La Stampa 22.9.16
Un nero ucciso dalla polizia
Scontri e saccheggi a Charlotte
La
rivolta razziale contro le violenze irrompe nella campagna
presidenziale americana Testa a testa fra democratici e repubblicani. E
ora Trump cerca i voti degli afroamericani
di Paolo Mastrolilli
«La
polizia ha sparato a mio padre quattro volte perché è nero. Mio padre è
morto, è morto, è morto!». Urla, Lyric Scott, mentre via Facebook
trasmette le immagini che stanno scatenando la guerriglia urbana a
Charlotte. Suo padre, Keith Lamont Scott, è stato ucciso dalla polizia, e
quel video sta riaccendendo la rabbia dei neri, come era successo a
Ferguson due anni fa. Violenze che irrompono anche sulla campagna
presidenziale, obbligando i candidati a reagire. Ma aiuteranno Trump,
spingendo gli elettori verso l’uomo della «legge e ordine», o Hillary,
che invece punta al voto nero come unica in grado di realizzare le
promesse mancate di Barack Obama?
Scott aveva 43 anni, e martedì
sera verso le quattro del pomeriggio stava aspettando che il figlio
tornasse dalla scuola, seduto nella sua auto parcheggiata tra Old
Concord Road e Bonnie Lane, nel quartiere della città chiamato
University City. Gli agenti erano venuti a cercare un altro uomo
incriminato per un reato, quando hanno visto Keith aprire lo sportello.
Secondo la loro versione, aveva in mano una pistola. È uscito, rientrato
nella sua macchina, ed è nuovamente uscito mostrando l’arma. I
poliziotti gli hanno intimato di fermarsi e posare la pistola, ma lui
non ha obbedito. A quel punto uno degli agenti, il nero Brentley Vinson,
ha aperto il fuoco. Il resto è quello che si vede nel drammatico video
di Lyric: «I poliziotti hanno sparato a mio padre perché è nero». E poi:
«My daddy is dead!», comincia ad urlare, mio papà è morto. La famiglia
dice che Scott non era armato: aveva in mano solo un libro, che stava
leggendo mentre aspettava il figlio.
Il video in breve diventa
virale, oltre mezzo milione di visioni, e le strade di Charlotte si
riempiono di gente che urla e protesta. Lungo la Interstate 85
cominciano gli scontri con la polizia, e quando cala la sera un
supermercato Walmart viene assaltato. In strada bruciano i copertoni,
gli agenti sparano i lacrimogeni, e almeno sedici di loro restano
feriti. Ancora una Ferguson, dove un poliziotto bianco uccise il giovane
nero Mike Brown, come se due anni fossero passati invano. Ancora le
urla «hands up, don’t shoot», mani alzate, non sparate. Ancora la rabbia
di «Black Lives Matter», anche se stavolta a sparare è stato proprio un
agente nero. I leader della Nation of Islam chiedono di boicottare
tutti i negozi dei bianchi.
Il giorno dopo il capo della polizia
di Charlotte, il nero Kerr Putney, spiega la sua versione: «Non abbiamo
trovato alcun libro nella zona della sparatoria. C’era una pistola,
però. I poliziotti si sono sentiti minacciati, e hanno reagito». Sempre
la stessa storia: minacciati, o troppo pronti a sparare, se davanti c’è
un nero? Stavolta però l’agente era nero: ha avuto paura di qualcuno che
magari veniva dalla sua stessa comunità?
L’emergenza però resta
nazionale. Solo pochi giorni fa, infatti, la poliziotta bianca di Tulsa,
Betty Jo Shelby, ha ammazzato il nero Terence Crutcher, che aveva le
mani visibilmente alzate: era appoggiato alla sua auto e non aveva armi.
Putney adesso si aspetta un’altra notte di proteste a Charlotte, col
rischio che sfuggano di mano come era accaduto a Ferguson. La nuova
protesta però sta già avendo un effetto sulla campagna presidenziale,
dove i sondaggi ormai danno Trump appaiato a Clinton, se non avanti. In
teoria, lui dovrebbe prendere meno del 5% del voto dei neri, ma sta
cercando comunque di tentarli: «Non siete mai stati così male, cosa
avete da perdere se provate un’altra strada?». L’altra strada sarebbe
lui, che infatti ha tenuto un comizio in una chiesa in Ohio col promoter
di boxe Don King. Pur essendo il candidato di «legge e ordine», ha
scelto una linea conciliante verso gli afroamericani: «Quell’agente a
Tulsa? Non ho idea di cosa stesse pensando. Forse certa gente
semplicemente non dovrebbe fare certi lavori». Hillary invece a Orlando
ha detto che «le violenze sono troppe, intollerabili, devono smettere».
Ma basterà questo a spingere i neri ad andare alle urne per lei, oppure
la rabbia razziale le farà perdere anche questo blocco di elettori?