La Stampa 29.9.16
La scienziata accusata e poi prosciolta
“Giustizia da incubo, lascio la Camera”
Capua: vado via. La grillina che ne chiese le dimissioni: umani anche noi
di Ilario Lombardo
Ilaria
Capua è una virologa di fama internazionale, in prima linea contro
l’aviaria, è stata definita dalla rivista Seed «mente rivoluzionaria»,
prima di finire tra i 50 scienziati top di Scientific American. Entrata a
Montecitorio sul galeone di Mario Monti che nel 2013 selezionò le
migliori eccellenze dei vari mondi per provare che la politica può
essere modellata da principianti di successo, fino a ieri Capua è stata
anche una deputata della Repubblica italiana.
Duecentotrentotto
colleghi hanno acconsentito alla sua richiesta di dimissioni. Una
liberazione che è stata motivata da una lunga lettera in cui l’ex
onorevole-scienziata ha spiegato con toni commossi le ragioni della sua
scelta. Capua vive già negli Usa dove ha accettato di dirigere un centro
di Eccellenza all’Università della Florida. Ieri ha compiuto solo
l’ultima formalità, coronata da abbracci e saluti dei colleghi. La
decisione era stata presa da tempo, ed è stata conseguente all’incubo
giudiziario in cui era sprofondata dal 2014, quando viene indagata per
traffico internazionale di virus. Accuse che, scrive, hanno avuto «un
effetto devastante sul suo ruolo di parlamentare e sulla sua
credibilità». Lo scorso luglio, pochi giorni dopo il suo trasferimento
negli Stati Uniti, la Procura di Verona ha smontato il castello
accusatorio, prosciogliendo Capua. Il tempo è scaduto: «Ora che è
finita, potrei tornare indietro, ma vi dico la verità, non me la sento»,
scrive. Capua, nel finale, vuole trarre anche una morale dalla sua
vicenda umana. Non è la scienza o la ricerca che sente di aver
testimoniato nel suo passaggio parlamentare. «Se lascerà un segno,
riguarderà la giustizia. Voglio dar voce a tutte le persone innocenti
accusate ingiustamente, che attendono impotenti, che la giustizia faccia
il suo corso».
Altre volte, altri parlamentari, magari
incarcerati, avevano poi fatto tesoro di una esperienza terribile,
scoprendosi sensibili ai temi della giustizia, lenta o errata che fosse.
E infatti è bastata la chiusa della lettera per attivare le automatiche
rievocazioni di Enzo Tortora, e del «clima di colpevolezza di
Tangentopoli» (Bruno Tabacci).
Al di là dei magistrati, il
bersaglio torna a essere il M5S che due anni fa con una certa enfasi e
il martellante aiuto della piazza dei social chiese le dimissioni di
Capua da vicepresidente della commissione Cultura. Tra loro, la più
accesa fu la deputata torinese Silvia Chimienti che sul proprio profilo
postò una fotografia con il cartello «dimettiti» che scosse molto Capua.
Ieri,
a fine aula, mentre era sommersa dai colleghi raggiunti per l’occasione
anche da Monti, Chimienti ha provato ad avvicinarla. La scienziata è
rimasta fredda, quasi scostante. «Volevo chiederle ancora scusa», dice
sconsolata Chimienti. Nei mesi scorsi ha avuto modo di chiarirsi con
Capua: «Le ho detto che era stato un mio collaboratore a mettere quella
foto. L’ho cacciato. Nessuno di noi aveva chiesto le dimissioni da
deputata». Chimienti tiene in mano il cellulare, ancora aperto sul
discorso che avrebbe voluto fare in aula «per esprimere una volta di più
sincero dispiacere», ma che non le lasciano leggere. Poi ammette che
forse per il M5S «è il momento di fare una riflessione sul tema degli
indagati in politica», e quando le dicono che è apprezzabile che almeno
qualcuno chieda scusa, lei annuisce e sospira: «Anche noi siamo umani»