La Stampa 30.9.16
Il favoloso mondo di Emilie
Massimo Gramellini
«Gli
sguardi degli altri. Me li sento addosso. I loro sorrisini quando
osservano le mie scarpe da ginnastica vecchie, i miei jeans sdruciti, il
mio maglione col collo alto. Mi chiamano clocharde, barbona». Emilie è
una vita di diciassette anni che ha tolto il disturbo perché a scuola
non ce la faceva più. Abitava in Francia, a Lille. Era la prima della
classe. Solo dopo la sua morte i genitori hanno trovato il diario che
lei aggiornava di continuo e hanno deciso di pubblicarlo. «Attraversare
il cortile è un percorso di guerra. Devi schivare i colpi, i calci, gli
sputi. Tapparti le orecchie per non sentire gli insulti e le
canzonature. Stare attenta allo zaino, ai capelli. E trattenere le
lacrime. Vedere buttati giù dalle scale i tuoi libri: i tuoi unici
amici. E andare a rinchiuderti in bagno, il solo angolo di questo posto
in cui si possa stare tranquilli.» Basta scorrere poche righe per
ritrovarsi al cospetto di un cuore sensibile e potente. Una bellezza
esplosiva della quale nessuno si era accorto. Sarebbe bastato poco.
Sarebbe bastato grattare via la patina delle apparenze, come si spazza
lo strato di polvere che copre l’ingresso di una miniera d’oro.
Gli
adolescenti possono non stare attenti a queste cose: la loro priorità
consiste nell’affermare se stessi, magari a discapito di qualcun altro.
Ma che neanche gli adulti che la circondavano abbiano mai prestato
attenzione alla complessa meraviglia di Emilie risuona quasi come una
bestemmia. «All’ora di pranzo mi dico: mezza giornata se n’è andata, non
rimane che l’altra metà. Poi però arriva un pensiero e rovina tutto:
domani si ricomincia».