La Stampa 23.9.16
“Noi gli unici a difendere l’Europa
dall’invasione dei migranti”
Parla il portavoce del premier Orban: “No alle quote Accettare le ricollocazioni è come un invito a venire qui”
intervista di Monica Perosino
Mancano
dieci giorni al referendum che chiederà agli ungheresi di benedire la
politica dei «no» all’Ue del premier ultranazionalista Viktor Orbán. No
agli immigrati, no alle ricollocazioni, no alle decisioni di Bruxelles
che «interferiscono e mettono a repentaglio la sicurezza e la cultura
dell’Ungheria». Per Orbán si tratta di decidere sull’indipendenza del
Paese e di permettere ai suoi «legittimi cittadini» di far valere il
diritto di scegliere con chi vivere.
Zoltán Kovács, portavoce del
governo e fedelissimo di Orbán precisa subito: «Ma non si tratta di un
referendum sull’Unione europea. Budapest semmai la sta difendendo
l’Unione, stra proteggendo i suoi confini».
Con i muri?
«Senta,
non siamo certo i primi e non saremo gli ultimi a costruire muri. Lo
hanno fatto in Spagna, negli Stati Uniti, in Israele. Non ci piacciono,
ma dobbiamo difenderci, non solo dai migranti».
E da cosa?
«Dal
terrorismo, e dalla dissoluzione della nostra cultura. Ogni Nazione ha
un’identità. L’Europa ce l’ha nelle radici cristiane, romane ed
ebraiche. l’Islam qui non c’entra niente».
Ma l’Europa chiede al
suo Paese di accogliere poco più di 1400 migranti in un Paese di 10
milioni di abitanti. L’anno scorso sono stati concessi visti a 87
rifugiati. Sembra difficile parlare di «invasione» come invece fa Orbán,
non le pare?
«Questo solo perchè abbiamo i muri. È la prova che
abbiamo fatto bene a costruirli. Accettare la politica delle quote
richiesta da Bruxelles sarebbe come spedire un invito scritto a
centinaia di migliaia di migranti: venite qui che vi aspettiamo. Sarebbe
un incentivo. E noi non volgiamo che vengano».
Quindi dovrà ammettere che in una certa misura il referendum contro le quote è un referendum contro l’Europa?
«Torno
a dire che l’Ungheria è Europa, ma non possiamo trascurare la volontà
del nostro Paese, dobbiamo mandare un messaggio forte all’Ue perchè
smetta di ignorare la gente. Guardate cosa è successo nel Regno Unito,
il governo non ha ascoltato i suoi cittadini e alla fine è passata la
Brexit. Il nostro referendum non è sul lasciare o restare in Europa, ma
su che tipo di Europa vogliamo. Se tutti facessero il loro lavoro
l’Ungheria non sarebbe costretta a stare in prima linea a difendere i
confini».
Confrontati con i numeri di altri Paesi i 5000 migranti in attesa di entrare in Ungheria sono ben poca cosa...
«Adesso
sono 5000 ma fino a pochi mesi fa abbiamo visto centinaia di persone
marciare verso i nostri confini, altro che Italia e Grecia».
In
questi giorni i rappresentanti del governo stanno intensificando la
campagna per il referendum. Nei comizi membri dell’esecutivo spiegano
alla popolazione che i migranti portano sporcizia, malattie e
delinquenza, mentre nelle case di 4 milioni di famiglie un opuscolo -
pagato dallo Stato - spiega cosa succederebbe se vincesse il sì all’Ue
sui migranti: più o meno la fine dell’Ungheria...
«È proprio quello che temiamo, la fine del nostro Paese per come lo consociamo».
Il
consulente di Orbán per la sicurezza in un’assemblea pubblica a Roszke
si è spinto a parlare della «Sharia Police», attiva in Europa. Ronde di
estremisti che puniscono chi non rispetta le regole più estreme
dell’Islam. Per esempio le donne che girano con gonne corte o senza
velo. Non crede la campagna per il referendum si sia spinta un po’
troppo in là?
«Dovreste informavi meglio. A me risulta che la
Sharia Police esista eccome, che si stia organizzando in Germania, Gran
Bretagna e Francia».