votare contro di Valerio Federico, tesoriere di Radicali Italiani».
Ieri è stata anche la giornata della proposta, avanzata tra gli altri da Benedetto Della Vedova, di tenere “aperto” il congresso per una nuova sessione da celebrare in futuro: un tentativo di mediazione tra le due anime del partito che serve a scongiurare il rischio di una scissione. Dagli “ortodossi” è arrivato un no: «Non c’è logica in un rinvio del Congresso, il congresso già c’è, perché farne un altro? Decidono gli iscritti. Non è possibile pensare che domani non possa continuare ad esserci il partito Radicale così come voluto da Pannella».

La Stampa 3.9.16
Raggi cerca i sostituti dopo le dimissioni: “Diamo fastidio ai poteri forti, non ci fermano”
Fantasia nuovo amministratore unico Atac . Grillo annulla la “discesa” nella Capitale

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La Stampa 3.9.16
Virginia ha deciso: “No alle Olimpiadi”. Così la sindaca tenta il rilancio movimentista
L’annuncio a giorni, dopo che si sarà placata la crisi delle dimissioni. Ma il network-Alemanno su cui punta infastidisce Grillo
di Jacopo Iacoboni

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Corriere 3.9.16
Marra, da Alemanno ai 5 Stelle: io sono sempre qui
L’uomo scelto dalla prima cittadina su cui si gioca lo scontro. Potrebbe andare a lui la Sicurezza
di E. Men.


ROMA Le undici e mezza di sera di giovedì, sotto al Marc’Aurelio, sulla piazza del Campidoglio ci sono un paio di turisti e poco più in là, insieme ad un amico, uno degli uomini chiave della bufera-Campidoglio: Raffaele Marra, vice capo di gabinetto di Virginia Raggi, ex alemanniano, ex polveriniano, dirigente comunale «sopravvissuto» anche a Marino.
Anzi, è proprio sotto la sindacatura del «marziano» che Marra entrò in contatto con Daniele Frongia: Marra al Dipartimento entrate del Comune, Frongia a capo della commissione spending review. Non ha voglia di parlare, Marra, anche se la giornata che si è conclusa è stata la più lunga (finora) dell’amministrazione a Cinque Stelle e quando vede il cronista del Corriere , Marra si blocca. Lo sa cosa dicono? Che è stato lei a scrivere la lettera di richiesta di parere all’Anac, per far fuori Raineri e Minenna. Lui ci pensa un attimo: «Ma figuriamoci... È una str...ata. Una delle tante che dicono su di me». Poi saluta e se ne va, senza aggiungere altro. Su di lui, in effetti, se ne sono dette tante. E, tra gli attivisti del Movimento, il suo è il nome più discusso per il suo passato nel centrodestra. Marra, o «don Raffae’» come lo chiamavano all’epoca, era uno dei «fedelissimi» di Gianni Alemanno, dirigente prima Consiglio per la ricerca e sperimentazione in Agricoltura quando l’ex sindaco era ministro, poi all’Unire con Franco Panzironi, l’ex ad di Ama, ancora agli arresti per Mafia Capitale. Così, quando l’allora Pdl scalò il Campidoglio, Marra diventò capo del Dipartimento Patrimonio.
Ci rimase quasi due anni, quando andò via, a marzo del 2010, in contrasto col sindaco. Una rotta di collisione che, come Marra racconta ai suoi amici, sarebbe scaturita dai «numerosi esposti presentati alla Procura della Repubblica», in particolare sulle case popolari e poi sull’Arciconfraternita, quella che poi diventerà la Domus caritatis, una delle coop «bianche» del sistema Buzzi. Marra, in questi mesi, alle persone a lui vicine ha sempre ribadito la sua «verità»: «Fino a che c’ero io, Buzzi non ha messo piede al Comune». Motivo per il quale, forse, una volta si è vantato «di essere lo spermatozoo che ha fecondato il Movimento Cinque Stelle». Lasciato il Comune, Marra andò prima in Rai, poi alla Regione con Renata Polverini. Messo in un angolo da Nicola Zingaretti, si è rifugiato di nuovo a Palazzo Senatorio dove, dicono i bene informati, è uno che conta molto. Più di una volta, nei corridoi, hanno sentito dire la Raggi: «Marra ci garantisce». Così lui resta al suo posto, nonostante gli strali di Beppe Grillo, degli attivisti che sono andati a cercare se il concorso con cui Marra diventò dirigente è stato annullato (lui giura di no e dice di poter fornire le carte). Ieri Marra era in giunta e per lui si parla di una delega alla Sicurezza. Con qualcuno ha scherzato: «Chiedetevi perché sono sempre qua». Già. Perché?

