La Stampa 29.9.16
“Migranti tagliati fuori dal mondo del lavoro”
Uno studio tedesco: in Italia le risorse impiegate tutte per l’accoglienza
di Nadia Ferrigo
Per
il nostro Paese che invecchia troppo in fretta i migranti sono
un’opportunità da cogliere al volo. Questa la conclusione del rapporto
curato dalla fondazione tedesca Bertelsmann, «From refugees to workers»,
che analizza le politiche di integrazione per richiedenti asilo e
rifugiati in Austria, Danimarca, Francia, Germania, Italia, Paesi Bassi,
Spagna, Svezia e Gran Bretagna . Per arrivare a un’integrazione sociale
ed economica di successo, c’è un passaggio tanto obbligato quanto
difficile da ottenere: il lavoro.
Rispetto agli altri Stati presi
in esame, Italia e Grecia hanno una difficoltà in più: gran parte delle
risorse sono concentrate sulla «prima assistenza». Vale a dire,
l’emergenza degli sbarchi. In Italia nel 2013 le richieste di asilo sono
state 26.620 su un totale di 43.040 arrivi, nel 2014 64.886 su un
totale di 170.100. Meno della metà di chi arriva sceglie di restare.
«I
livelli di assistenza sono tre: prima accoglienza, i sistemi Sprar e
Cara e poi l’ultima fase, dopo il riconoscimento del diritto della
protezione umanitaria - spiega Alessandra Venturini, professoressa di
Economia politica all’Università di Torino e vice-presidente del
Migration Policy Center di Firenze -. In altri paesi, come la Germania,
la maggior parte delle risorse è dedicata lavoro e integrazione».
Tra
i punti di forza del sistema italiano, c’è il successo della rete di
accoglienza diffusa Sprar - circa il 64% degli ospiti hanno un lavoro,
contro il 50% dei Cara, i centri di accoglienza per richiedenti asilo -,
e la possibilità, almeno sulla carta, di avere un impiego sei mesi dopo
aver ottenuto la protezione internazionale. Grecia e Svezia sono i
paesi più liberali, mentre in Regno Unito e in Francia le attese sono
rispettivamente di un anno e di nove mesi.
«L’Italia per esempio
ha percorsi di riconoscimento professionale più rapidi che altrove -
continua Venturini -. Un corso da saldatore può durare 300 ore, in
Germania invece passano tre anni. Il problema è che la domanda è poca».
Il tasso di disoccupazione italiano è del 12%, quello tedesco del 4%. La
disoccupazione, nel nostro Paese è un problema strutturale, come il
lavoro informale. Il nostro «salvagente» sono proprio i lavori precari o
cosiddetti in nero. Che però non favoriscono l’inculsione degli
stranieri, anzi.
«Per sfruttare al meglio le risorse è necessario
cambiare le dinamiche con cui i migranti si spostano - conclude
Venturini -. L’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati lo
scorso anno ha concluso un programma di resettlement, cioè di nuovo
insediamento, per 100 mila persone. Davvero troppo poco».