giovedì 29 settembre 2016

La Stampa 29.9.16
“Antisionismo, il nuovo antisemitismo”
All’Europarlamento di Bruxelles la conferenza sul futuro della comunità ebraica
di Marco Bresolin

«Oggi è in corso una terza fase storica dell’antisemitismo, mascherata da antisionismo. Non pensavamo si potesse riproporre così presto, con l’Olocausto ancora fresco nella memoria». L’allarme lanciato da Jonathan Sacks, ex rabbino capo delle congregazioni ebraiche del Commonwealth, parte dai dati relativi allo «svuotamento» della comunità ebraica europea. Sempre più ebrei fuggono - negli ultimi 20 anni è passata da 2 milioni a 1,4 milioni - e solo nel 2015 sono stati registrati 10 mila trasferimenti verso Israele, il doppio rispetto al 2014.
«Gli ebrei - ha detto Sacks in una conferenza organizzata al Parlamento europeo di Bruxelles - hanno paura per il loro futuro e per quello dei loro figli». La comunità si sente nel mirino per i recenti attentati terroristici, ma anche per i sempre più numerosi atti intimidatori. «La mappa degli episodi di antisemitismo e quella degli atti terroristici coincidono. Dove c’è antisemitismo, c’è terrorismo», dice Fulvio Martusciello, presidente della delegazione degli europarlamentari in Israele.
Per Sacks l’antisemitismo è una sorta di «fallimento cognitivo», che sorge quando una comunità «non riesce più a controllare il proprio mondo, non accetta le responsabilità dei propri fallimenti e cerca un colpevole. La comparsa dell’antisemitismo in una cultura è il primo sintomo di una malattia». Da qui l’appello ai leader europei: «Se non fate niente gli ebrei se ne andranno e ci sarà una macchia morale che nessuna eternità riuscirà a cancellare». Anche Antonio Tajani, vicepresidente dell’Europarlamento, ha spronato l’Europa ad agire «perché gli attacchi agli ebrei sono attacchi alla nostra identità europea, che è giudaico-cristiana».
L’antisemitismo del Terzo Millennio, dice Sacks, è diverso dai due precedenti per la natura del «pretesto» che lo alimenta. «Nel Medioevo gli ebrei erano odiati per la loro religione, nel XIX secolo e all’inizio del XX per la loro razza. Oggi invece per il loro Stato nazione, Israele». Questo fa sì che «gli antisemiti neghino di esserlo». Lo sviluppo dei nuovi media «ha permesso a questo virus di penetrare in Europa».
Oltre al terrorismo, la comunità ebraica europea guarda con un certo timore anche l’altro grande fenomeno di questi anni: l’ondata migratoria. «Molti immigrati sono cresciuti con sentimenti antisemiti. Sarà decisivo integrarli nel sistema di valori europeo» dice Pinchas Goldschmidt, presidente della conferenza dei rabbini europei.
Anche in Italia i segnali di allarme sono crescenti, nonostante ci sia «una grande attenzione istituzionale al cuore dell’identità ebraica», ricorda Benedetto Carucci, direttore della scuola ebraica di Roma. «C’è un sentimento di assedio, che si manifesta in due modi: con l’emigrazione e con il calo delle nascite. Che è sintomo di paura e insicurezza».
C’è però chi vede un lume di speranza. Bernard-Henri Lévy, filosofo, crede che «la situazione non sia così tragica. Non penso che tutto sia perduto, anche perché gli ebrei hanno un grande alleato, la comunità cristiana e cattolica». Registra una grande differenza tra l’antisemitismo odierno e quello del passato, quando a diffonderlo era «il pensiero di grandi intellettuali, oggi invece è prerogativa degli illetterati, delle teste rasate». Per questo «non bisogna cedere alla tentazione di lasciare l’Europa».