Corriere 3.9.16
Una dolorosa metamorfosi
di Massimo Franco


Siamo al passaggio doloroso dall’adolescenza alla maturità democratica: la metamorfosi del Movimento Cinque Stelle è cominciata.
È cominciata la metamorfosi del Movimento 5 Stelle: il passaggio doloroso dall’adolescenza alla maturità democratica. E l’impressione è che il cambiamento sia subìto, non preparato adeguatamente. L’arrivo a Roma, prima annunciato e poi annullato, di Beppe Grillo, «il garante», per tentare di risolvere il pasticcio del Campidoglio, aggiunge un’ulteriore pennellata di confusione. Dice due cose, entrambe preoccupanti. La prima è che la crisi in incubazione nella giunta di Virginia Raggi è così seria da fare aleggiare l’intervento del mitico Direttorio. La seconda è che la sindaca non appare in grado di risolvere il problema da sola perfino agli occhi di chi l’ha candidata. E questo, di fatto, proietta di nuovo l’ombra di un suo commissariamento di fatto.
Gli avversari dicono che era già tutto scritto; che la caduta dell’Amministrazione-vetrina del M5S della Capitale è alle porte; e che il movimento di Grillo è minato dalle correnti e dalle loro lotte come e più degli altri partiti. Giudizi un po’ troppo affrettati, che mescolano i desideri degli avversari con la realtà. Forse è necessaria maggiore cautela. Puntare su un crollo rapido e fragoroso della Raggi non è solo un’illusione, ma un errore politico. Non certificherebbe affatto la sua incapacità di governare. C’è da scommettere, anzi, che offrirebbe alla dirigenza dei Cinque Stelle un grande alibi: quello del complotto dei comitati d’affari capitolini per non permetterle di governare, magari in combutta col governo nazionale.
La tesi permetterebbe di velare i contrasti interni che sembrano la principale ragione degli scricchiolii di questi giorni. E perpetuerebbe quella strategia del vittimismo che tanti voti ha portato ai seguaci di Grillo e Casaleggio. Anche perché non si può generalizzare. Roma risente di un’eredità disastrosa lasciatale dalle giunte di centrodestra e, in ultimo, di centrosinistra. E infatti nella Torino della sindaca Chiara Appendino, che è stata governata e non sgovernata, la situazione è diversa: l’esponente del M5S può tentare di amministrare con maggiori speranze di farcela. D’altronde, se cade la giunta Raggi che cosa sarebbero in grado di offrire i partiti e gli schieramenti tradizionali? Domanda senza risposta.
In realtà, per vedere cosa sa fare, o magari non sa fare il Movimento, bisogna dargli tempo. È necessario permettergli di misurare fino in fondo pregi e limiti del suo originalissimo modello di democrazia interna e di selezione della classe dirigente. E nel caso lasciare che emergano le ambiguità di una trasversalità così totale da moltiplicare i voti alle elezioni; ma anche così marcata da trasformarsi in contraddizione implosiva al momento di governare. Limitarsi a attaccarlo e liquidarlo è facile e insieme miope. Fa dimenticare che l’ affermazione di Grillo e della sua nomenklatura è il frutto della febbre del sistema e di una profonda crisi di credibilità. È questo che ha permesso al M5S di esasperare la cultura del nuovismo e di una diversità vissuta e trasmessa come superiorità morale.
Ma la democrazia rappresentativa è un’altra cosa. Certamente non ne offrono una versione encomiabile i partiti di oggi. La novità, però, è che anche quanto sta mostrando in questi giorni ai romani e agli italiani la nomenklatura Cinque Stelle non può né incoraggiare né far sperare troppo in un’alternativa: sia in termini di trasparenza che di capacità amministrativa. Grillo si è sempre vantato di avere codici culturali e un linguaggio diversi da quelli del «sistema». Per questo ha rivendicato orgogliosamente di non capire né essere capito dai mezzi di informazione. Non gli si possono dare tutti i torti. Solo che adesso i problemi di incomprensione promette di averli con interlocutori meno prevenuti e più esigenti: gli elettori che vogliono capire se il Movimento è all’altezza del grande consenso ricevuto anche nella capitale d’Italia.
Magari esisteranno anche degli oscuri centri di potere che vogliono abbattere la giunta. Ma i complotti esterni riescono quando trovano la complicità e si sommano alla fragilità e alle debolezze interne di chi viene attaccato. La «democrazia della Rete» è un grande fenomeno collettivo e suggestivo. Ma può velare la precarietà delle sue fondamenta solo finché la realtà, quella non virtuale ma dura del governo anche solo local e, presenta il conto.

Repubblica 3.9.16
Dario Fo
“Beghe da vecchi partiti, Beppe ora azzera tutto”
intervista di T. Ci.


