La Stampa 26.9.16
Onu, processo a Putin
“In Siria colpevole di crimini di guerra”
Londra e Washington: la Russia dietro la battaglia di Aleppo
La spaccatura fra Washington e Mosca che si sta consumando sulla Siria è senza precedenti dalla Guerra fredda
Ora l’Europa deve dire ciò che pensa
di Stefano Stefanini
La
Russia di Putin mostra di aver scelto Assad e la prova di forza sulle
incertezze di un tortuoso percorso diplomatico per cui si era spesa fino
all’ultimo l’amministrazione Obama. Allo schiaffo gli americani hanno
dato ieri una risposta infuocata in Consiglio di Sicurezza, spalleggiati
da Boris Johnson a Londra.
Difficile adesso tornare indietro: in
Siria, la battaglia per Aleppo annuncia una nuova tragedia umanitaria
che rischia di superare tutte quelle che, da più di cinque anni, stanno
martoriando lo sventurato Paese; i rapporti fra Russia e America che
precipitano vertiginosamente. Europei e italiani, nel chiuso
dell’eurocentrismo in cui continuiamo a ragionare e muoverci, faticano a
rendersi conto che uno scontro sul teatro mediorientale è più grave e
più dirompente che non la crisi ucraina, annessione della Crimea
compresa.
A maggior ragione in quanto la Siria poteva essere un
terreno di collaborazione russo-americana, grazie al collante dello
Stato Islamico e della lotta al terrorismo.
Le accuse
anglo-americane alla Russia sono pesanti. Sono, purtroppo, credibili.
Forse le azioni militari intraprese dai russi e dalle forze di Assad non
si configurano come «crimini di guerra». Ma mettono definitivamente la
pietra tombale sopra tre cose: la tregua; il fragile filo negoziale;
qualsiasi prospettiva di collaborazione russo-americana in Siria e
contro Isis. Nel giro di una settimana Putin e Assad hanno capovolto lo
scenario faticosamente costruito per mesi dalla paziente diplomazia di
Staffan de Mistura e dal dialogo fra i due ministri degli Esteri, Kerry e
Lavrov. Non a caso, su queste pagine, l’inviato speciale dell’Onu
faceva appello al ritorno ai termini del cessate il fuoco concordato fra
i due, come unica via d’uscita dalla guerra senza quartiere in Siria.
Invano.
Putin ha optato per tener banco a Assad, di fatto
smentendo il suo stesso ministro. Da diplomatico doc, Lavrov lo negherà
ma di fatto egli si è trovato con l’erba tagliata sotto i piedi, e non è
la prima volta. La decisione russa di andare a una prova di forza in
Siria segna il fallimento del canale di dialogo bilaterale e
dell’iniziativa diplomatica delle Nazioni Unite. Può darsi che
quest’ultima non avrebbe comunque avuto successo per incapacità di
controllare le disparate forze in campo e di trovare un minimo comun
denominatore fra i loro contrastanti interessi. Mosca ha però tagliato
la testa al toro senza dare «una chance alla pace».
Lo scenario è
chiaro. Damasco, con l’appoggio dei russi, punta a riconquistare Aleppo.
Non sarà il bagno di sangue a trattenere Assad. Di trattare se ne
parlerà dopo, eventualmente (l’appetito vien mangiando, il regime non ha
sottoscritto la rinuncia a re-imporre il potere su tutto il
territorio); soprattutto, da una posizione di forza.
Resta
l’interrogativo del perchè Putin abbia scelto la via di Damasco, dopo
essersi avvicinato alla collaborazione americana, al punto di mettere in
cantiere interventi militari congiunti contro Stato islamico
(subordinati a un cessate in fuoco che tenesse in Siria). Per saperlo
con certezza bisognerebbe leggere nella mente del Presidente russo, ma
non è difficile immaginare motivazioni specularmente identiche a quelle
dell’alleato siriano: trovarsi in una posizione di forza in Siria con la
prossima amministrazione Usa.
Mancano sei settimane alle
elezioni. Putin, mai «fan» di Obama, è giunto alla conclusione che non
vale la pena di attraversare il ponte costruito da Kerry e Lavrov. Il
suo interlocutore sarà il prossimo inquilino della Casa Bianca. Se sarà
Hillary c’è da aspettarsi una linea più dura e meno propensa al dialogo
di quella del Presidente uscente. Se sarà Trump cosa aspettarsi è un
mistero, ma certo rispetto per la forza. Occorre pertanto presentarsi
con le carte in regola. Terribile fatalità che a farne le spese siano i
civili di Aleppo.
Al di là della tragedia siriana, l’Europa deve
capire che sta assistendo a un punto di svolta nel quadro
internazionale. L’ha afferrato al volo, con l’entusiasmo del novizio,
Boris Johnson; per Londra sulla via di Brexit questa è un’ottima
occasione di resuscitare la relazione privilegiata con gli Stati Uniti.
Gli
altri europei, specie quelli che vogliono disperatamente il dialogo con
Mosca, sono in una posizione difficile. Giusto ascoltare anche la
campana russa. Ma, anche senza giungere ad eccessi verbali, di fronte ad
una scelta russa di appoggiare Assad nella presa di Aleppo l’Europa non
può cavarsela solo con vuoti appelli alla pace o al dialogo. Deve dire
quello che pensa.