giovedì 29 settembre 2016

Corriere 29.9.16
L’amnesia delle sindache sulle quote
di Dario Di Vico

Dall’alto dei loro recenti e indiscutibili successi elettorali le due sindache del Movimento 5 Stelle ieri hanno detto pubblicamente la loro sulle quote di genere. E le hanno inesorabilmente bocciate. Virginia Raggi, più radicale anche in questa circostanza, ne ha parlato come di un «recinto» nel quale il legislatore ha voluto confinare le donne per discriminarle e offenderle. Chiara Appendino è stata più cauta e in sintesi ha sostenuto che i cittadini votandola hanno dimostrato di essere più evoluti di norme top down che invece assegnano cariche alle donne saltando il merito (nell’economia) e il consenso (in politica).
Il dibattito sulle quote di genere dura — si può dire ininterrottamente — da circa 10 anni e ha prodotto divisioni sia dentro le élite economiche sia nella società politica e di conseguenza il giudizio delle due sindache si aggiunge a un menù di opinioni già di per sé articolato. Detto questo però non convince assolutamente la tesi di una contraddizione «strutturale» tra misure forzose di apertura nella selezione delle élite e il successo di outsider della politica come sono Raggi e Appendino. Tutt’altro. Le quote di genere sono servite a far saltare un chiavistello e creare nella realtà quotidiana un numero consistente di buone pratiche. La società italiana non si stava aprendo al pari delle consorelle europee e il legislatore ha trovato giusto inserire norme che accelerassero la discontinuità.
Tutto si può dire tranne dunque che le quote di genere fossero «contro» le donne oppure che non abbiano avuto successo. Laddove si applicano direttamente, ovvero nella composizione dei consigli di amministrazione, i dati parlano almeno di un raddoppio della presenza femminile che non risulta abbia compromesso l’efficienza di quegli organismi, anzi.
In politica abbiamo conosciuto nelle ultime elezioni politiche un massiccio ingresso di donne soprattutto nei gruppi parlamentari del Pd e dei Cinque Stelle che non sono figlie in toto dei meccanismi (un po’ astrusi) delle doppie preferenze ma che comunque sono espressione del combinato disposto tra nuove norme e mutamento sociale di questi anni. Gli ultimi a dolersi quindi delle quote di genere dovrebbero essere gli esponenti di Cinque Stelle. E comunque il dibattito — anche da parte loro — dovrebbe essere aggiornato, superare gli schemi di un tempo e individuare i nuovi termini della questione. Persino in facoltà tradizionalmente maschili come ingegneria c’è stata un’avanzata delle iscrizioni e delle lauree femminili, ma poi quando dal titolo di studio si passa al posto di lavoro si ripresentano nuove esclusioni? È solo una domanda (e un esempio), se però fossimo Raggi e/o Appendino ci penseremmo due volte a dire che l’agenda rosa è retrò.