giovedì 22 settembre 2016

La Stampa 22.9.16
I Giochi chiudono in rosso
Vantaggi solo dopo 10 anni
L’unica edizione in attivo è stata Los Angeles ’84 Grande rilancio turistico per Torino e Barcellona
di Roberto Giovannini Marco Sodano

Ci sono molte ottime ragioni per organizzare i Giochi Olimpici, ma tra queste non c’è il ritorno economico. Così dicono i più autorevoli studi sull’argomento: solo a Los Angeles, nel 1984, l’Olimpiade riuscì a incassare più di quanto si era speso e finire i conti in attivo. Per il resto, alcune edizioni hanno creato vere e proprie voragini nei bilanci, altre (ma sono meno) hanno limitato le perdite. In nessun caso – nessuno – si è riusciti a rispettare i preventivi per la costruzione delle infrastrutture necessarie, sportive e non: lo sforamento medio è del 179% in termini reali, ma a Montreal (1976) e Sarajevo (1982) si spese più di dieci volte il previsto. Sotto questo punto di vista, l’edizione migliore è stata Pechino 2008, che superò il budget appena del 4%: soprattutto perché è stata l’Olimpiade estiva di gran lunga più costosa di sempre, 45 miliardi di dollari, battuta solo dall’edizione invernale di Sochi 2014, costata alla Russia una follia: 51 miliardi.
Entrate e uscite
Viene da pensare, però che tirare una riga alla fine dei Giochi, entrate e uscite, sia semplicemente sbagliato: si finisce (quasi) sempre in passivo. Robert A. Bale e Victor A. Madeson, autori di un accuratissimo studio sul tema (Going for the gold, the economics of the olympics, apparso sul Journal of economic perspective nella primavera 2016) ricordano che l’unica edizione considerata universalmente un successo dal punto di vista economico è stata quella di Barcellona 1992. Grazie a un piano di riorganizzazione urbana, l’Olimpiade ha cambiato il volto della città e l’ha fatta conoscere al mondo, moltiplicando le presenze turistiche: dieci anni dopo quell’Olimpiade, nel 2012, Barcellona ha battuto Madrid per presenze turistiche durante l’estate. Un’operazione riuscita, almeno in parte, anche a Torino 2006 e Atalanta (1996), entrate nei circuiti turistici grazie ai Giochi. Il calcolo, insomma va fatto in prospettiva, e gli eventuali effetti benefici arrivano solo molti anni dopo le gare, quando è difficile fare un raffronto diretto con le spese sostenute.
Costi e ricavi
Bale e Madeson hanno calcolato che un’Olimpiade chiavi in mano, oggi come oggi, costa 12 miliardi di dollari, di cui meno di 5 per la parte strettamente sportiva. I ricavi prevedibili assommano a quattro miliardi: uno di biglietti, uno dagli sponsor, due di diritti tv. Poi c’è il contorno, ovvero strade, aeroporti, ferrovie, quel che serve per far funzionare la macchina olimpica. E se questi investimenti possono dare buoni frutti, bisogna poi fare i conti con gli impianti sportivi, quasi sempre deludenti.
Il buco più catastrofico l’ha fatto Atene - moltissime strutture abbandonate e altre già demolite - Torino si è popolata di stranieri ma rimugina sul Villaggio Olimpico, oggi abitato da migranti che vivono in condizioni di disagio grave, e ha avuto le sue difficoltà con le piste da bob o dei trampolini per lo sci, grandi strutture che certo non sono alla portata delle famiglie in gita domenicale. E pochi sanno che anche lo splendido - e costosissimo, circa 400 milioni di dollari - stadio di Pechino, il Nido di uccello, è stato adoperato poco e niente dopo i Giochi. Oggi una parte di quella meraviglia architettonica è stata convertito in appartamenti.
I vantaggi indiretti
Deludente anche il riscontro sul versante dei vantaggi economici indiretti. I due studiosi concludono che, lì per lì, l’impatto economico e «prossimo allo zero» nei casi peggiori e comunque al massimo «una frazione» delle cifre sbandierate alla vigilia. A Salt Lake City (2002), i Giochi hanno generato settemila posti di lavoro. Che però, a fare il conto matematico, sono costati 300mila dollari l’uno. A Londra, nell’estate 2012, si sono contati meno turisti del solito: ci vado una volta nella vita, evito la fiumana olimpica. E poi c’è l’effetto sostituzione: il turista che spende una cifra per procurarsi un biglietto per i cento metri si accontenterà di un hot dog al parcheggio dello stadio, lasciando il ristorante del centro - è il caso di dirlo - a bocca asciutta.
Il pretesto dei soldi
La verità, concludono Bale e Madeson, è che un’Olimpiade non è (quasi) mai un affare nell’immediato perché nessuno la organizza per fare soldi. I soldi sono un pretesto: per appoggiarla esaltando le occasioni o per osteggiarla sottolineando i rischi. Le Olimpiadi si organizzano per orgoglio, per mostrare i muscoli di un Paese e dei suoi leader. Non è un caso che il record della spesa spetti a Cina e Russia, paesi dove non c’è un’opinione pubblica che possa creare problemi.
Forse andrebbe rivalutata la soluzione giapponese. Conclusi i Giochi invernali di Nagano 1998, il comitato fece bruciare parte dei registri: nessuno potrà mai tirare una linea sotto le entrate e le uscite e recriminare (o gioire) per il risultato economico. Lo Zen e l’arte di organizzare un’Olimpiade, insomma.