ROMA. «Per spiegarle cosa è oggi il Movimento 5Stelle voglio usare questa immagine: è come un pittore che ha rovesciato tre colori sulla tavolozza, li ha mischiati. E adesso cosa può fare? Per tornare a dipingere non può fare altro che cancellare e ricominciare da capo. Ho parlato con Grillo e Di Maio, hanno deciso di farlo». Ecco i grillini secondo il premio Nobel Dario Fo. L’immagine è forte, perché racchiude anche il senso di un parziale fallimento del grillismo. Perché sentire ragionare in questo modo Fo, tanto vicino al Movimento da salire sul palco di Virginia Raggi alla vigilia delle amministrative che hanno incoronato la sindaca, fa un certo effetto.
Lei ha sostenuto apertamente Raggi. Consiglia spesso Grillo e il direttorio. Ne sposa alcune battaglie. E adesso, dopo gli scontri interni e le dimissioni, è deluso dalla performance romana dell’amministrazione grillina?
«Non so bene del problema romano, perché sono stato impegnato in altre vicende che, se vuole, le spiegherò».
Certamente, ma partiamo dalla Capitale. Liti, scontri, dimissioni, lacrime. Se l’aspettava?
«Ho sentito di queste beghe insensate. Non so molto di più, ma una cosa è chiara: nel Movimento bisogna che si cancelli tutto. Occorre che tutto torni ad essere come una pagina bianca. Poi si potrà tornare a fare i conti. E si potrà ripartire da capo».
Lei propone un reset del Movimento cinque stelle, insomma?
«Ma certo, perché non può più stare in piedi una struttura come la loro, così come l’hanno creata ed è diventata. Vedo le beghe di un classico gruppo politico. E invece loro devono essere altro, devono essere l’opposto. Hanno bisogno di distinguersi nettamente dalle altre forze politiche».
Pare però che la dinamica in atto sia opposta. Degna del più agguerrito correntismo di partito, non le pare?
«Leggo che sono uno contro l’altro. Vedo uno che tira in mezzo l’altro, l’altro ancora che decide di dimettersi. E poi c’è quello che si ritira perché il compagno di merende ha fatto in un altro modo… Comunque, molto presto ci sarà una cancellazione di tutto, glielo garantisco».
Lei dice che è in cantiere una rivoluzione nei cinquestelle?
«Senta, la settimana scorsa ci ho parlato. Ci siamo visti con Beppe e con il gruppo dei cinque del direttorio. Ho ragionato con Grillo e con Di Maio. Loro hanno capito che il punto è cominciare da capo. Così hanno deciso e così faranno, vedrete. Non hanno altra possibilità: serve cancellare tutto e ripartire».
Lei intanto ha sentito Raggi dopo averla sostenuta pubblicamente in campagna elettorale nella Capitale?
«No, non l’ho sentita».
Prima accennava alla difficoltà di seguire il caso romano perché si è dovuto occupare d’altro. Di cosa si tratta?
«Lo Stato turco ha decretato che nessuna compagnia teatrale straniera può mettere in scena Shakespeare, Brecht, Cechov e Dario Fo. Una circostanza che mi ha molto colpito».
Perché?
«Da una parte c’è naturalmente l’orgoglio perché hanno deciso di censurare me accanto a questi grandi autori, dall’altra parte c’è la preoccupazione per la gravità della censura e per la situazione delle compagnie che hanno dovuto chiudere e smettere di portare in scena le opere».

il manifesto 3.9.16
Raggi riparte in bus, nel gelo
L’ingegnere nucleare Manuel Fantasia è il nuovo amministratore unico di Atac
Grillo annuncia il suo arrivo a Roma, poi ci ripensa
Direttorio diviso: torna nel cassetto la lettera di sostegno alla sindaca. Stretta sugli stipendi
di Giuliano Santoro


