La Stampa TuttoScienze 7.9.16
Mente binaria e un Io esagerato: perché siamo sempre meno Sapiens
Cresce
il conflitto tra reti sociali primordiali e reti high tech Le loro
regole non sono più compatibili e così sboccia la violenza
di Claudio Tuniz Patrizia Tiberi Vipraio
Dopo
tante analisi politiche, sociologiche, economiche e filosofiche sulla
guerra, vista per tanti decenni da lontano (almeno per la nostra
generazione di baby boomers occidentali), ecco che ora questa entra,
dirompente, nella nostra vita quotidiana e ci impone risposte che non
riusciamo a dare. È forse giunto il momento, allora, di cercare, prima
di tutto, le domande giuste. Proponiamo di cominciare dall’inizio e di
chiederci dove abbia origine la guerra.
L’unica
risposta che riusciamo a dare è: dentro di noi. Questa predisposizione è
iniziata all’inizio della nostra traiettoria evolutiva, quando, come
umani, siamo stati capaci di inventarci tante ragioni per farla.
Paradossalmente, si associa al suo contrario e cioè all’empatia con i
nostri simili, scelti in base a criteri arbitrari: la razza, la patria,
la religione. La guerra, quindi, è frutto di un processo mentale: è il
risultato delle nostre capacità di astrazione, volte a creare una rete
sociale (fra noi) che ci spinga a uccidere (altri), anche al prezzo
della nostra vita.
Tutto cominciò
immaginando strumenti nelle pietre; questo ci consentì di andare «oltre
natura», superando i limiti della nostra fisicità. Poi immaginammo di
essere padroni del fuoco. Con queste prime armi cacciammo grandi animali
e altri ominidi simili a noi. In seguito, grazie alle nuove
configurazioni di reti neurali, in cervelli sempre più grandi, generammo
una comunicazione più elaborata e fummo in grado di formare reti
sociali più ampie di quelle dei nostri cugini scimpanzé e degli altri
ominidi. Ma fu solo a partire da 100 mila anni fa che ci distinguemmo
radicalmente da ogni altra specie, quando, in piena era glaciale, fummo
in grado di generare pensiero simbolico.
Questa
capacità ci consentì di produrre linguaggi complessi e culture capaci
di aggregare moltitudini attorno a una visione astratta del mondo, con
regole di comportamento concrete e condivise. Usammo per questo miti,
religioni e gerarchie sociali. Dalle reti mentali nacquero altre reti,
materiali, con la stratificazione delle classi sociali, la divisione del
lavoro, gli scambi di beni e servizi, l’accumulazione della ricchezza e
l’emergere dell’ingiustizia. Diventammo presto i padroni del mondo.
Cercando di comunicare nel tempo e nello spazio inventammo l’arte
rupestre, la scultura, la scrittura, le nuove tecnologie informatiche,
accumulando e diffondendo sempre più la conoscenza.
Con
la divisione del lavoro diventammo un organismo sociale sempre più
interdipendente. Dalle piccole reti tribali siamo arrivati a formare
reti globali sempre più fitte e interconnesse. Tutte queste reti
convivono, nel mondo contemporaneo, ma le loro regole di funzionamento
non sembrano più compatibili. La nostra mente non si è ancora abituata a
tenere conto di questa complessità. Le ragioni sono almeno due. La
prima è che continuiamo a pensare in termini binari: se una cosa è vera,
il suo contrario deve essere falso; se uno ha ragione, l’altro ha
torto. La seconda è che abbiamo sviluppato una concezione esagerata del
nostro io. Queste inclinazioni ci inducono ad analizzare la realtà per
singoli punti di osservazione, dall’interno, trascurando le relazioni e i
processi circolari che ne emergono.
In
un’ottica di rete, invece, si capirebbe che le attuali tensioni
dipendono da una connessione globale della società contemporanea che è
in conflitto con la connessione territoriale concepita nel passato.
Sotto traccia vi è una crisi delle vecchie reti sociali, in cui
aumentano le ingiustizie e quindi cedono le vecchie alleanze, dentro e
fuori gli Stati nazionali.
La crisi non
dipende solo da quanto appare in superficie - un conflitto di tipo
economico o culturale - ma anche da quanto avviene in profondità:
un’incompatibilità fra vecchie e nuove reti organizzative. Le prime
basate sul presidio ideologico del territorio, nelle sue diverse
articolazioni politiche e religiose, le seconde generate dall’evoluzione
tecnologica dell’informazione e della comunicazione. La nuova
configurazione delle reti - se ci sarà - dipenderà dall’esito della
tensione fra mobilità e radicamento delle persone e delle idee.