La Stampa 26.9.16
Europa e agenda del Parlamento pesano sulla data del referendum
di Carlo Bertini
Se
la convinzione di Matteo Renzi è che più la gente conosce su cosa si
vota al referendum e più lievita la quota dei Sì, scegliere una data più
in là è ovvio che può far guadagnare consensi. Ma se il premier - come
pare - oggi scioglierà il nodo optando per il 4 dicembre, è anche perché
vuole che il fattore Europa pesi simbolicamente sul voto che cambierà o
no la nostra Costituzione e deciderà le sorti del suo governo. Visto
che proprio il 4 dicembre si terrà il ballottaggio delle elezioni
presidenziali austriache, attese con ansia da tutte le cancellerie, dopo
che nell’ultima tornata il candidato liberal-ecologista aveva vinto per
una manciata di voti sul candidato della destra euroscettica. È solo
uno dei fattori che dal Palazzo vengono segnalati come elemento capace
di influenzare la decisione. Rispetto al 27 novembre, (ancora in bilico
fino a ieri sera) il 4 dicembre ha infatti dalla sua che è pure il
giorno del voto austriaco, «come a testimoniare del valore e
dell’impatto europeo», dicono gli strateghi del premier, che può avere
la scelta che faranno i cittadini italiani.
L’altro fattore è
quello del calendario parlamentare: la legge di stabilità quest’anno
sarà tutta nelle mani della Camera, dove i numeri sono blindati. Per il
semplice motivo che così vengono messi in sicurezza i conti dello Stato
prima del gong fatidico che può aprire scenari di forte instabilità
anche in Europa. L’iter della sessione di bilancio parte quest’anno da
Montecitorio il 20 ottobre: entro il 27 novembre la legge di stabilità
dovrebbe essere stata licenziata dall’aula. Se si riuscisse ad
approvarla entro il 20 novembre, non solo ci sarebbe il timbro di una
delle Camere sulla manovra, ma entro il 4 dicembre potrebbe ricevere
pure l’ok della Commissione Bilancio del Senato: a quel punto, quale
fosse l’esito del referendum, per avere i conti in sicurezza non
resterebbe che procedere al voto finale dell’aula di palazzo Madama.
Aula che, pure in caso di vittoria del Sì (a una riforma che abolisce il
Senato così com’è), sarà sempre più difficile da gestire: il Senato
“morente” diventerà un problema e questo i renziani lo sanno bene: per
questo intendono lasciare alla Camera la gestione di tutte le questioni
più spinose della manovra. E non solo della manovra.