La Stampa 29.9.16
L’insostenibile sviluppo dell’Italia senza futuro
L’Onu
lancia l’agenda 2030: diciassette obiettivi per migliorare Il nostro
Paese, però, è molto indietro su donne, ambiente, lavoro
di Linda Laura Sabbadini
Il
Pil è sempre stato il punto di riferimento fondamentale delle
politiche. Ma il Pil non riesce a misurare il reale livello di benessere
di un Paese, la qualità della vita di donne e uomini, che non è la
risultante delle sole condizioni economiche. Salute, qualità del lavoro,
ambiente, disuguaglianze di genere, povertà, sono solo alcuni elementi
fondamentali da considerare.
Se il Pil non basta più, le politiche
non possono essere più Pil-centriche, non possono più basarsi su
indicatori unicamente di carattere economico.
Il progetto dell’Onu
Non
lo dico io, lo dice chiaramente la strategia di sviluppo sostenibile
varata dall’Onu e l’Agenda per il 2030 per tutti i Paesi. L’Onu esprime
un chiaro giudizio sull’insostenibilità dell’attuale modello di
sviluppo. Al Pil devono affiancarsi nuovi indicatori di benessere e
sviluppo sostenibile, che permettano il monitoraggio delle politiche,
per raggiungere i 17 obiettivi di questa agenda, con la riduzione delle
disuguaglianze, la valorizzazione delle risorse del nostro pianeta e
delle biodiversità, la qualità della vita della popolazione.
L’incontro alla Camera
Se
n’è discusso ieri alla Camera alla presentazione del Primo Rapporto
sullo sviluppo sostenibile dell’Asvis, Associazione per lo Sviluppo
Sostenibile presentato dal professor Enrico Giovannini. È intervenuto
per il governo il sottosegretario Sandro Gozi. L’approccio è quello non
solo dell’oggi, ma del futuro, le politiche non devono solo soffermarsi
sulla situazione attuale,, dell’immediato, devono tener conto della
preoccupazione di lasciare ai nostri figli e nipoti perlomeno il
capitale economico, umano, sociale e naturale di cui ha fruito la nostra
generazione.
L’Italia in ritardo
Ma qual è la situazione
del nostro Paese? Secondo il rapporto Asvis, l’Italia non è sulla strada
di uno sviluppo realmente sostenibile. La povertà assoluta è aumentata
troppo, i poveri sono 4 milioni 600 mila, il numero dei giovani che non
studiano e non lavorano continua a essere alto, intorno ai 2 milioni, le
disuguaglianze di genere profonde con tassi di occupazione femminile
che non arrivano al 50%, la violenza contro le donne diffusa e più
grave, una presenza delle donne nei luoghi decisionali accresciuta ma
ancora troppo bassa nei governi locali; leggi importanti inapplicate;
investimenti in ricerca e sviluppo di poco superiori all’1% del Pil,
tassi di abbandono scolastico più alti per i figli degli immigrati e
delle classi sociali più basse; un Paese con problemi di biodiversità,
con tutte le specie ittiche a rischio, con un degrado ambientale diffuso
in particolari aree; con il 36% di persone che vive in zone ad alto
rischio sismico e un’alta mortalità a causa dell’inquinamento
atmosferico nei centri urbani; con una transizione troppo lenta alle
fonti rinnovabili rispetto agli accordi di Parigi. Tanto, tanto da fare.
Obiettivi in Costituzione
«Per
fare dello sviluppo sostenibile il punto di riferimento di tutti gli
operatori economici e sociali - ha detto Giovannini - tale principio va
inserito nella Costituzione italiana, intervenendo sugli articoli 2, 3 e
9, come proposto dagli esperti dell’Asvis». Secondo l’associazione
spetta al presidente del Consiglio assumere un ruolo di guida
nell’attuazione della strategia. La proposta è di trasformare il Cipe
nel «Comitato Interministeriale per lo Sviluppo Sostenibile», di
coinvolgere la Conferenza unificata per valutare le responsabilità delle
Regioni e dei Comuni rispetto alle materie dell’Agenda 2030 e di creare
un comitato consultivo sull’Agenda 2030 e le politiche per lo sviluppo
sostenibile, cui partecipino esperti nelle varie materie rilevanti e
rappresentanti delle parti sociali e della società civile.
L’impegno comune
Tutti,
dico tutti, siamo chiamati in causa, governi locali e nazionali,
imprese, società civile e singoli cittadini, anche nei nostri
comportamenti individuali. E dovremo cambiare tutti culturalmente,
l’Asvis non è un istituto di ricerca ma è composta da più di 120 reti di
associazioni e fondazioni, per un totale di 2000 associazioni, 300
esperti. Ha fatto un grande lavoro, ha analizzato dati e vorrebbe che
l’Istat producesse gli indicatori necessari. Ha fatto proposte. La
parola ora alle istituzioni. Bisogna costruire la strategia nazionale,
come dice l’Onu, con la partecipazione attiva e propositiva dei
cittadini e delle loro associazioni. La politica dovrebbe favorirla e
stimolarla per elaborare e condividere un progetto comune per un nuovo
rinascimento nazionale.