ROMA «Vengo a Roma, anzi no». Doveva essere Beppe Grillo in persona a tentare di dipanare la matassa della crisi della sindaca Virginia Raggi. La trasferta romana del cofondatore del M5S viene annunciata in mattinata. Poi la smentita: tutto cancellato. «Se ne occuperà il direttorio», dicono dallo staff. Ma anche dall’organismo di direzione concepito da Grillo e Casaleggio ai tempi del «passo di lato» del comico genovese, non sanno come affrontare la patata bollente.
Dapprima si apprende che è già pronta una lettera con la quale si esprime totale sostegno alla sindaca. Poi il testo, come il biglietto per Roma di Grillo, finisce nel cassetto in attesa che la situazione si chiarisca. Il che conferma il dilemma: l’amministrazione romana è troppo importante per essere abbandonata al proprio destino ma non c’è concordia sulle ultime mosse. Prosegue la consegna del silenzio, almeno prima che i vertici incontrino Raggi. Qualcuno sostiene che tra Grillo e Raggi ci sarebbe stata una telefonata di fuoco. Dallo staff del sindaco giurano: «Tutto falso, nessuna comunicazione tra i due».
C’è il rapporto coi vertici nazionali, c’è quello coi parlamentari romani e quello coi consiglieri comunali. Paola Taverna e Roberta Lombardi intimano ancora una volta alla sindaca di tornare ai «principi del Movimento». Abbandonata la democrazia diretta e la trasparenza dello streaming, la speranza è che almeno si ponga un limite ai compensi dei dirigenti comunali. I consiglieri romani pongono da giorni questo stesso problema. Lo hanno detto a più riprese a «Virginia», ne parlano nei forum online e nelle chat riservate agli eletti. Tra gli attivisti circola un file contenente le retribuzioni di alcuni collaboratori della sindaca e del suo staff. Salvatore Romeo, il capo della segreteria politica della sindaca la cui retribuzione è lievitata da 40 a 120 mila euro l’anno, è costretto per la prima volta sulla difensiva: «Sono stati commessi errori, perché eravamo in ritardo, stiamo rivedendo l’intero corpo delle delibere», spiega. Interpellato sulle polemiche sul suo compenso, alla domanda se questo possa essere rivisto al ribasso risponde sarcastico: «Che possa essere rivisto verso l’alto mi sento di escluderlo».
Pietro Calabrese, vicepresidente della commissione trasporti, di primo mattino sta per inforcare la sua bicicletta per immergersi in una giornata che definisce «impegnativa ma non difficile», quasi a voler minimizzare la portata degli eventi. Raineri, Minenna e i dirigenti di Ama e Atac sono soprannominati dai grillini «i bocconiani». «Erano poco disponibili al confronto – dice Calabrese al manifesto – Ecco perché non riuscivamo a lavorare insieme, non avevano dimestichezza colle nostre modalità di lavoro». Come a dire: l’esperimento dei saggi al governo non ha funzionato. La versione di Minenna è diametralmente opposta: l’analista Consob ha rotto il silenzio diffondendo via Facebook una ricostruzione degli eventi degli ultimi giorni firmata da Sergio Rizzo del Corriere della Sera. L’articolo è introdotto da poche parole: «Per chi chiedeva i motivi delle dimissioni: buona lettura». Nel testo si sostiene la tesi del cerchio magico stretto attorno a Raggi, si parla senza mezzi termini di «guerra tra bande» e si sentenzia: «Non si ricorda un precedente simile neppure nei momenti più bui e durante le peggiori amministrazioni della città». Anche Minenna, insomma, punta il dito sul ruolo dell’ex alemanniano Raffaele Marra. Non è un caso che ieri il consigliere Enrico Stefàno abbia sentito il bisogno di precisare che difficilmente Marra, già vice di Raineri, diventerà capo di gabinetto. Chi sta vicino a Raggi sa che suonerebbe come una sfida a Grillo.
Coglie l’occasione per dire la sua, direttamente dal limbo della «sospensione» dal Movimento, Federico Pizzarotti: «Tempo fa, rilanciando l’idea di un’assemblea nazionale tra cittadini e portavoce, scrissi pubblicamente a Beppe Grillo queste testuali parole: ‘Ti chiedo: la volontà è quella di lasciare che le varie correnti del Movimento lo logorino dall’interno?’ – afferma il sindaco di Parma – Piaccia o no, lo accettiate o no, è quello che sta avvenendo».
Quel che rimane della squadra di Virginia Raggi dopo la bufera delle dimissioni a catena si è ritrovato ieri per una riunione di giunta. «Siamo determinati a lavorare per il bene della città, queste dimissioni non ci spaventano», ha detto la sindaca ai suoi assessori. «Adesso ci metteremo tutti insieme, consiglieri ed assessori, a valutare i curriculum per trovare i sostituti più adatti», spiega ancora il consigliere Calabrese ostentando serenità. In serata si stringe per la prima nomina: Manuel Fantasia, ingegnere e già dirigente di Almaviva oltre che consulente in mediazioni e conciliazioni, è il nuovo amministratore unico di Atac.

Repubblica 3.9.16
L’amaca
di Michele Serra

IL VERO problema dei grillini è avere deciso, e per giunta annunciato, che avrebbero riordinato il mondo daccapo, e tutto da soli (vedi “Bouvard e Pécuchet” di Flaubert), mondandolo dei suoi errori. La radicalità dei propositi, ovviamente, aumenta il clamore di un eventuale insuccesso. Si sa che la gente è cattiva. Se uno dice: farò quel poco che posso, quando sbaglia si è disposti a chiudere un occhio. Se dice: fatevi tutti da parte che arrivo io e sistemo tutto, quando inciampa il pernacchio è uno tsunami. Sono le regole, antichissime, della commedia, è strano che Grillo non le abbia tenute presenti nella costruzione della sua trama politica. Io, che cattivo non sono, coltivo nei confronti di quello spericolato esperimento un sentimento misto. Da un lato mi piacerebbe che qualcosa di buono e di utile ne sortisse, perché niente è più triste e meschino che godere dei fallimenti altrui e perché si sta parlando (per adesso) di Roma, dunque di noi tutti. Dall’altro, penso non sia ragionevole sperare che da presupposti così fragili (il settarismo è un sintomo inconfondibile di fragilità), nonché dall’idea balzana e pure pericolosa che “deve decidere il web”, possa scaturire un’Italia più seria e rispettabile. Il web è un pulviscolo che segue il vento, il settarismo è odioso sempre, l’onestà tanto vociata diventa, in politica, un labirinto pieno di avvisi di garanzia e di revoche dell’Anticorruzione. E dunque si aspetta di vedere come va a finire; ma con poche speranze che vada a finire bene.

