La Stampa 8.9.16
In piazza la tribù sacrifica Di Maio
Di Battista superstar si prende la scena
Il
vicepresidente della Camera ammette: “Ho sbagliato, chiedo scusa a
tutti” Anche Grillo lancia “Dibba” che affossa le Olimpiadi, attacca
Renzi e Boschi
di Andrea Malaguti
Lo amano. Lo
adorano. Lo vogliono. E’ del tutto ovvio che da oggi il Sovrano è lui.
C’è l’intera piazza di Nettuno che si schiera ai piedi di Alessandro Di
Battista.
Di Battista è giunto all’ultima tappa del suo
tour di cinquemila chilometri per dire No ai quesiti del referendum
costituzionale, a chiarirlo senza ombra di dubbio. Il passaggio di
consegne con Luigi Di Maio forse non è nella forma, di certo lo è nella
sostanza. «Dibba, Dibba, Dibba, Dibbaaaaaa». E’ il boato scaricato in
cielo con un fanatismo da concerto vascorossiano al termine di questo
curioso processo cinese organizzato da BeppeMao nel Lazio, in cui il
colpevole - Di Maio Luigi, vicepresidente della Camera - ben accolto e
tiepidamente applaudito, viene condannato prima del dibattimento ed è
costretto a cospargersi il capo di cenere di fronte alla platea, per
consentire al Movimento di proseguire purificato il proprio processo
rivoluzionario. «Ho sbagliato, scusate».
C’era Di Maio. Oggi c’è
Di Battista. E’ questo il primo risultato del dilettantesco pasticcio di
Roma, che finisce per penalizzare Di Maio più della confusa e
incomprensibile sindaca Virginia Raggi, due delibere in ottanta giorni. E
anche Beppe Grillo, l’antico Capo Tribù piombato nei dintorni della
Capitale per rimediare al disastro, finisce per sparire davanti al
sorprendente potere ipnotico del nuovo Capobranco, che attacca la Rai,
le banche, Renzi, la Merkel, la Boschi, invocando più Italia, più
sovranità, una moneta propria e soprattutto ribadendo l’ennesimo
definitivo No alle Olimpiadi. «E’ questa la vera battaglia che si sta
combattendo a Roma. Ma noi non molliamo. Mentre loro, le lobby, i
palazzinari, la politica, sentono le sirene della Polizia e cercando di
scappare con il malloppo».
Piove e Nettuno è di Alessandro Di
Battista. E’ lui il primo a salire sul palco per introdurre i compagni
della serata, è lui l’ultimo ad andarsene dopo più di un’ora. In mezzo
il comizio-processo, organizzato per dare l’immagine di un universo
ancora unito, solido e solidale, pensato apposta per nascondere sotto il
tappeto la polvere soffocante delle risse interne, delle gelosie, dei
piccoli tradimenti, e soprattutto delle scelte discutibili di assessori
piombati nella giunta capitolina da galassie da sempre ritenute
mefitiche dai Cinque Stelle: il previtismo, l’alemannismo o la palude
dei dirigenti buoni per tutte le stagioni. Ci sono i cinque del
direttorio sul palco con Grillo e sparso tra la folla anche qualche
parlamentare tendenza Di Maio, ma il buco, enorme, non è tanto quello
dei senatori - che non hanno mai digerito il piccolo gruppo dirigente
incardinato alla Camera - o della Raggi, quanto quello lasciato da
Gianroberto Casaleggio. Senza di lui il tavolo è zoppo. Le idee più
pigre. Gli schemi più prevedibili. Eppure proprio Di Maio e Di Battista
sembravano destinati a clonare lo schema dei Fondatori nella staffetta
generazionale. Non è ancora così. Forse non sarà mai così.
Di Maio
ha una camicia bianca e il viso tirato e per non sembrare un cocker con
la faccia da duro prova a darci dentro con la voce e con la mimica, ma
quello che dice è poco e un filo imbarazzante. Sintetizzando: la Muraro è
indagata per colpa del Pd, ho visto la mail e non ho capito. «Vi chiedo
scusa, ho sbagliato, ma noi non ci simo mai messi un soldo in tasca. E
anzi ne restituiamo». I cattivi sono loro. Bravo, coraggioso, Applausi.
Grillo lo abbraccia, Fico lo gela: «Il movimento non ha leader, è
fluido, noi siamo il popolo, niente più di questo». E’ questo il
messaggio di fondo. Ma poi comincia lo show del Dibba e allora un nuovo
leader è proprio lì. Racconta il suo tour da nord a sud, parla di
ospedali che si chiudono, di ottanta euro che sono mancia elettorale, di
tg che sono Pd. Il caso Roma è per i giornali di regime e per i poveri
di mente. «Oggi goccia di pioggia che scende sui vostri volti diventerà
una goccia di sudore freddo sul volto del premier», giura. Di Maio
applaude rigido. Qualcuno grida il nome di Di Maio. «Vai Luigi, non ti
buttare giù». Che non è esattamente la frase che si urla a un leader. Di
Battista invece bacia, stringe mani, firma autografi, si ferma per i
selfie, finché la marea montante rischia di soffocarlo. e allora per la
prima volta arrivano i carabinieri e la polizia, perché il servizio
d’ordine non basta più. «Dibba. Sei il nostro premier». Forse. O forse
non sarà né lui né Di Maio, perché ambienti molti vicini a Grillo fanno
sapere che anche un altro nome è in corsa: Chiara Appendino, sindaca di
Torino, 162 delibere e zero polemiche. Non è mai vero che uno vale uno.