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99 25.09.2016
merito
e competizione
gli
stranieri scelgono Genova
di
Andrea Dusio
A
Genova c’è un palazzo che sembra un porto di mare,
anche se sta abbarbicato su un colle della Val
Polcevera.
Ci lavorano circa millecinquecento persone, di
cui poco meno della metà è straniera. Bolzaneto, con
i suoi casermoni e i torrenti che si gonfiano paurosamente
a ogni pioggia, non è propriamente il luogo
dove uno sogna di vivere. Ma l’Istituto Italiano di
Tecnologia è tra i posti più ambiti a livello internazionaletra
quanti operano nel mondo della ricerca. I numeri
parlano da soli.
Di
millecento risorse scientifiche, quattrocentocinquanta vengono
dall’estero (dati aggiornati al
2016).
Una percentuale dunque del 41%, distribuita per
provenienza in 50 nazioni, e in cui l’incidenza di
italiani che rientrano è superiore al 15%.
L’età
media è di 34 anni, e le donne rappresentano il
40% del personale tecnico/scientifico (se si aggiungono gli
amministrativi, il numero delle risorse impiegate
è di 1.450 unità).
Qual
è il segreto di questa capacità attrattiva? L’Iit nasce
nel 2003 per iniziativa di Giulio Tremonti e Letizia Moratti,
allora rispettivamente ministro dell’Economia e
dell’Istruzione, con l’idea di dar vita a un ente
di ricerca finanziato dallo Stato ma con governance affidata
a una fondazione. Un modello guardato da
subito con sospetto nel mondo dell’università, e contestato
apertamente tanto da personalità del mondo
scientifico, a partire da Elena Cattaneo (che pure
nel 2012 aveva elogiato il modello organizzativo dell’istituto
genovese, come ha raccontato l’Espresso) e
Carlo Rubbia, quanto da esponenti di punta del mondo
confindustriale.
Giorgio
Squinzi, che all’epoca della nascita dell’Istituto aveva
le deleghe a innovazione e ricerca di viale dell’Astronomia,
lo definì «un carrozzone», aggiungendo che
comunque cento milioni non sarebbero bastati.
«Si devono moltiplicare per dieci gli stanziamenti, sennò
è il solito spreco di denaro pubblico», spiegava
allora l’imprenditore di Mapei.
I
numeri oggi dicono cose molto diverse. Al decimo anno
di attività (l’operatività vera e propria è a partire dal
2006), l’Istituto Italiano di Tecnologia compare nell’indice
di Nature che classifica le cento istituzioni scientifiche
più importanti del pianeta per qualità
della ricerca, a partire da uno strumento bibliometrico di
ordine quantitativo che prende in considerazione
il numero totale di articoli pubblicati su
di un panel di sessantotto riviste. Nell’e d i z i one 2015
dell’indice, l’Iit è al 49esimo posto, e al decimo assoluto
tra le realtà europee. Nella graduatoria
compare
solo un altro ente italiano: l’Università di
Torino, in 95esima posizione.
La
presenza di risorse superiori a quelle di cui dispongono il
Cnr o i centri di ricerca tradizionali spiega solo
in parte la consistenza della performance. «La retribuzione
del personale scientifico è allineata agli standard
internazionali», ammettono dall’Iit. «Il modello
di governance ci permette di essere un po’
più agili e fare offerte in funzione delle esigenze del
nostro piano scientifico, che viene riformulato ogni
tre anni, e che è sostenuto da undici programmi, sviluppati
nel laboratorio centrale di Genova,
negli 11 centri distribuiti sul territorio nazionale
e in due collocati negli Stati Uniti. Ma il
vero
punto di forza nel reclutamento è il tenure track.
Abbiamo scelto di operare con la stessa
policy
seguita ad Harvard. Ogni anno viene fatto un
bando in Rete, su Nature, Science e Cell, per
tutte
le posizioni aperte (quest’anno sono quattro), che
consente di raccogliere una short list di
curricula
basata sui titoli. La selezione viene affidata a
un gruppo di esperti esterni di caratura
internazionale,
che valuta i candidati sulla base di
un progetto scientifico di cinque anni. Chi viene
scelto
è dotato di autonomia operativa e diventa a
tutti gli effetti un ricercatore. Alla fine
del
quinquennio il candidato viene rivalutato e, nel
caso, confermato per altri cinque anni. A
conclusione
di questo percorso decennale la risorsa ha
l’opportunità di diventare tenured. Non
è
propriamente un contratto a tempo indeterminato, inquadramento
che all’Iit non esiste, perché
di
fatto i nostri scienziati vengono sempre giudicati
sulla base dei risultati, come se fossero
manager
d’azienda». Attualmente sono attivi circa
sessanta principal investigators con indipendenza di
ricerca e di budget.
È
grazie a questo modello di reclutamento che
operano nelle strutture dell’Iit, per stare
alla
“campagna acquisti” finalizzata a maggio 2015,
Arash Ajoudani, uno dei talenti maggiori
nell’ambito
di ricerca relativo all’interfaccia uomo-robot
e all’interazione fisica, o Sergey
Artyukhin,
che è ora alla guida del team che studia
la teoria dei materiali quantistici. Robotica
e
nuovi materiali rappresentano non a caso
due tra le aree in cui si concentra la maggiore
densità
di invenzioni per programma.
Tra
le risorse indipendenti che l’Iit è riuscita nel
primo decennio d’attività a mettere assieme, i
progetti
hanno un valore di oltre 130 milioni di euro.
I più rilevanti riguardano lo sviluppo del
grafene
e di altri materiali bidimensionali, la collaborazione con
Inail nel campo della robotica
protesica,
riabilitativa ed esoscheletrica, la nascita di
un laboratorio di microscopia ottica in collaborazione con
il Nikon Imaging Center, a cui si aggiungono
11 progetti finanziati dall’European
Research
Council, 130 progetti Ue, più di cento supportati
da istituzioni nazionali e internazionali
e
270 progetti industriali.
C’è
però chi sostiene che l’Istituto sia poco produttivo, e
che dipende ancora troppo dai fondi
statali
(che nel 2015, al netto della spending review, sono
stati di 96 milioni di euro). Le risorse
indipendenti
a bilancio 2015 sono di circa 25 milioni di
euro, di cui 19 acquisiti come contributo
finanziario
e 6 derivanti da contratti commissionati dall’industria,
licenze, produzione di prototipi
e
campioni, e accordi di joint-lab. «Una quota più
alta del 30% di entrate derivante da commesse
rappresenterebbe
un elemento pericoloso di squilibrio»,
spiegano ancora dall’Iit. «Certamente
può
e deve essere fatto ancora molto per potenziare la
parte derivante da contratti industriali,
ma
l’istituto nasce per fare ricerca, non per stare sul
mercato». Il governo ha scelto di affidare all’Iit
la
regia del nuovo polo della scienza che nascerà a
Milano nell’area ex Expo. Un nuovo riconoscimento, altre
polemiche.