giovedì 22 settembre 2016

Corriere 22.9.16
Intervista a Napolitano
«Comprensibili le critiche di Renzi all’Unione. Ma non si può fare da soli»
di Marzio Breda

Presidente Napolitano, sull’orizzonte dell’Ue pesa l’insuccesso del vertice di Bratislava. Era un’ingenuità pensare che fosse l’occasione per rilanciare lo «spirito europeo»?
«Mesi fa, presentando al Senato il mio libro sull’Europa, dicevo che “l’immagine dei 28 capi di governo che viaggiano da una riunione all’altra, spesso riprendendo le decisioni da quella precedente o rinviando tutto ancora a quella successiva” rispecchiava uno stato delle istituzioni europee ormai non a lungo sostenibile. La recente riunione di Bratislava ne è stata solo una conferma. D’altronde, hanno notato gli europarlamentari socialisti francesi, non ci si poteva aspettare granché da un vertice informale a 27, il primo a riunirsi dopo la Brexit, che ben poco di concreto ha registrato, salvo qualche passo avanti in materia di difesa e sicurezza, e si è concluso con una dichiarazione di scarso valore, con le sue carenze e unilateralità. Quel “consulto” è stato piuttosto ancora lo specchio — hanno osservato gli amici francesi — di “due opposte visioni dell’Europa che si affrontano”».
Matteo Renzi è stato molto critico.
«Che si sia colta quest’ultima occasione di elusività e inconcludenza per dissociarsene — come ha fatto il presidente del Consiglio italiano — magari anche per comportamenti ritenuti scorretti nei nostri confronti, è pure comprensibile, ma l’occasione di Bratislava non merita particolare considerazione, né può far trascurare il quadro per altri aspetti ben più importanti e positivi».
Il bilancio del vertice conferma che il 2017 sarà durissimo per l’Ue. Esistono concreti antidoti alla sfiducia?
«Il testo che dovrebbe essere assunto a punto di riferimento per valutazioni meno pessimistiche e per apporti più costruttivi è altro. È il documento 2016 “sullo stato dell’Unione” presentato da Jean-Claude Juncker, presidente della Commissione, al Parlamento europeo esattamente 3 giorni prima del vertice di Bratislava. Il documento è a mio avviso assai notevole. Innanzitutto, non c’è traccia di sottovalutazione della crisi che sta scuotendo l’Unione Europea: una crisi, si dice subito, “almeno in parte, esistenziale”. E segue un’analisi di carenze, regressioni, inadempienze che fanno del documento il più autocritico “stato dell’Unione” mai elaborato. Segue soprattutto sia l’annuncio di un “libro bianco”, come visione a lungo termine per l’Europa, da presentare nel marzo 2017 per l’anniversario dei Trattati di Roma, sia di una dettagliata “agenda” delle azioni da realizzare nei prossimi dodici mesi».
C’è la tendenza a snobbare simili documenti. Ma le richieste italiane vi sono state raccolte?
«È davvero difficile sottovalutare le novità e le ambizioni di quest’agenda, che comprende tra l’altro istanze particolarmente sollecitate dall’Italia: dal raddoppio dei finanziamenti per il Fondo del piano Juncker per investimenti paneuropei, all’istituzione di un piano di investimenti per l’Africa e il vicinato mediterraneo come parte integrante di una risposta alla pressione migratoria crescente verso l’Europa. E sul punto controverso dell’applicazione del Patto di stabilità, ci si pronuncia per una sua applicazione “non dogmatica’’ che eviti di penalizzare sforzi di riforma in atto. La complessiva importanza di questa agenda va pienamente riconosciuta dai governi che, sostenendola attivamente, non sottoscrivono alcuna sdrammatizzazione o dissimulazione della profondità della crisi dell’Unione, e possono riconoscersi nella rappresentazione delle emergenze, urgenze, sfide e minacce che stringono l’Europa a 27, ma senza contribuire involontariamente al dilagare della sfiducia».
L’Unione soffre però anche una crisi della propria governance.
«Se l’Europa è scossa, come sappiamo, nelle sue istituzioni in uno con i suoi fondamenti ideali e con le sue politiche, l’istituzione visibilmente malata o fragilizzata è il Consiglio europeo. E per la condizione in cui è caduto il Consiglio, più che in ossequio a una storica predilezione per le istituzioni sovranazionali, è su queste — Commissione e Parlamento — che forze politiche e governi schierati per il rinnovamento e rilancio dell’Unione dovrebbero concentrare il loro sostegno. L’impasse in cui si trova il Consiglio è dovuto, ovviamente, alla persistente prevalenza delle ottiche politiche nazionali su indirizzi di europeizzazione della politica, della visione e della dialettica competitiva quale la vivono partiti, governi, opinioni pubbliche ed elettorati nazionali».
