La Stampa 29.9.16
“Un recinto per panda”
Le sindache grilline bocciano le quote rosa
Raggi e Appendino: “aiutini” che non favoriscono la meritocrazia
di Federico Capurso
Talvolta
invocate come soluzione per le pari opportunità, altre volte bollate
come simbolo di una discriminazione al contrario, le «quote rosa»
diventano oggi il bersaglio di Virginia Raggi e Chiara Appendino, le
donne più in vista della politica pentastellata.
Una è sindaca di
Roma, l’altra guida Torino. Sulle quote rosa la pensano allo stesso
modo, anche se i toni sono diversi. «Una sorta di recinto per panda in
cui si è voluta circoscrivere la presenza femminile», le ha definite la
Raggi, invitata ad aprire il convegno organizzato dal «Women’s
international networking» a Roma. Da Torino, per fare quadrato intorno
alla sindaca romana, interviene poco più tardi Appendino: «Il modello
ideale a cui tendere è quello senza quote rosa». Per arrivare a
un’uguaglianza nelle posizioni di vertice, la sindaca torinese
suggerisce piuttosto «un nuovo welfare che aiuti le donne sul posto di
lavoro». Insomma, più assistenza, orari di lavoro flessibili, asili
nido. L’affondo arriva anche qui da un convegno («Women, we can») in
comune con Jessica Ground, politologa statunitense che è stata
direttrice della campagna elettorale «Women Ready for Hillary», a favore
della candidata democratica. Una occasione per ricordare che le leader
nazionali nel mondo sono soltanto 22, su oltre 200 Paesi, e che la
rappresentanza media delle donne nei parlamenti è di appena il 22,8%.
Se
Raggi e Appendino si scoprono oggi contro ogni «aiutino» di genere, non
è stato sempre così. Proprio le quote rosa, a giugno, erano state
portate dal Campidoglio come ragione sufficiente a scaricare il rugbista
Andrea Lo Cicero, indicato prima del ballottaggio come futuro assessore
allo Sport ma travolto dalle accuse di omofobia per delle frasi
contenute nella sua autobiografia. Nomina sacrificata sull’altare delle
quote di genere che invece oggi, per Raggi, aiutano «la discriminazione
perché non aiutano la meritocrazia». E non è da meno Appendino che nel
2011, ai tempi in cui era solo consigliera a palazzo Civico
pragmaticamente scriveva: «Penso che, per come sia strutturata la
società italiana, forse non ci sia altro rimedio veloce per aumentare la
partecipazione femminile se non quello più drastico in assoluto, che
individuo appunto nell’imposizione della parità di genere». Viva le
quote rosa e dietrofront.
Al di là delle contraddizioni, i motivi
di queste polemiche sembrano piuttosto nascondersi all’ombra del
Campidoglio. Il perno attorno al quale ruotano i pensieri del Movimento è
ancora la ricerca dei nomi necessari a completare la giunta romana. È
da lì che proviene il calo nei sondaggi a livello nazionale. La casella
più importante da riempire è quella, lasciata libera dagli addii di
Marcello Minenna prima e di Raffaele De Dominicis poi, dell’assessore al
Bilancio, Patrimonio e Partecipate. L’assessorato, come ha ribadito
oggi la stessa Raggi, verrà spacchettato in due: uno al Bilancio e
Patrimonio e uno alle Partecipate. Nascerebbe dunque la necessità di
nominare almeno una donna per mantenere la parità di genere in giunta. È
chiaro, tuttavia, che il paletto delle quote rosa nella già
difficoltosa ricerca di candidati diventerebbe un criterio troppo
stringente.
Da qui, gli attacchi preventivi lanciati in queste
ore, per fornire un alibi in occasione delle future polemiche che
potrebbero nascere intorno a una giunta che difficilmente riuscirà a
mantenere pari numero di uomini e donne al suo interno. E mentre da una
parte si rinsalda l’asse Roma-Torino, con Appendino chiamata ad
accorrere in aiuto della collega, dall’altra si dà dimostrazione di
come, di fronte alle necessità di governo, non sia sempre possibile
scegliere il bianco o il nero. Persino le quote rosa possono essere
rivestite del colore politico per eccellenza: il grigio.