Corriere 29.9.16
Davigo: con i processi sulle primarie capiremo come funzionano i partiti
Il capo dell’Anm: prima si rubava per fare carriera oggi si usano altri sistemi
di Aldo Cazzullo
«Il
problema è che mentre prima, pacificamente, si rubava per fare carriera
all’interno dei partiti politici, adesso si usano altri sistemi. Al
momento non è ancora chiaro quali siano, perché i processi relativi alle
elezioni primarie non li abbiamo ancora fatti. Quando li faremo,
scopriremo come funzionano». Sono parole di Piercamillo Davigo. E non
sono parole destinate a passare inosservate; tanto più che le elezioni
primarie in Italia le ha fatte il Pd.
Davigo firma con Gherardo
Colombo un libro in uscita da Longanesi e che il Corriere ha potuto
leggere in bozze: « La tua giustizia non è la mia. Dialogo tra due
magistrati in perenne disaccordo ». Pagine che suscitano godimento
intellettuale, per il raffronto serrato da cui emergono a ogni capitolo
le differenze culturali tra due pm simbolo di Mani Pulite, e nello
stesso tempo angoscia sociale, di fronte alla descrizione di un Paese
che appare a volte irredimibile. Per intenderci, sul fatto che i
politici non abbiano affatto smesso di rubare sono d’accordo entrambi.
Scrive infatti Colombo: «A me pare che la corruzione oggi sia diffusa
capillarmente come venti e passa anni fa, quando l’abbiamo svelata con
le nostre indagini. Mi sembra però cambiata sotto il profilo
fenomenologico. Allora quella di alto livello era quasi sempre connessa
al finanziamento illecito dei partiti politici, era un sistema che, in
quanto tale, rispondeva a regole precise; adesso è diventata più
frammentata e anarchica». Non a caso «in Italia chi denuncia
comportamenti illeciti nel campo della corruzione è considerato una
spia. Vuol dire che la mentalità generale (non di tutti, per fortuna, ma
di tanti) sta dalla parte dell’illecito e non del lecito. Finché
esisterà questa mentalità, sarà il denunciante, e non colui che dovrebbe
essere denunciato, che sta fuori dal sistema».
Tra i due è
soprattutto Colombo a parlare di società, prevenzione, recupero,
Costituzione. Davigo è più tranchant. «Giansenista» si definisce. E
avverte l’amico: «Tu accordi all’uomo un grado di fiducia che, secondo
me, assolutamente non merita». Il problema in Italia, sostiene Davigo,
non è la repressione; è il fatto che di repressione non ce n’è
abbastanza. Quanto alle intercettazioni, «se sono davvero irrilevanti,
il nostro codice prevede già il reato di diffamazione a tutela del
soggetto coinvolto. Il problema però è che non è quasi mai vero che sono
irrilevanti. Possono essere utili ai fini del processo penale, pensiamo
al traffico di influenze; oppure se sei una persona pubblica o un
pubblico ufficiale e si scopre che gestisci un bordello, o prendi
affitti in nero, è ovvio che non sono più affari privati».
Colombo
parla dei suoi incontri con gli studenti su legalità e lotta alla
mafia, Davigo replica: «La soluzione non può venire dalla mera
educazione. Tu sei convinto che i ragazzi vengano ad ascoltarti perché
sono interessati a quello che dici. In realtà, e basta tornare con la
memoria alla nostra stessa esperienza di studenti, è comunque
preferibile andare ad ascoltare qualcuno che viene a parlarti di un
certo argomento piuttosto che stare in classe e assistere alla solita
lezione, con il rischio di essere interrogati». E ancora: «Tu parti dal
presupposto che l’uomo sia buono per natura. Stai vagheggiando il mito
del buon selvaggio di Rousseau, rivelatosi del tutto infondato. Il fatto
stesso che tu ritenga che gli individui andrebbero educati, significa
che se vengono lasciati allo stato brado buoni non lo sono neanche un
po’. Per questo è necessario ricorrere a un cosiddetto male necessario,
ossia all’uso della forza». E a Colombo che lamenta il trattamento dei
carcerati, replica: «Gran parte delle vicende che hai illustrato io le
ho vissute quando ho fatto il servizio militare. Arrivi, ti svesti, ti
tagliano i capelli, ti danno l’uniforme ossia un vestito uguale per
tutti…». «Ma perché, Piercamillo, non possono cucinare, perché non
possono tenere foto alle pareti?». «Sulle foto posso essere d’accordo.
Sul fatto di cucinare non tanto. Perché possono essere fatte scoppiare
le bombolette del gas contro gli agenti. Nelle carceri di altri Paesi
nessuno cucina». Su un altro punto c’è intesa. Colombo riconosce che «i
colletti bianchi sono quelli che non vanno mai in prigione». «Il
problema è che ci dovrebbero andare, in galera — aggiunge Davigo —. In
realtà, sono gli unici che utilizzano tutti gli strumenti studiati a
beneficio degli altri. Che invece rimangono in carcere».
La
disputa si accende anche sulla valutazione dei colleghi. «Da quel che
dici sembra che da una parte ci siano i magistrati, bravi, e dall’altra
il resto del mondo, cattivo — obietta Colombo —. Credo sia il caso di
riconoscere che a volte le mancanze stanno anche dalla parte della
magistratura». Risponde Davigo: «Certo che no! E comunque non lo devi
dire a me, che deferisco un magistrato al giorno al collegio dei
probiviri».