Corriere 30.9.16
Diario di Emilie, suicida per i bulli
di Greta Sclaunich
Prima
della classe, ma anche bersaglio dei compagni di scuola a Lille.
Emilie, scesa a 42 chili, a dicembre si è gettata dalla finestra, il
mese dopo è morta. I genitori pubblicano il suo diario segreto.
Le toilette
Le
toilette sono il solo angolo di questa maledetta scuola dove sono
sicura di stare tranquilla. Riuscire a risparmiarmi un quarto d’ora di
supplizio rende la mia giornata meno insopportabile. Purtroppo, questo
momento di pace dura sempre troppo poco.
Il cortile
Mi
sentivo addosso gli sguardi degli altri. Vedevo i loro sorrisetti quando
mi fissavano, sentivo che guardavano le mie scarpe da ginnastica
vecchie, i miei jeans sfilacciati, il mio maglione con il collo alto e
il mio zainetto. Ho sentito qualcuno chiamarmi «barbona». Dieci metri di
cortile, 156 gradini e un corridoio ci separavano dalla classe. Questo
per me era come il percorso del combattente. Schivare i colpi, i calci,
gli sputi. Chiudere le orecchie per non sentire gli insulti e le prese
in giro. Controllare il mio zaino e i capelli. Trattenere le lacrime.
Ancora e ancora. Durante questi minuti infiniti.
La classe
Mi
sono seduta, davanti a sinistra, sola, con un perimetro di sedie vuote
intorno a separarmi dagli altri. «Ehi, la sai la novità?» ridacchia un
ragazzo abbastanza forte perché tutta la classe lo senta tranne la prof
«pare che diano un premio ai secchioni più brutti del Paese». «Davvero?»
risponde il suo compagno di banco «scommetto che abbiamo la vincitrice
in classe». «Sfortunatamente solo le ragazze possono partecipare. Mica
quella “cosa” seduta laggiù», replica il primo. La classe esplode in una
risata. Non reagivo, mi ha tirato la sua squadra in testa.
Le compagne di classe
«Bisognerebbe
inventare una categoria solo per lei. La tipa che non sa né vestirsi né
pettinarsi, per esempio», ridacchia una ragazza. «No, piuttosto quella
che non ha capito che sta usando l’armadio di sua nonna — esclama la sua
vicina —. Pensi che sappia dell’esistenza degli specchi?» «Ma certo che
no, altrimenti sarebbe già morta di vergogna», le risponde la prima.
La ricreazione
Era
il momento che odiavo di più: mezzogiorno. Tante prove mi aspettavano
in quest’ora e mezza. Salivo al quarto piano, dove non c’era mai
nessuno. A volte guardavo gli altri dalla finestra, li vedevo divertirsi
e mi chiedevo cosa avessero più di me. Mi dicevo: «Metà giornata è
passata, resta solo l’altra metà». Ma un pensiero rovinava tutto:
«Domani dovrò ricominciare».
I libri
Il ragazzo mi strappa
il libro dalle mani. «Se lo rivuoi, vallo a prendere» e lo butta giù
dalle scale. Mi rovinavano a tal punto la vita che non capivo perché
continuassero. Forse volevano togliermi ogni gioia, anche la più piccola
possibile.
A lezione
Un ragazzo mi spinge, cado a terra
davanti a tutti. Vedendoli ridere non sono riuscita a trattenere le
lacrime. Rialzandomi a fatica ho sentito qualcuno gridare: «Vuoi un
fazzoletto?». Attraverso il velo di lacrime ho visto che mi lanciavano
dei fazzolettini usati. Ho sentito qualcosa finire sui miei capelli.
Toccandoli alla ricerca di una pallina di carta o di una penna ho
sentito un chewing gum, incollato a una ciocca. Nella toilette, due ore
dopo, ho cercato di toglierla ma non ci sono riuscita. Ho dovuto
tagliarmi la ciocca. Potevano prendermi in giro quanto volevano, sarebbe
stato comunque meglio che girare con un chewing gum in testa.
Il ritorno a casa
Ritornando
a casa, lasciavo che le lacrime scendessero dai miei occhi. Mi
permettevo di piangere solo tre volte al giorno: al mattino prima di
andare a scuola, la sera rientrando, la notte nel mio letto.
I genitori
«Tutto
bene tesoro? Com’è andata la giornata?» mi chiede la mamma
abbracciandomi. «Benissimo». Avevo deciso di non dire a nessuno
dell’inferno che vivevo a scuola. Non volevo che i miei sapessero quanto
fossi penosa, che si impensierissero. Non volevo che andassero dal
preside: la situazione non avrebbe potuto che peggiorare se l’avessero
fatto.