giovedì 29 settembre 2016

La Stampa 29.9.16
Torino o Milano? Basta liti parliamo di autori, libri e lettori
Nella guerra dei Saloni interviene il direttore editoriale della Einaudi, favorevole a una diversificazione dei due eventi
di Ernesto Franco
Direttore generale editoriale Giulio Einaudi editore

Sì, però, ora basta. Nella vicenda dei Saloni del Libro stiamo dando, tutti, uno spettacolo di ridicolo internazionale, è vero. E nessuno di noi se lo merita. Rendiamoci conto di questo. Faccio appello all’etica della responsabilità e non a quella dei principi.
Poiché ragioni e torti mi sembrano piuttosto equamente distribuiti, proviamo a rovesciare il tavolo e a parlare di ciò di cui finora non si è davvero parlato: autori, libri e lettori.
Perché questo è il centro della questione, non altro. Il problema non sono le categorie industriali, i campanili, le dignità offese, le aggressività praticate, ma un paese che legge poco, pochissimo, e i modi da trovare perché la cosa cambi. Un paese che legge poco, ma che nelle scuole, ad esempio, grazie alla curiosità di sempre dei ragazzi e a nuove generazioni di ottimi insegnanti, sa rispondere bene al desiderio di sapere. Un paese che interpreta nel modo migliore, e non in quello peggiore, l’Italia dalle mille città, accorrendo festoso in moltissimi festival per incontrare autori, libri e altri lettori. Che sono il centro della questione. Un paese che, persino in tv, vuole ascoltare chi ha davvero qualcosa da dire, al di là di pubblicità, promozioni e sconti. Questo è quello che accade, guardiamoci intorno.
E gli editori? Gli editori vengono dopo. Sono aziende, hanno un fine economico mirato al profitto, ma, che lo vogliano o no, che ne siano consapevoli o meno, hanno anche carattere di istituzioni sociali che producono saperi e mestieri. Sono reti non solo di contratti, ma anche di contatti, come scriveva Luciano Gallino. Umani, sociali, politici. E lo sono un po’ di più di altre aziende. Perché la loro specialissima merce è un valore economico e culturale insieme. Gli editori devono essere consapevoli che il loro vero tema è quello della politica della cultura. Per questo è urgente tornare al centro della questione: autori, libri, lettori.
Dove c’è un progetto
Gli autori non si spostano come mobili e soprammobili, ma decidono di andare in piena autonomia dove vedono un progetto, un disegno, un senso, una buona opportunità di incontrare i lettori senza sentirsi dei piazzisti e, diciamolo, anche dove intuiscono, in senso proprio, una circostanza di «simpatia». Gli editori, come del resto le istituzioni, possono consigliare, persino convincere, ma mai decidere al loro posto, come a tratti è sembrato in questi giorni. Un evento dedicato al libro senza particolare attenzione, prima di tutto, agli autori non ha senso. Nessuno parteciperà a un evento dove ci siano i libri ma non gli autori, perché nessuno andrà dove ci sono le cose che si possono trovare in qualsiasi libreria e ancor più attraverso la rete. È l’epoca della riproducibilità tecnica, bellezza.
Allo stato, di ciò non si è mai parlato. Milano, diciamo così per brevità, non ha svelato ancora alcunché, Torino, dopo trent’anni di storia, deve dare un segno di, sia pur riconoscente, discontinuità col passato. Ora, il primo segno di impostazione di un progetto, senza entrare naturalmente nei dettagli, è la scelta della direzione culturale (non chiamiamola più artistica, per favore). Questo interessa veramente ad autori e lettori, che sono coloro che fanno il successo di un evento, sia dal punto di vista economico sia da quello di sviluppo della cultura di un paese. Se mi affido a Picasso so che verrà fuori un certo tipo di disegno, se mi affido a Cézanne so che ne verrà fuori un altro. Certo, devono essere sentite tutte le parti, ma il disegno generale deve avere una sua fisionomia.
Non mettiamolo nelle mani di comitati di indirizzo, assemblee, consigli, rappresentanti, rappresentati, esponenti, esposti e quant’altro. Lasciamo che la direzione culturale corra i suoi rischi e abbia la più ampia libertà di movimento. Sarebbe già questo un atto di garanzia.