Il Fatto 3.9.16
Olimpiadi, il k.o. finale di Roma al tappeto
di  Salvatore Settis e Tomaso Montanari

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La Stampa 3.9.16
Inchiesta sulla corruzione a Rieti, controlli su 56 tecnici e 12 imprese
Si cercano documenti importanti tra le macerie dei municipi di Amatrice e Accumoli
di Paolo Festuccia


Dodici imprese, 56 professionisti. Sono questi i primi numeri sul tavolo della Procura della Repubblica di Rieti. Nel disastro post sisma che ha distrutto i centri storici di Accumoli e Amatrice la cornice dei dati che il Nucleo di polizia tributaria della Guardia di Finanza sta chiudendo indica ormai due direzioni investigative: la prima sugli appalti affidati a trattativa privata e le presunte omissioni per i lavori pagati con i soldi pubblici del terremoto del 1997, la seconda connessa ai «furbetti del contributo». ovvero quegli enti e quei cittadini che, pur avendo ricevuto erogazioni pubbliche per i danni del terremoto, non hanno ottemperato alle prescrizioni previste nella ristrutturazione degli immobili.
Soldi mal spesi
È da qui, dunque, che si parte per ricostruire minuziosamente tutti i passaggi del flusso di denaro che in due circostanze diverse (sisma 1997 e poi sisma del 2001) ha fatto piovere su Rieti e il suo hinterland circa 90 milioni di euro in due tranche diverse. Un lavoro lungo questo che la Guardia di Finanza e la Procura di Rieti stanno facendo anche perché si tratta di «ricostruire gli ultimi vent’anni di storia della provincia reatina», sia per quel che concerne il territorio sia per quanto riguarda il ruolo giocato dalle istituzioni: a cominciare da quello che hanno avuto in quegli anni (dal ’97 al 2007) i tre sub commissari per il terremoto che si sono succeduti nel tempo, gli uffici regionali, che proprio ieri hanno ricevuto la visita degli uomini della Guardia di finanza, i funzionari provinciali, quelli del genio civile, ma anche tutti gli uffici tecnici (lavori pubblici e urbanistici) che hanno «incamerato» consistenti finanziamenti per poi destinarli negli incarichi a una significativa schiera di tecnici e soprattutto a numerose imprese.
Conflitti di interesse
E proprio su quest’ultimo aspetto da ieri si stanno concentrando, in modo particolare, le attenzioni del Nucleo di polizia tributaria che contano anche di recuperare a breve – se non tutti – almeno una parte considerevole dei documenti urbanistici «custoditi» sotto le macerie dei comuni di Amatrice e Accumoli. Documenti importanti, fanno capire gli inquirenti, non tanto per quel che concerne le erogazioni individuali, che sono state già acquisite agli atti nel fascicolo dell’inchiesta, casa per casa, immobile per immobile quanto per ricostruire come i tecnici comunali abbiano messo in collegamento Enti attuatori, finanziamenti statali e regionali e imprese edili. Legami, insomma, e presunti conflitti d’interessi tra politica e imprese sui quali da ieri sono al lavoro anche cinque uomini del Ros che incrociano nomi con imprese, codici fiscali con partite iva, bonifici bancari ed erogazioni di consistenti somme di denaro pubblico nel corso di almeno un decennio.
L’inchiesta, dunque, sta procedendo a ritmo serrato. Se non altro sul fronte della strategia e dei mezzi messi in campo dagli investigatori laziali. «Ora, alle ipotesi investigative – si spiega negli ambienti giudiziari – si devono trovare conferme sulle carte». Sia per quel che concerne le modalità di incarico e la concessione di appalti nel settore pubblico, sia anche nelle concessioni ai privati che subirono danni.
Le 12 aziende
Per ora è certo è che almeno sulle imprese impiegate nei lavori, soprattutto tra Amatrice e Accumoli, i primi accertamenti sono già cominciati da qualche giorno. In tutto nel cratere sismico dei due centri montani ai confini con le Marche hanno lavorato 12 aziende (oltre al consorzio di imprese che ha svolto i lavori alla scuola di Amatrice, crollata nella notte delle prime scosse del sisma) che si sono divise circa tre milioni e mezzo di euro. Tutte le opere finanziate sono di nuovo crollate o inagibili: e così anche quelle collaudate (come, appunto, la scuola «Romolo Capranica») di Amatrice e quelle ancora da completare. Nella ricostruzione, invece, o se si preferisce negli interventi post sisma, hanno lavorato oltre cinquanta tecnici e cinque geologi. Ed è proprio su quei lavori e quei collaudi che da qualche ora si sta concentrando l’attenzione degli inquirenti, a cominciare da quei palazzi dove si sono registrate vittime.

