venerdì 30 settembre 2016

Corriere 30.9.16
Schweitzer, san Francesco luterano
Una concezione integrale del «rispetto per la vita» che coinvolge anche animali e piante
di Paolo Ricca

«Rispetto per la vita» è il cuore del pensiero e della vita di Albert Schweitzer, nato in Alsazia nel 1875, morto a 90 anni nel 1965, premio Nobel per la pace nel 1954. Pur avendo davanti a sé una brillante carriera universitaria (era un teologo di rango), vi rinunciò e nel 1913 parti per l’Africa equatoriale (di allora! Molto diversa da quella di oggi! È passato più di un secolo) e fondò un ospedale a Lambaréné, dove trascorse tutta la vita curando gli africani. Perciò fu chiamato «medico della giungla». In realtà fu e potrebbe ancora essere «medico della coscienza europea», per guarirla da una sua antica, oscura e temibile malattia mortale: la malattia del colonialismo, della violenza e della guerra, a cominciare dalla guerra agli animali, e insegnarle appunto il «rispetto per la vita» degli altri.
Era figlio di un pastore protestante (luterano), fu egli stesso pastore luterano e, pur diventando medico ed esercitando questa professione per tutta la vita, restò sempre pastore e predicatore evangelico. Ma che cosa c’è dietro questo suo programma del «rispetto per la vita»? Diciamo anzitutto che questa espressione traduce solo in parte l’espressione tedesca che ne è alla base: Ehrfurcht vor dem Leben , letteralmente: «timore sacro (o reverenziale) davanti alla vita», che è qualcosa di diverso e di più del semplice «rispetto» (che comunque è già molto). L’idea è che davanti alla vita ti devi fermare, non la puoi violare, non le puoi mettere le mani addosso, non puoi disporne a tuo piacimento, non ti appartiene, è qualcosa di infinitamente più grande di te, un mistero che ti trascende, di cui ignori il significato e il valore.
Da dove nasce il «rispetto per la vita»? Nasce da una doppia radice, una cristiana, l’altra indiana. Quella cristiana ha a che fare con Gesù e la sua attesa del Regno di Dio vicino (così lo chiama) che egli pensava sarebbe giunto ancora nella sua generazione. Il Regno non è venuto e in questo Gesù si è sbagliato, ma l’etica del Regno che egli ha messo in moto ed ha lui per primo messo in pratica è, secondo Schweitzer, valida in ogni tempo e per tutte le generazioni, più che mai per la nostra. Questa etica è scritta nel Sermone sulla Montagna dell’evangelista Matteo, nei capitoli da 5 a 7. Essa comporta la scelta nonviolenta e addirittura l’amore per i nemici. Su questa matrice cristiana s’innesta quella indiana, che Schweitzer scoprì studiando da vicino i grandi pensatori dell’India.
Fu però in Africa che l’idea gli venne, quasi come una folgorazione, durante un viaggio sul fiume, com’egli stesso raccontò in seguito più volte.
Quali sono i contenuti essenziali del «rispetto per la vita», nel quale si fondono l’etica e la religione, e che nasce dalla consapevolezza elementare che ciascuno di noi è innanzitutto «vita che vuole vivere, in mezzo ad altre vite che anch’esse vogliono vivere»? I contenuti sono questi.
1) La vita è sacra. Dono supremo (noi la possiamo trasmettere, non la possiamo creare; siamo creature, non creatori), ma anche estremamente vulnerabile, che è affidato alle nostre mani. Somma responsabilità che deve suscitare in noi un «timore sacro (o reverenziale)» davanti allo straordinario e inviolabile fenomeno della vita.
2) Ogni vita è sacra. «L’uomo è morale — dice Schweitzer — soltanto quando considera sacra la vita in sé, quella delle piante e degli animali, tanto quanto quella degli esseri umani, e si sforza di soccorrere ogni vita che si trovi in difficoltà, nella misura del possibile». Schweitzer si pone in tutto e per tutto nella linea di Francesco d’Assisi, che egli molto ammirava.
3) «Rispetto per la vita» non è un atteggiamento contemplativo, ma una forza interiore che motiva l’agire etico e mobilita la volontà a porsi al servizio della vita degli altri. «Come l’elica vorticosa spinge la nave attraverso le acque, così il rispetto per la vita spinge l’uomo ad agire».
4) Il «rispetto per la vita» non solo responsabilizza l’uomo in vista dell’azione, ma lo pone in un rapporto spirituale con il mondo. «Solo un’etica dai vasti orizzonti che ci imponga di rivolgere la nostra attenzione operosa a tutti gli esseri viventi ci pone davvero in un rapporto interiore con l’universo e con la volontà che in esso si manifesta». La natura non conosce il rispetto per la vita: la legge, in natura, è: mors tua vita mea . Solo l’uomo eticamente motivato è capace di praticare il rispetto per la vita, in modo che la legge diventi: vita tua vita mea .
5) Il rispetto per la vita è l’unico atteggiamento che corrisponde pienamente all’essere dell’uomo e alla sua vocazione nel creato. Vivendo l’etica del rispetto per la vita l’uomo realizza la sua umanità, raggiunge veramente la sua statura di uomo, si umanizza compiutamente. Non umanizza dunque solo la natura, ma umanizza in primo luogo se stesso.
Tutto questo — Schweitzer lo dice e ripete innumerevoli volte nei suoi interventi — vale anche e particolarmente per la vita degli animali, i più vicini a noi tra tutti gli esseri viventi, dei quali, come voleva Francesco d’Assisi, dobbiamo diventare fratelli, e non essere padroni.