giovedì 29 settembre 2016

La Stampa 29.9.16
«I grandi centri non agevolano l’integrazione»
di Francesca Paci

«Finché i leader non smetteranno di trattare il fenomeno migrazioni come una questione interna da gestire per il mantenimento del consenso saremo in alto mare». Non usa giri di parole Francesco Rocca, presidente della Croce Rossa Italiana e vicepresidente della Federazione internazionale della Croce Rossa e della Mezzaluna Rossa. È tornato dal mega summit sui rifugiati di New York con molte domande e poche risposte.
Cosa ha prodotto l’incontro con i big del mondo?
«Di concreto quasi nulla. Oggi la situazione richiede interventi reali perché i trafficanti sono molto più veloci dei politici a fiutare l’aria. Basta guardare i dati dell’ Overseas Development Institute. Ci sono 330 mila migranti che ufficialmente hanno raggiunto l’Europa nel 2016 ma nello stesso periodo sono state registrate 890 mila richieste di asilo, uno scarto enorme. Mancano all’appello circa 500 mila persone, significa che ci sono enormi flussi nascosti».
In questa ottica l’Italia ha proposto il Global Compact. Funzionerà o rischia di essere un nuovo appaltare le frontiere come nel caso della Turchia?
«Ammesso che funzioni bisogna capire che non sarà comunque possibile chiudere i rubinetti. Per questo dovremmo cominciare a non chiamare più emergenza un fenomeno destinato a restare con noi. Prendete il Corno d’Africa, la Croce Rossa ha iniziato ad occuparsene nel 1988 e dopo 30 anni continuano ad arrivare somali, eritrei, etiopi, la regione non si è stabilizzata».
Cosa fare nel frattempo in Italia?
«Il nostro fiore all’occhiello è il centro di Settimo Torinese, dove ospitiamo 300 migranti. L’idea però è puntare su centri più piccoli, da 20 o 30 persone, strutture che facciano meno paura e dove si possa lavorare direttamente all’integrazione dei singoli».