lunedì 26 settembre 2016

La Stampa 26.9.16
Un voto divide la Bosnia
Torna la paura nei Balcani
Il referendum illegale della Republika Srpska sulla festa nazionale
di Monica Perosino

La domanda a cui hanno risposto ieri 1,2 milioni di elettori dell’entità serba della Bosnia-Erzegovina poteva apparire quasi insignificante, senz’altro innocente: «Volete celebrare il 9 gennaio come festa nazionale della Republika Srpska?». Un referendum per istituzionalizzare una ricorrenza, tra l’altro già festeggiata, nulla più.
Peccato che la domanda in questione - e la relativa festa nazionale - sia stata dichiarata incostituzionale dall’Alta Corte della Bosnia-Erzegovina perché «in aperta violazione dei diritti di croati, bosniaci musulmani e altre persone non serbe residenti nella Rs». La risposta alla sentenza del presidente Milorad Dodik è stata quella di rilanciare con la consultazione popolare - «decideranno i serbi» -, una sfida che ora rischia di avere - «casualmente» a una settimana dalle elezioni municipali - pesanti conseguenze sulla già precaria stabilità del Paese e di tutta l’area balcanica.
Le fratture di Dayton
La festa del 9 gennaio ricorda la decisione presa nel 1992 dai parlamentari serbo-bosniaci di proclamare unilateralmente la Repubblica serba di Bosnia, un atto di secessione che portò alla guerra etnica e 100 mila morti. Con la consultazione di ieri il leader serbo-bosniaco - che non nasconde le sue mire separatiste e la sua ostilità verso uno Stato bosniaco centralistico dominato da una Sarajevo «sempre più islamizzata» - spinge l’acceleratore sulle divisioni politiche e sociali della Bosnia-Erzegovina, che a fatica cerca di aprirsi una strada verso l’Europa.
Per questo nella Federazione croato-musulmana (l’altra entità della Bosnia-Erzegovina definita dagli accordi di Dayton che posero fine alla guerra del 1992-1995) e nel resto della comunità internazionale, ad eccezione della Russia, si teme che il referendum possa essere un primo passo verso una nuova fase di instabilità e un ulteriore spallata alle divisioni politiche della Bosnia-Erzegovina create da accordi di Dayton, che hanno riconosciuto un secondo livello di governo della Bosnia-Erzegovina, composta da due entità: la Federazione di Bosnia ed Erzegovina (FBiH), con la maggior parte dei bosniaci e croati, e la Republika Srpska (Rs) con la maggior parte dei serbi. Un referendum per una festa nazionale che riporta sul palcoscenico internazionale la «polveriera balcanica», con tutte le parti viste in campo durante la crisi della ex Jugoslavia, ma con un movente elettorale in più.
Il membro musulmano della presidenza tripartita bosniaca, Bakir Izetbegovic, ha definito il referendum espressione della «autocrazia di Dodik». «Noi difenderemo questo Paese e l’accordo di pace di Dayton e tutti i cittadini, serbi, croati e musulmani», ha detto. «Non ci sarà nessuna guerra perché quelli di Banja Luka torneranno alla ragione».
Esito scontato
Ci sono pochi dubbi sulla vittoria del «sì» alle urne, ma la vera partita «si sta giocando a Bruxelles», dicono dal ministero degli Esteri della Bh. Cinque giorni fa la Ue ha dato il via alla procedura di adesione: «Senza la prospettiva di entrare in Europa la Bosnia rischia di ripiombare nel conflitto, esattamente come 25 anni fa», aveva detto il premier Denis Zvizdic.
Anche Bruxelles, Usa e Nazioni Unite gettano acqua sul fuoco di un «referendum senza contenuti», se non nell’ottica della campagna elettorale in corso. «Sebbene i toni siano molto accesi - dice l’ambasciatore italiano a Sarajevo Ruggero Corrias - non siamo di fronte al rischio di un conflitto, ma la stabilità nella regione resta nel lungo periodo direttamente proporzionale a quella del progetto europeo».