Corriere 3.9.16
I pm chiamano un team di scienziati Decine di denunce anonime in Procura
L’inchiesta sui crolli. La rabbia della gente: lettere (inutilizzabili) con nomi di progettisti e imprese
di Ilaria Sacchettoni


RIETI L’incarico è ancora da formalizzare ma la domanda è già pronta. Si tratta di descrivere «l’andamento dell’onda magnetica e l’accelerazione» delle scosse della notte del 24 agosto. I magistrati Cristina Cambi, Lorenzo Francia, Raffaella Gammarota e Rocco Maruotti, coordinati dal procuratore capo Giuseppe Saieva, incaricheranno un gruppo di esperti di sciogliere il quesito. L’acquisizione di un parere scientifico è preliminare ad altre iniziative, incluse eventuali iscrizioni sul registro degli indagati. Avvisi di garanzia che potrebbero raggiungere progettisti, collaudatori, amministratori pubblici e, nel caso in cui il crollo della loro abitazione abbia causato vittime, anche i proprietari degli immobili se la loro casa non risulta in regola con le norme di sicurezza.
Proprio ieri i vigili del fuoco hanno individuato il cadavere di un’altra vittima, un pensionato che si trovava in vacanza, sepolto sotto le macerie di Casale, una piccola frazione a poca distanza da Amatrice: individuato dal nucleo Usar ( Urban search and rescue ) del Lazio è la vittima numero 294 di questa tragedia (244 nel Lazio, 50 nelle Marche). Gli uomini della forestale, assieme a carabinieri e polizia, hanno invece continuato le operazioni di sequestro. In qualche caso — come con la caserma dei carabinieri, la foresteria e la chiesa di Accumoli — sono stati confiscati interi complessi, ma pure edifici privati.
Nei giorni scorsi, in procura, sono state recapitate delle denunce anonime. Si tratta di esposti che invitano i magistrati ad approfondire nomi e curriculum di progettisti e collaudatori di opere, spesso allegando anche foto di avvisi di edificazione con numero di autorizzazione e soprattutto nomi. Se, dal punto di vista strettamente investigativo, si tratta di segnalazioni destinate all’archiviazione (proprio in quanto anonime), testimoniano però il clima che si respira in questi giorni. Angoscia, rabbia.
Dalle macerie di alcuni edifici affiorano anche vicende giudiziarie. È il caso della caserma dei carabinieri di Accumoli i cui lavori sono stati ultimati e collaudati fra il 2012 e il 2013. L’impresa che l’ha ristrutturata è la Impretekna della famiglia Leoncini. Negli stessi anni in cui ultimava i lavori ad Accumoli, la ditta finiva sotto accusa per un abuso d’ufficio. Secondo l’accusa aveva costruito senza permesso un nuovo edificio al posto dell’ex capanna Trebbiani al Terminillo (storica struttura ricettiva della zona). Un caso di speculazione che in primo grado è valso una condanna a Marzio Leoncini.

Corriere 3.9.16
Prof «in prestito»: la scuola al via con 100mila supplenti
Nonostante gli annunci, l’anno scolastico debutta con i consueti ritardi sulle assegnazioni delle cattedre
di Valentina Santarpia

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Corriere 3.9.16
Tra prof «con la valigia» e sostegno che manca. Sorprese (e guai) dell’anno che inizia
Ecco come sarà l’organico potenziato e come funziona la chiamata diretta, tra le principali novità. Ma sull’avvio dell’anno scolastico pesano molte ombre, a partire dall’alternanza scuola-lavoro, che non decolla e i disagi per la carenza di personale Ata
di Valentina Santarpia

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Corriere 3.9.16
De Mauro
«Docenti e didattica sono da ripensare Non scarichiamo le colpe sui presidi»
intervista di Claudia Voltattorni


