venerdì 30 settembre 2016

per i cristiani non c’è differenza fra esseri umani e animali
La Stampa 30.9.16
Per salvarci alleiamoci con gli animali
Se non fossimo così malati di antropocentrismo riconosceremmo che sono in relazione con Dio proprio come gli uomini e scopriremmo l’amore per il creato, l’amore cosmico
di Enzo Bianchi
priore di Boise

Chi ha una certa dimestichezza con la Bibbia non solo sa che gli animali sono co-creature che condividono la terra con gli esseri umani, ma scopre anche che essi, creature volute e benedette da Dio, sono in relazione con Dio.
E questo non soltanto perché Dio pensa a loro fornendo il cibo con sollecitudine o perché Dio dà loro un soffio vitale e poi glielo toglie, ma perché essi comunicano con Dio servendosi di linguaggi impenetrabili e impensabili per l’uomo.
La narrazione biblica
Al di là dello straordinario, del miracoloso che ci cattura, nella Bibbia è scritto che Dio tramite una colomba ha comunicato la fine del diluvio, attraverso un asino ha ammonito un profeta, con un grosso pesce ha fatto capire a Giona la direzione da prendere in obbedienza alla sua volontà, con un corvo ha nutrito il profeta Elia in una grotta, ancora con una colomba ha significato la discesa dello Spirito Santo su Gesù di Nazareth, con il canto di un gallo ha ridestato Pietro alla coscienza del suo peccato, ed è con un agnello che ha designato l’uomo per eccellenza, il servo del Signore.
Ma se fossimo meno malati di antropocentrismo, dovremmo riconoscere che anche gli animali partecipano alla lode di Dio e alla supplica a Dio. Basta guardare negli occhi un animale ferito per scorgervi il suo bisogno di salvezza, basta ascoltare il suo canto gioioso o il suo grido vittorioso per riconoscervi una lode a Dio: la salvezza che ogni essere umano attende, qualunque sia il nome che la sua fede le attribuisce, dovrà coinvolgere tutto e tutti, anche gli animali, e con loro i vegetali e il cosmo intero.
I testi liturgici
Una preghiera dei primi secoli del Cristianesimo, attribuita agli ambienti legati a Basilio di Cesarea, così esprime questa consapevolezza: «Signore e salvatore del mondo, / noi ti preghiamo anche per gli animali, / che umilmente portano con noi / il peso e il calore del giorno / e offrono le loro semplici vite, / aiutandoci a vivere bene. / Noi ti preghiamo / anche per le creature selvagge, / che tu hai creato sapienti, forti, belle. / Ti preghiamo / per tutte le creature, / anche quelle che non sono intelligenti, / perché esse hanno una loro missione, / sebbene noi siamo incapaci di riconoscerla. / E supplichiamo / la tua grande tenerezza, / perché tu hai promesso / di salvare insieme l’uomo e gli animali (cf. Sal 36,7) / e hai concesso a tutti il tuo amore infinito».
Forse può sorprendere noi occidentali del XXI secolo trovare su questo tema un’impressionante analogia tra due testi liturgici - lontani nel tempo - che contengono la memoria degli animali al cuore della celebrazione eucaristica, là dove si rievoca la «continua creazione» da parte di Dio. Il primo risale alle Costituzioni apostoliche (IV secolo) e recita così: «Tu, o Dio, hai popolato il tuo mondo e lo hai ornato con erbe profumate e medicinali, con molti e differenti animali, robusti o più deboli, domestici e selvatici, con i sibili dei rettili, con i canti degli uccelli dai vari colori».
Il secondo si trova nella preghiera eucaristica della chiesa del Congo, elaborata dopo il concilio Vaticano II e approvata nel 1988 e sembra un adattamento del testo di millecinquecento anni prima: «Per mezzo di tuo Figlio Gesù Cristo tu, o Dio, hai creato il cielo e la terra; per mezzo di lui tu fai esistere i fiumi del mondo, i torrenti, i ruscelli, i laghi, e tutti i pesci che vivono in essi. Per mezzo di lui fai vivere le stelle, gli uccelli del cielo, le foreste, le savane, le pianure, le montagne e tutti gli animali che in esse vivono». Al cuore dell’eucaristia, all’interno della preghiera eucaristica - che per i cristiani costituisce il momento centrale e culminante dell’intera celebrazione e che, proprio per questo costituisce anche la «norma» di ciò che si crede - si collocano anche gli animali e le piante, anch’essi opera della creazione di Dio, anch’essi parte di quella terra che Dio ama, anch’essi segnati da caducità e sofferenza e partecipi dell’anelito di redenzione e vita piena dell’intera creazione.
Lo sguardo di Gesù
Il problema serio nel nostro rapporto con gli animali e i vegetali è che la nostra visione e percezione è ostruita, i nostri occhi sono ciechi, i nostri orecchi non sanno ascoltare le cose; non fosse così, tutto ci apparirebbe opera di Dio. Noi dovremmo saper ritrovare Dio al cuore della vita, vederlo all’opera nella terra da lui creata, in relazione con tutte le creature. Dovremmo esercitarci alla «conoscenza degli esseri», per imparare la contemplazione della natura, per avere lo stesso sguardo di Gesù quando osservava gli uccelli dell’aria, le piante da frutto messaggere dell’estate, i gigli dei campi più eleganti di Salomone.
Il nostro amore diverrebbe così amore non solo per gli esseri umani, ma per le creature tutte, animate e inanimate: un amore cosmico. Allora i cristiani saprebbero attendere, insieme al ritorno del Signore, anche il compimento dell’alleanza con le bestie selvagge, gli uccelli del cielo e i rettili della terra, nella re-intestazione di tutte le creature in Gesù Cristo e nella trasfigurazione di tutto. E saprebbero fare di questa loro attesa, voce di un’attesa cosmica, una speranza davvero universale, una speranza per tutti.