Tra le «ottiche politiche nazionali», quella tedesca è, come altre, condizionata dal voto. Come dovrebbe muoversi l’Italia?
«Sì, determinante è divenuto il mutamento virulento degli scenari e degli equilibri politici negli Stati membri. Così, oggi la leadership della Germania federale è premuta da una crisi della sua posizione all’interno del Paese, ma mostra anche una tendenziale perdita della sua “capacità di orientamento” (come sostenuto da Gian Enrico Rusconi) in seno alle istituzioni europee e nei rapporti con l’insieme degli Stati membri. Contribuire al superamento del presente “smarrimento” o diaspora, ben visibile nelle difficoltà del Consiglio, è compito dei governi più consapevoli della gravità della crisi e dell’esigenza di una ricerca di soluzioni in positivo. Come il governo italiano, le cui responsabilità si sono accresciute, pur fuori di intenti liquidatori della storica tradizione dell’intesa franco-tedesca. Per l’Italia è necessario impegnarsi concretamente su scelte volte a “ripensare istituzioni dell’Unione — scrissi nel marzo scorso — divenute pletoriche o comunque poco governabili ed efficaci. Si imponga a tal fine o no una revisione dei Trattati”».
Bisognerebbe quindi ispirarsi all’idealismo, ma anche a un certo pragmatismo dei padri fondatori?
«Nella lezione tenuta il 13 settembre a Trento nel ricevere il Premio De Gasperi, Mario Draghi si è richiamato a elementi di fondo della visione europea del nostro grande statista, fondatore tra i più lungimiranti del processo di integrazione. Di quei “padri del progetto europeo” egli ha esaltato la capacità di “coniugare efficacia e legittimazione”, mettendo in comune “soltanto lo stretto indispensabile” (parole di De Gasperi) “per la realizzazione dei nostri obbiettivi più immediati”. E Draghi nota ancora che l’azione comunitaria venne concentrata in ambiti in cui era chiaro che l’azione individuale dei governi non fosse sufficiente. I risultati conseguiti in fatto di crescita, dal 1960, del Pil pro-capite in termini reali e quindi del tenore di vita dei cittadini, così come in materia di libertà e diritti, furono tali da motivare il più ampio consenso per la scelta comunitaria. Siamo ora alle prese con l’insoddisfazione crescente nei confronti del progetto europeo negli ultimi anni per effetto del dilagare della “più grave crisi economica del dopoguerra” e del crescere della disoccupazione a livelli senza precedenti, mentre si sono ristretti i margini di azione dello stato sociale”».
L’integrazione deve insomma procedere nonostante tutto?
«Rispetto all’attuale travaglio dell’Unione, il presidente della Bce risponde con “un sì senza condizioni” circa il “lavorare insieme come modo migliore per superare le nuove sfide che ci troviamo a fronteggiare”. Netta e conseguente è dunque la conferma della determinazione a perseguire coerentemente il processo di integrazione. Tuttavia, la lezione di Draghi va attentamente considerata anche per il realismo e la misura che la caratterizzano. Ancora nel solco di De Gasperi egli ritiene che ci si debba “concentrare sugli interventi che portano risultati tangibili e immediatamente riconoscibili” per recuperare fiducia tra i cittadini dell’Unione, che gli interventi necessari dell’Unione debbono “essere visibilmente connessi ai timori immediati dei cittadini”: tra i quali rientrano in particolare i settori dell’immigrazione, della sicurezza e della difesa».
Come sempre, un’intesa non sarà facile.
«Possono esserci a questo riguardo, e ci sono, in seno al Consiglio europeo sensibilità diverse; ma qui occorre rinnovata capacità di convinzione e di guida. Si tratta di un’opera di tessitura, urgente e delicata, di cui l’Italia deve farsi protagonista piuttosto che lasciarsi tentare dal “fare da sola”. Fanno da soli oggi, e non lavorano in effetti nemmeno nell’interesse del proprio Paese, coloro che come i leader ungheresi sfidano le decisioni del Consiglio e ne minano ulteriormente la già scossa autorità».