giovedì 22 settembre 2016

Corriere 22.9.16
L’Europa di Matteo Renzi. La svolta di Bratislava
risponde Sergio Romano

Il suo articolo sul Corriere del 18 settembre sull’asse franco-tedesco e la conferenza stampa di Matteo Renzi a Bratislava mi spinge a fare alcune considerazioni. Quanto lei dice mi sembra fotografi alla perfezione la situazione sul cosiddetto asse tra Francia e Germania. È la conclusione del suo articolo che mi lascia perplesso. I casi sono due. O Renzi era stato invitato alla conferenza di chiusura di Bratislava, o era stato «dimenticato». Nel primo caso, ha fatto benissimo a non presentarsi, palesando così in maniera ufficiale il suo dissenso. Nel secondo caso, e sarebbe grave, avrebbe dovuto esternare in altra maniera il suo dissenso.
Fabrizio di Giura

Caro di Giura,
Capisco la sua osservazione, ma credo che Renzi disponesse di mezzi e argomenti per trasformare il duetto franco-tedesco in un terzetto franco-tedesco-italiano. Vi era stato l’incontro di Ventotene a cui Hollande e Merkel avevano partecipato con piacere. Vi era stato l’incontro di Merkel e Renzi nel Museo Ferrari di Maranello qualche giorno dopo. Vi erano stati incontri di Renzi con Hollande a Parigi, Roma e Atene. Vi era stata soprattutto la convinzione, sempre più diffusa, che il referendum britannico e l’uscita della Gran Bretagna dalla Unione imponessero un chiarimento. Era evidente ormai che il frettoloso allargamento dell’Ue ai Paesi dell’Europa centro-orientale e ai piccoli Stati del Mediterraneo aveva creato una discutibile convivenza tra attori profondamenti diversi. Italia, Germania, Francia e i Paesi del Benelux si erano uniti perché sapevano di avere fatto della loro sovranità nazionale, in guerre sanguinose, il peggiore uso possibile. Polonia, Ungheria, Repubblica Ceca e Slovacchia avevano aderito all’Ue per recuperare la sovranità perduta negli anni della Guerra fredda.
Brexit rendeva possibile una discussione che negli anni precedenti, mentre Londra era ancora nell’Unione, sarebbe stata impossibile. Per aprire questa discussione molti pensarono che l’iniziativa spettasse al sestetto della Ceca e del Mercato Comune. Erano i Paesi fondatori e, come si direbbe in una azienda, gli azionisti di riferimento. Qualche istituto di studi e ricerche ricominciò a ragionare su una vecchia proposta che Jacques Delors, presidente della Commissione dal 1985 al 1995, aveva illustrato al presidente francese François Mitterrand dopo l’unificazione tedesca: una grande Confederazione europea dove avrebbero convissuto, in stanze separate, i Paesi maggiormente disposti a sacrificare la propria sovranità e quelli che erano principalmente interessati ad alcune particolari politiche dell'Unione. Dopo l’uscita della Gran Bretagna quella ipotesi diventava finalmente possibile.
Tutto ciò che Renzi ha fatto nel corso della estate mi sembrava andare in questa direzione. A Bratislava, tuttavia, la direzione è cambiata e il presidente del Consiglio ha preferito giocare la carta un po’ vittimista dell’interesse nazionale. Posso comprenderne le ragioni. Come altri uomini di governo in Europa, anche Renzi deve guardarsi le spalle da un pugno di demagoghi che cercano di conquistare una effimera popolarità facendo della Ue la causa di tutti i nostri mali. Ma ha la responsabilità del governo e non può ignorare che nessun Paese è in grado di risolvere da solo i problemi da cui siamo tutti egualmente afflitti. La frase «L’Italia è in grado di muoversi da sola», con cui ha commentato la mancanza di una politica europea per l’Africa, ricorda un’altra frase, più antica (L’Italia farà da sé) che la storia ha regolarmente smentito.