È giusto che anche gli editori abbiano voce nella scelta del direttore o della direttrice dell’evento, ma poi li lascino tratteggiare una loro interpretazione, con quella libertà che fa e firma un gesto di cultura. I nomi ci sono: bisogna avere il coraggio di sceglierli pensando oltre i ristretti interessi particolari, pensando al paese. E sì, pensando di trovarli fra le più brillanti menti delle nuove generazioni.
Se si parla di editori
Secondo punto: i libri. Nessun evento intorno alla lettura ha senso senza i libri. Ovvio. Ma è anche vero se si parla di editori? Sarei meno convinto. Gli editori sono, in essenza, i loro autori e i loro libri. Nessuno è mai andato a un Salone del Libro per spiare nei corridoi le silhouette di questo o quell’editore in carne e ossa, bensì per leggere il profilo delle loro case editrici attraverso i bellissimi libri che pubblicano. Gli editori, ed Einaudi con essi, alla fine andranno a Milano perché nessuno ha le risorse per finanziarsi il lusso di doppi stand e doppie spese e perché due mezzi saloni continuerebbero lo spettacolo di cui si diceva all’inizio e sono destinati al sicuro fallimento di fronte a tutto il paese. Ci sarà la parte dedicata all’estero e allo scambio dei diritti, forse, anche se Francoforte e Londra, che pure hanno i loro problemi, resteranno sideralmente lontane, quanto all’estensione degli interessi che toccano. Ma l’importante sono i libri perché, dicevo, i libri sono gli editori.
Nonostante quanto leggo in questi giorni, continuo a pensare che l’idea della «libreria più grande del mondo», anche se avanzata - non so in che termini - dalla parte «sbagliata», sarebbe per Torino una cosa del tutto nuova, purché sia proposta e ascoltata nel modo giusto, e purché non si considerino gli editori qualcosa di serie A e i librai qualcosa di serie B. Che cos’è, in fondo una libreria? È un’opera d’arte concettuale, la messa in scena di un’idea di lettura, la fotografia d’autore della cultura di un paese e della sua storia. Ed è fatta con i libri, che, ripeto, sono gli editori, la loro merce, la loro anima, la loro passione. Se Torino, in modo nuovo, immaginerà quella libreria, avrà anche gli editori attraverso ciò che di loro è essenziale: i libri.
La «libreria mai vista»
Nel cuore di Torino c’è l’esperienza dei Portici di Carta? Benissimo, facciamola deflagrare, moltiplichiamola all’ennesima potenza, usiamo davvero il calore e l’intensità storica del centro della città. Affidiamo la regia degli spazi a un architetto di valore (l’idea non è farina del mio sacco, e quindi posso dire che è ottima) e a un grande libraio, ne verrà fuori qualcosa di sorprendente, qualcosa, a differenza di una fiera, con una sua forma personale. Persino il percorso all’interno della «libreria mai vista» potrà diventare un’esperienza inedita. Ma la questione centrale rimane il progetto di politica della cultura. Qui Torino è piena di esperienze, protagonisti e risorse, secondi a nessuno, ed Einaudi, con i suoi autori, le sue idee e i suoi libri, sarà con Torino in prima fila nella costruzione del nuovo.
Infine, i lettori. I quali giustamente non riescono a comprendere il senso di quanto sta accadendo. Per loro vale quanto si diceva per gli autori. Andranno non in un luogo geografico o in un altro, non a un salone o a una fiera, ma dove riconosceranno una forma, un’idea di comunità e affinità, dove vedranno un progetto che li riguardi. Neppure trasportare a forza le scolaresche qui o là avrà senso per la cultura e la diffusione della lettura senza una proposta che interroghi con intelligenza le metamorfosi della sensibilità più difficile da interpretare, quella delle nuove generazioni.
Ci saranno, dunque, due eventi nuovi, in fortissima, inevitabile, competizione. Avranno entrambi autori, libri e lettori. Forse saranno entrambi ottime cose. Oppure ce ne sarà uno migliore dell’altro, e sarà perché avrà avuto un miglior progetto di politica della cultura.