Presidi con funzioni manageriali. Più insegnanti assunti. Prof scelti direttamente dalle scuole a seconda del bisogno. Premi a chi fa meglio il proprio lavoro. Studenti nel mondo del lavoro già durante l’anno. Professor De Mauro, il 2017 sarà l’anno in cui finalmente la scuola italiana farà un passo in avanti?
Linguista, ministro dell’Istruzione con il governo Amato, professore e presidente della Fondazione Bellonci, Tullio De Mauro sorride: «Oggi (ieri per chi legge, ndr ) è Sant’Elpidio, che, come dice il nome, è il santo della speranza. Dunque, si può sperare che il nuovo anno non sia peggiore dei precedenti. Ciò che chiamiamo scuola è dappertutto un organismo complicato e diversificato, tanto più in un Paese con realtà per conto loro altrettanto diverse ed eterogenee. Le norme della “buona scuola” erano e sono assai lontane dall’aver tenuto conto di questo. Vedremo i singoli interventi previsti e in parte ora in via di attuazione che rimbalzi avranno in concreto nelle diverse realtà».
Gli studenti italiani trarranno dei benefici reali da tutte queste novità? Cioè: avranno davvero prof più preparati, lezioni più interessanti, saranno più motivati?
«Gli studenti delle scuole dell’infanzia e delle elementari hanno avuto finora, e dagli Anni 80, una delle migliori scuole del mondo, come, per le elementari, dicono i risultati delle indagini comparative internazionali (e come troppi dimenticano). Per le scuole dei gradi ulteriori,in particolare per le superiori, avere insegnanti più preparati e lezioni più interessanti richiede un ripensamento radicale dei modi di formazione e di aggiornamento in servizio degli insegnanti in funzione di un altrettanto radicale ripensamento dei contenuti didattici e dei modi di farne oggetto di reale e durevole apprendimento. In Francia con modi più bruschi, in Finlandia con saggia cautela, si sta andando su questa via. Questo sforzo di chiamata a raccolta di esperienze pratiche e di studio è mancato ai provvedimenti governativi. Prima o poi dovremo deciderci a farlo».
In Italia l’immagine degli insegnanti continua a essere non all’altezza della sua importanza per la vita degli individui. Stipendi tra i più bassi d’Europa e scarsa considerazione dall’opinione pubblica. C’è un modo per cambiare tutto ciò in profondità?
«Cambierà se e quando il Parlamento e un governo decideranno di fare dell’istruzione scolastica e dello stato della cultura di adulte e adulti un oggetto specifico e periodico della loro attività e, come c’è ogni anno la discussione e definizione di una finanziaria, ci sarà annualmente una “culturale”».
I presidi sono uno dei nodi della riforma: hanno un ruolo sempre più centrale e manageriale. Farà bene alla scuola tutto ciò?
«In omaggio a Sant’Elpidio, si può sperare che non faccia troppo male. E che non si scarichi sui presidi la responsabilità di quanto non funzionerà nelle scuole».
Contro la dispersione scolastica la ministra Giannini pensa di aprire sempre più la scuola anche oltre l’orario di lezione. È d’accordo?
«Sarebbe, anzi è assolutamente necessario che l’Italia attivi, come fanno altri Paesi e come da anni ci chiede con insistenza l’Ocse, un sistema organico di educazione degli adulti che svolga le sue attività negli istituti scolastici, nei due terzi della giornata in cui sono un mausoleo vuoto e devono invece diventare, come è stato detto, “fabbriche della cultura”. Le condizioni della popolazione adulta italiana, in cui assai più di due terzi hanno difficoltà a leggere un qualunque testo scritto, non possono non riflettersi su ragazze e ragazzi e ostacolare gravemente il lavoro della scuola, oltre che pesare negativamente sull’intera vita sociale».
Cosa pensa dell’alternanza scuola-lavoro con studenti che trascorrono dei giorni di scuola nelle aziende o negli uffici?
«L’idea è buona, ad avviso di molti. Ma le modalità di attuazione richiedono di essere collegate a quel ripensamento cui ho accennato. Altrimenti rischia di far solo confusione. Anche qui, però, sarebbe stato e sarebbe necessario considerare quel che avviene altrove nel mondo e quel che di positivo si è realizzato in Italia in anni passati negli istituti tecnici».

il manifesto 3.9.16
Breve elogio della ribellione in salsa umanistica
Un’anticipazione dall’intervento di oggi al «Festival della mente» di Sarzana. Che cosa significa utilizzare il proprio cervello critico? Le giovani generazioni si trovano davanti a scelte difficili da decifrare. Occorre scommettere sulla «terapia» della scuola
di Lamberto Maffei


