La Stampa 9.9.16
Freccero: “Tocca ad Appendino, è lei la leader perfetta del M5S”
“Di Maio e Raggi hanno capito che le bugie sono parte del potere”
di Ilario Lombardo
Vuole
fare un paio di premesse Carlo Freccero (filosofo dei media, autore tv,
membro del Cda Rai proposto dal M5S, ultima pubblicazione: «L’idolo del
capitalismo»). Prima premessa: «Io sono novecentesco, ideologico, credo
nella divisione tra destra e sinistra. Il M5S invece è post-ideologico,
opera nella post-democrazia più emotiva e meno razionale». Seconda
premessa: «Noi siamo sempre meno animali politici e sempre più animali
mediatici. Sono i media a condizionare la vita politica».
Seguendo
il suo ragionamento di entomologo dell’homo mediaticus si arriva alla
nuova genia di politici, i barbari chattanti calati nei palazzi romani
inseguendo la loro Utopia dei clic. Quei ragazzi sognanti guidati da un
comico e un ingegnere che hanno dovuto sbattere il muso con la realtà
del potere, con la responsabilità del governo, per mostrarsi nudi.
Le bugie di Di Maio e di Raggi dimostrano che loro oggi sono parte di quel potere che volevano abbattere per cambiare?
«La
bugia è consustanziale al potere. Hanno capito, loro due prima di
tutti, che per gestirlo devi entrare in una zona grigia e vischiosa che
non può essere buona per loro e cattiva per gli altri. Con il potere sei
costretto a imbastardirti. E senza competenze, quelle che, soprattutto
in una città come Roma, trovi proprio nelle zone grigie - vedi
l’assessora Paola Muraro - anche il potere diventa arbitrio».
Il
palazzo di vetro, il totem dello streaming, l’ideologia della
trasparenza hanno lasciato spazio a Di Maio che nasconde la verità e che
nelle chat scriveva «i panni sporchi si lavano in casa»?
«Ma è
ovvio che quell’utopia di Casaleggio ha lasciato il posto alla realtà
della politica condizionata dai media. Di Maio ha impresso una mutazione
al Movimento che è incarnata nella sua figura istituzionale, moderata,
vestita con abiti da commissario del Viminale».
Nel processo di costruzione di un leader c’è stato un incidente.
«Sì,
in un certo senso Di Maio si è bruciato. Anche Raggi nella difesa
estrema dell’assessora Muraro, indagata, ha rischiato di bruciarsi. Ma è
pur sempre meglio dire una bugia che avere le strade sporche e piene di
topi. Per il resto, stanno facendo pasticci, è chiaro. Ma è comunque
una battaglia mediatica. Possono trasformare la scivolata in
un’opportunità. Di Maio può risorgere. Ma ha bisogno di stropicciarsi un
po’. Soprattutto ora, in un clima di referendum e di polarizzazione,
contro il ragazzo del contado di Firenze. Il suo abito era perfetto per
introdurre il M5S al potere, ora vale di più la felpa alla Salvini».
Sul palco di Nettuno l’unico a indossare le felpa era Di Battista, potrebbe prendere lui il posto di Di Maio?
«Non
credo proprio. Questa è l’impressione che abbiamo dall’esterno, noi che
subito ci mettiamo alla caccia di un leader. Di Battista va bene in
questa fase, recupera il rapporto con la pancia della piazza, serve per
lo spettacolo della politica. In questo è il più bravo. Va in giro in
tour per l’Italia e fa i pienoni».
Vede qualcun altro in grado di contendere la leadership a Di Maio?
«È
sotto gli occhi di tutti, ed è Chiara Appendino. La sindaca di Torino è
bravissima, ed è il giusto compromesso tra Di Maio e Di Battista, è il
tramite tra l’abito e la felpa. È una donna posata, moderna, ha fatto la
Bocconi, dove prima o poi si torna sempre. Nel gioco di costruzione del
leader io punterei su di lei. Ma attenzione».
A cosa?
«Ad
affrettare nomi e scenari. Perché il M5S è stato plasmato da Casaleggio
sulla centralità della Rete. La Rete non vuole leader ma influencer. E
questo spiega la grande seduta di psicanalisi pubblica a cui è stato
sottoposto anche il direttorio: punito in piazza, a Nettuno, e poi
assolto sul palco da Grillo nelle vesti di don Beppe sempre più simile
nei modi a don Matteo».
Regge ancora l’idea fondativa del M5S dell’uno vale uno?
«Anche
loro hanno capito che tutti i partiti nell’era post-ideologica hanno
bisogno di un leader. Il M5S ne aveva due, ma esterni. Un ingegnere
informatico e un comico. Uno la mente, l’altro il braccio, entrambi
consapevoli della forza della propaganda. L’alternativa a loro due,
soprattutto dopo la morte di Casaleggio, è stato il direttorio. È da lì
che si vuole ripartire dopo il trauma di Roma, dal gruppo che si
riappropria della propria diversità».
È la tesi che sostiene Roberto Fico: tornare a un’idea originaria, movimentista, orizzontale, senza leader.
«Ma
infatti può essere un nuovo inizio per il M5S. Come gli altri, però, il
Movimento vive nella post-democrazia e deve fare i conti con il grande
talent show della politica: quel gioco che attraverso la rete spinge il
cittadino a un ruolo più attivo nella scelta dei protagonisti e dove la
comunicazione è fondamentale».
In questo il M5S è il più mediatico
dei partiti, attento alla rappresentazione, paranoico al suo interno
sui messaggi all’esterno, presente in tv ma quasi sempre senza
contraddittorio.
«È figlio di questi tempi. E infatti appena fanno
una cazzata vengono aggrediti e scoppiano faide come se fossero nel
Grande Fratello. La differenza la fa la responsabilità di governo. Roma è
un test per i 5 Stelle. Il più difficile e per affrontarlo hanno
bisogno di persone competenti e di fare i conti con il potere e le sue
incarnazioni. Ecco perché si sono rivolti a una monnezzara che ha
frequentato certi ambienti. Ecco perché capisco Raggi quando difende
Muraro».
Si sono riscoperti anche garantisti. Raggi, una 5 Stelle,
ha detto «La Procura non può utilizzare uno strumento così come un
manganello». Neanche Berlusconi...
«Ma certo. Raggi è la prima a
sposare una linea garantista. Fosse per gli altri del M5S riempirebbero
la giunta di magistrati e poliziotti, che hanno ruoli meno produttivi e
più di controllo. Sarebbe un governo di ordine morale tipo quelli di
certe destre militari. Manca solo il prete...».
Inchiesta sulle case di Sala non dichiarate, la Procura conferma: “Un caso da archiviare”.
Prima che lo sappia la Raggi
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