La Stampa 23.9.16
Rifugiati, il fronte del Nord all’Ue
“Provvedimenti contro l’Ungheria”
Juncker loda l’Italia. Agenti belgi fermati mentre trasportavano profughi in Francia
di Marco Bresolin
In
un’Europa che zoppica come il suo Presidente («ho la sciatica», ha
detto ieri Jean-Claude Juncker, paragonando la sua andatura a quella
dell’Unione), la questione immigrazione resta al primo posto nella
classifica dei problemi da risolvere. Non è l’unico, tanto che il capo
della Commissione ha parlato di «policrisi». Ma sicuramente quello che
sta creando più attriti tra i 28 Stati membri, con fratture geografiche
sempre più nette.
Lo stallo sul dossier immigrazione aveva fatto
infuriare Matteo Renzi al Consiglio europeo della scorsa settimana a
Bratislava. Anche per questo ieri Juncker ha cercato di tendere una mano
alle sue richieste di «fare di più per l’Africa». Intervenendo al
Comitato economico e sociale europeo, il Presidente della Commissione ha
detto che «l’Ue non deve lasciare sole l’Italia, la Grecia e Malta» e
si è complimentato con Roma «che ogni giorno salva migliaia di vite». Ha
ricordato che il piano di investimenti per l’Africa della Commissione
può generare «fino a 88 miliardi» e che la strada da seguire è questa,
altrimenti «se noi non andiamo in Africa, sarà l’Africa a venire in
Europa». Sulle coste libiche, ha confermato, «ci sono 225 mila persone
pronte a partire per l’Italia». Ed è «inaccettabile rifiutare i migranti
perché musulmani».
La sviolinata a Renzi, però, non è stata
gratuita. Perché sul fronte dei conti pubblici è arrivata qualche
frecciata. Riprendendo le parole del commissario Moscovici
nell’intervista di due giorni fa a «La Stampa», Juncker ha messo in
chiaro che «il Patto di Stabilità funziona» e le sue regole non si
toccano perché offrono già parecchi margini di flessibilità. «Abbiamo
introdotto una clausola per gli investimenti di cui l’Italia è l’unico
beneficiario» e la flessibilità concessa dall’Ue ha permesso a Roma «di
spendere 19 miliardi». Per la serie: andate piano con ulteriori
richieste, abbiamo già dato.
Nessuno sconto sulle regole, dunque.
Esattamente come chiedono gli scandinavi sulle politiche migratorie.
Cinque Paesi del Nord hanno inviato una lettera alla Commissione
chiedendole di prendere provvedimenti contro l’Ungheria per la costante
«violazione delle regole». Danimarca, Svezia, Islanda, Finlandia e
Norvegia vorrebbero rimandare a Budapest tutti quei migranti che, dopo
aver chiesto asilo in Ungheria, sono riusciti ad arrivare nei loro
Paesi. Così prevedono le regole di Dublino, ma Orban non ha alcuna
intenzione di riprenderseli. E per ora la Commissione non ha molta
voglia di intervenire per sbrogliare la matassa. La lettera indirizzata a
Bruxelles è partita due settimane fa e dall’ufficio del commissario
Avramopoulos confermano di averla ricevuta. Dicono anche che
«sicuramente ci sarà una risposta», ma temporeggiano. A Bruxelles sanno
bene che Budapest sta violando le regole, tanto che nelle scorse
settimane erano arrivate pure le lamentele formali di Austria e
Lussemburgo (che vuole l’espulsione di Budapest dalla Ue). Ma il momento
non è dei migliori per le tirate d’orecchie. Il 3 ottobre in Ungheria
si vota per il referendum contro le quote di migranti imposte dalla Ue.
Sarà un voto pro o contro l’Europa: a Bruxelles preferiscono non gettare
benzina sul fuoco.
Che il clima non sia dei migliori lo
testimoniano le diplomatiche tra Parigi e Bruxelles. Due poliziotti
belgi sono stati fermati martedì sera a Nieppe, nel nord della Francia,
al volante di un furgone nel quale avevano caricato un gruppo di
migranti siriani ed iracheni, tra cui alcuni minori. Il ministro
dell’Interno di Parigi, Bernard Cazeneuve, ha convocato d’urgenza
l’ambasciatore del Belgio e telefonato all’omologo, Jan Jambon, per
protestare.
Per stemperare i toni in Europa ieri Juncker ha
introdotto una nuova forma di «solidarietà» sulla gestione dei migranti.
Come è noto, il sistema delle quote non sta funzionando (il piano di
redistribuzione dei 160 mila migranti è fermo a quota 5290) e il rischio
di decretarne a breve il fallimento è altissimo. Per questo il
Presidente ha annunciato che «chi non può accettare i rifugiati, deve
partecipare di più al rafforzamento della protezione delle frontiere
esterne». Una sorta di solidarietà flessibile, “à la carte”, che però
non risponde alle problematiche di un fenomeno in crescita, come
dimostrano i dati diffusi da Eurostat. Nel secondo trimestre del 2016
sono state presentate in Europa 305.700 richieste di asilo, il 6% in più
rispetto a tre mesi precedenti. Si tratta principalmente di siriani,
afghani e iracheni. L’Italia (al secondo posto dopo la Germania) ne ha
registrate 20.700, il 21% in più rispetto al trimestre precedente.