A Sarzana il Festival della mente 2016 apre il programma con alcuni versi di una poetessa che mi è cara, Alda Merini: «voglio spazio per cantare crescere/ errare e saltare il fosso/ della divina sapienza». Con desideri simili anche io auspico un piccolo spazio, quello della ribellione, contro la corruzione, la disonestà, le guerre, le ingiustizie sociali, l’uso del linguaggio per ingannare il prossimo, la vendita delle armi, e contro coloro che, come loro fossero superuomini dotati di cervelli e corpi diversi, sfruttano e riducono a servi altri uomini. La prima riflessione, banale ma necessaria è che gli uomini condividono gli stessi organi, la stessa organizzazione del sistema nervoso, gli stessi recettori: tu ed io siamo uguali a tutti gli altri.
Risultano perciò inaccettabili alla logica prima ancora che all’etica i privilegi di chi nasce ricco e ha goduto delle facilitazioni di un ambiente adeguato, ma anche di amicizie, di favori più o meno leciti. La loro condizione di privilegio si mantiene grazie alla esistenza dei molti che invece di privilegi non ne hanno e con la loro opera rendono possibile i loro salari stratosferici e perfino i loro comportamenti offensivi con cui ostentano la loro ricchezza per mostrare il loro potere e diversità, manifestazioni volgari che gridano vendetta davanti a Dio.
Ricordo a proposito alcune parti dell’Apologo sull’onestà nel paese dei corrotti di Italo Calvino: «C’era un paese che si reggeva sull’illecito (…) Avrebbero potuto dunque dirsi unanimemente felici, gli abitanti di quel paese, non fosse stato per una pur sempre numerosa categoria di cittadini cui non si sapeva quale ruolo attribuire: gli onesti. Dovevano rassegnarsi all’estinzione?»
L’onesto è relegato alla posizione di una sottospecie di fessi non degni di salire nella casta dei furbi. Il cervello, il buon senso, la critica, l’onestà sono in rivolta. La mia non è una ribellione violenta, perché la violenza genera violenza, ma è un richiamo all’uso del cervello pensante e critico, è la rivolta della ragione contro quel’1 per cento della popolazione che possiede più ricchezze del restante 99 per cento (rapporto Oxfam 2016). Ho raccolto queste riflessioni in un mio piccolo libro Elogio della ribellione uscito per Il Mulino.
In questo spirito di inquietudine e di rivolta rifletto su alcuni aspetti del mondo moderno, sulla globalizzazione, sul rapido invasivo sviluppo delle tecnologie che hanno procurato vantaggi ma anche problemi.
Le tecnologie della comunicazione hanno creato un nuovo tipo di solitudine, che possiamo chiamare paradossale perché causata da un eccesso di stimoli, da una saturazione di tutti i recettori, in particolare uditivi e visivi, che induce un’attività frenetica del cervello, levando spazio alla riflessione e ostacolando la libertà del pensiero intasato dalle entrate sensoriali come le connessioni in rete o la Tv. È la solitudine di un cervello che, solo in una stanza, invia e riceve notizie unicamente attraverso messaggeri informatici, ma spesso ha perso il contatto affettivo con gli altri. Il cervello troppo connesso è solo, perché rischia di perdere gli stimoli dell’ambiente, del sole, della realtà palpitante di vita che lo circonda.
La mia preoccupazione di vecchio insegnante è rivolta principalmente ai giovani, per i quali le nuove tecnologie hanno oltrepassato la soglia di strumenti utilissimi per diventare «cervello», neuroni senza i quali non si può più pensare, producendo così una pericolosa restrizione dello spazio della libertà di ragionamento e della fantasia. Lo spazio del pensiero lento è stato invaso dal pensiero rapido.
Per me, neurofisiologo, che cerca di ragionare sui meccanismi cerebrali che stanno alla base di questo cambiamento, ciò non è sorprendente. La plasticità del cervello, cioè la sua capacità di cambiare funzione e anche struttura anatomica in dipendenza degli stimoli ricevuti è massima nei giovanissimi. Basta ricordare che le sinapsi, elementi essenziali del funzionamento cerebrale, numerosissime intorno ai due-tre anni cominciano a diminuire dopo l’adolescenza in maniera sempre più veloce e questa diminuzione è il substrato della vecchiaia del cervello.
La grande plasticità dei giovani ha assorbito naturalmente i messaggi del nuovo mondo e ne è rimasta ingolfata. Probabilmente la generazione degli adulti è responsabile per non aver dato, come educatori gli antidoti contro queste «droghe» pericolose. È interessante ricordare che Steve Jobs, per evitare il sorgere di una dipendenza, aveva proibito ai suoi bambini l’uso degli strumenti da lui stesso inventati. Il cervello dei giovanissimi può essere manipolato: ne è esempio l’educazione dei bambini di alcuni gruppi islamici che induce giovanissimi a pianificati gesti di suicidio.
La nostra scuola non è riuscita a incanalare tempestivamente la rivoluzione tecnologica nella sua pur forte tradizione formativa, rinforzando l’educazione al ragionamento critico, al dubbio su tutto e su tutti. Scriveva Voltaire: «Il dubbio non è piacevole, ma la certezza è ridicola.
Solo gli imbecilli sono inadeguati che spesso mirano al sonno cerebrale, e le altre forme di comunicazione della rete che insieme a messaggi importanti e civili portano disinformazione e possono al limite diventare strumenti pericolosi in mano a delinquenti e terroristi.
Come terapia io non vedo che la scuola e nella scuola l’insegnamento delle materie umanistiche, e per materie umanistiche intendo tutte quelle guidate dalla curiosità, incluse la matematica che è puro pensiero, e tutte le discipline che, rimandando all’esperimento, educano all’argomentazione e al ragionamento. Purtroppo questo è oggi reso difficile dal progressivo degrado della scuola pubblica, della ricerca: insegnanti e ricercatori che preparano il futuro di un paese sono stati privati della loro dignità di funzione.