martedì 27 settembre 2016

pagina 99 25.09.2016
merito e competizione
gli stranieri scelgono Genova

di Andrea Dusio
A Genova c’è un palazzo che sembra un porto di mare, anche se sta abbarbicato su un colle della Val
Polcevera. Ci lavorano circa millecinquecento persone, di cui poco meno della metà è straniera. Bolzaneto, con i suoi casermoni e i torrenti che si gonfiano paurosamente a ogni pioggia, non è propriamente il luogo dove uno sogna di vivere. Ma l’Istituto Italiano di Tecnologia è tra i posti più ambiti a livello internazionaletra quanti operano nel mondo della ricerca. I numeri parlano da soli.
Di millecento risorse scientifiche, quattrocentocinquanta vengono dall’estero (dati aggiornati al
2016). Una percentuale dunque del 41%, distribuita per provenienza in 50 nazioni, e in cui l’incidenza di italiani che rientrano è superiore al 15%.
L’età media è di 34 anni, e le donne rappresentano il 40% del personale tecnico/scientifico (se si aggiungono gli amministrativi, il numero delle risorse impiegate è di 1.450 unità).
Qual è il segreto di questa capacità attrattiva? L’Iit nasce nel 2003 per iniziativa di Giulio Tremonti e Letizia Moratti, allora rispettivamente ministro dell’Economia e dell’Istruzione, con l’idea di dar vita a un ente di ricerca finanziato dallo Stato ma con governance affidata a una fondazione. Un modello guardato da subito con sospetto nel mondo dell’università, e contestato apertamente tanto da personalità del mondo scientifico, a partire da Elena Cattaneo (che pure nel 2012 aveva elogiato il modello organizzativo dell’istituto genovese, come ha raccontato l’Espressoe Carlo Rubbia, quanto da esponenti di punta del mondo confindustriale.
Giorgio Squinzi, che all’epoca della nascita dell’Istituto aveva le deleghe a innovazione e ricerca di viale dell’Astronomia, lo definì «un carrozzone», aggiungendo che comunque cento milioni non sarebbero bastati. «Si devono moltiplicare per dieci gli stanziamenti, sennò è il solito spreco di denaro pubblico», spiegava allora l’imprenditore di Mapei.
I numeri oggi dicono cose molto diverse. Al decimo anno di attività (l’operatività vera e propria è a partire dal 2006), l’Istituto Italiano di Tecnologia compare nell’indice di Nature che classifica le cento istituzioni scientifiche più importanti del pianeta per qualità della ricerca, a partire da uno strumento bibliometrico di ordine quantitativo che prende in considerazione il numero totale di articoli pubblicati su di un panel di sessantotto riviste. Nell’e d i z i one 2015 dell’indice, l’Iit è al 49esimo posto, e al decimo assoluto tra le realtà europee. Nella graduatoria
compare solo un altro ente italiano: l’Università di Torino, in 95esima posizione.
La presenza di risorse superiori a quelle di cui dispongono il Cnr o i centri di ricerca tradizionali spiega solo in parte la consistenza della performance. «La retribuzione del personale scientifico è allineata agli standard internazionali», ammettono dall’Iit. «Il modello di governance ci permette di essere un po’ più agili e fare offerte in funzione delle esigenze del nostro piano scientifico, che viene riformulato ogni tre anni, e che è sostenuto da undici programmi, sviluppati nel laboratorio centrale di Genova, negli 11 centri distribuiti sul territorio nazionale e in due collocati negli Stati Uniti. Ma il
vero punto di forza nel reclutamento è il tenure track. Abbiamo scelto di operare con la stessa
policy seguita ad Harvard. Ogni anno viene fatto un bando in Rete, su Nature, Science e Cell, per
tutte le posizioni aperte (quest’anno sono quattro), che consente di raccogliere una short list di
curricula basata sui titoli. La selezione viene affidata a un gruppo di esperti esterni di caratura
internazionale, che valuta i candidati sulla base di un progetto scientifico di cinque anni. Chi viene
scelto è dotato di autonomia operativa e diventa a tutti gli effetti un ricercatore. Alla fine
del quinquennio il candidato viene rivalutato e, nel caso, confermato per altri cinque anni. A
conclusione di questo percorso decennale la risorsa ha l’opportunità di diventare tenured. Non
è propriamente un contratto a tempo indeterminato, inquadramento che all’Iit non esiste, perché
di fatto i nostri scienziati vengono sempre giudicati sulla base dei risultati, come se fossero
manager d’azienda». Attualmente sono attivi circa sessanta principal investigators con indipendenza di ricerca e di budget.
È grazie a questo modello di reclutamento che operano nelle strutture dell’Iit, per stare
alla “campagna acquisti” finalizzata a maggio 2015, Arash Ajoudani, uno dei talenti maggiori
nell’ambito di ricerca relativo all’interfaccia uomo-robot e all’interazione fisica, o Sergey
Artyukhin, che è ora alla guida del team che studia la teoria dei materiali quantistici. Robotica
e nuovi materiali rappresentano non a caso due tra le aree in cui si concentra la maggiore
densità di invenzioni per programma.
Tra le risorse indipendenti che l’Iit è riuscita nel primo decennio d’attività a mettere assieme, i
progetti hanno un valore di oltre 130 milioni di euro. I più rilevanti riguardano lo sviluppo del
grafene e di altri materiali bidimensionali, la collaborazione con Inail nel campo della robotica
protesica, riabilitativa ed esoscheletrica, la nascita di un laboratorio di microscopia ottica in collaborazione con il Nikon Imaging Center, a cui si aggiungono 11 progetti finanziati dall’European
Research Council, 130 progetti Ue, più di cento supportati da istituzioni nazionali e internazionali
e 270 progetti industriali.
C’è però chi sostiene che l’Istituto sia poco produttivo, e che dipende ancora troppo dai fondi
statali (che nel 2015, al netto della spending review, sono stati di 96 milioni di euro). Le risorse
indipendenti a bilancio 2015 sono di circa 25 milioni di euro, di cui 19 acquisiti come contributo
finanziario e 6 derivanti da contratti commissionati dall’industria, licenze, produzione di prototipi
e campioni, e accordi di joint-lab. «Una quota più alta del 30% di entrate derivante da commesse
rappresenterebbe un elemento pericoloso di squilibrio», spiegano ancora dall’Iit. «Certamente
può e deve essere fatto ancora molto per potenziare la parte derivante da contratti industriali,
ma l’istituto nasce per fare ricerca, non per stare sul mercato». Il governo ha scelto di affidare all’Iit
la regia del nuovo polo della scienza che nascerà a Milano nell’area ex Expo. Un nuovo riconoscimento, altre polemiche.