La Stampa 21.9.16
Dove nasce l’impotenza dei Grandi
di Stefano Stefanini
Vittime
 civili di azioni militari sono sempre una tragedia umanitaria. 
L’attacco aereo in Siria contro un convoglio di aiuti delle Nazioni 
Unite è anche molto di peggio. E’ tutta la brutalità del conflitto 
siriano all’opera. Non conosce e non rispetta limiti. Sposandola il 
regime di Damasco non può neppure dare lezioni alla barbarie dello Stato
 islamico. Mentre a New York si apriva l’Assemblea Generale e si 
celebravano i riti annuali della diplomazia internazionale, la violenza 
gratuita del raid se ne faceva le beffe in Siria. L’immagine d’impotenza
 dei leader riuniti al Palazzo di Vetro non poteva essere più 
devastante.
Non sappiamo con certezza assoluta chi sia il 
responsabile del raid, ma è difficile concedere ad Assad il beneficio 
del dubbio. I ribelli non hanno aerei. L’errore di altre forze operanti 
nei cieli siriani è sempre possibile, ma Russia, Stati Uniti, Turchia e 
altri si tenevano stretta la tregua. Rimane solo l’aviazione di Damasco.
 Ban Ki-moon non ha avuto dubbi nell’accusare il governo siriano. 
Raramente un Segretario Generale dell’Onu è stato così esplicito nel 
puntare il dito contro un Paese membro: «Nessuno ha ucciso più civili 
del governo siriano, che continua a bombardare quartieri e torturare 
migliaia di detenuti». Ban avrà avuto buoni motivi, e sufficienti prove,
 per andare giù così pesante.
Nelle parole del Segretario Generale
 c’è molta frustrazione. Da due anni, il suo inviato speciale, Staffan 
de Mistura, insegue con tenacia una soluzione politica del conflitto 
siriano. Più di una volta si è avvicinato al negoziato. Il primo passo 
era, ed è, il cessate il fuoco. Altrimenti è impossibile negoziare 
seriamente.
Il raid è un siluro contro la faticosissima tregua 
raggiunta pochi giorni fa da John Kerry e Sergei Lavrov. Ha ridato la 
parola alla violenza, per di più a spese del personale civile dell’Onu 
che portava aiuti alla popolazione siriana. Le operazioni umanitarie 
sono state sospese o rallentate anche da altre organizzazioni come la 
Croce Rossa o la Mezzaluna siriana.
Restano ora da raccogliere i 
cocci. La diplomazia cercherà di salvare il salvabile - lo fa sempre. Il
 Segretario di Stato americano ha detto che «la tregua in Siria non è 
morta». Lavrov non l’ha smentito, ma la tensione fra Mosca e Washington 
si è subito impennata. Il barlume di cooperazione russo-americana contro
 Isis si è smorzato sul nascere.
Anche se le accuse ad «aerei 
russi» si riveleranno del tutto infondate (dimostrerebbe una tragica 
incompetenza), Mosca è comunque nella scomoda posizione di negare a 
priori che l’attacco sia opera dell’aviazione di Damasco. Altrimenti 
dovrebbe riconoscere di non controllare l’alleato siriano. Come avvenuto
 nel 2014 con l’abbattimento del volo MH17 da parte dei ribelli ucraini,
 la Russia si trova fra la padella della responsabilità per associazione
 e la brace del non voler prendere le distanze dagli autori del 
misfatto. E’ probabile che scelga il diniego - anche dell’evidenza. 
Resta l’interrogativo politico se sia Mosca a controllare Damasco o il 
regime a tenere la Russia ostaggio delle proprie fortune. Assad affronta
 una partita in cui Putin si gioca la credibilità, nonché le basi di 
Tartus e Latakia.
Siamo abituati, da sempre, all’incapacità 
dell’Onu di controllare le crisi internazionali. Le Nazioni Unite sono 
il riflesso delle scelte della comunità internazionale, in particolare 
delle grandi potenze, a cominciare da Stati Uniti e Russia (oggi se ne 
aggiungono altre). Durante la Guerra Fredda le crisi non si risolvevano 
perché i «grandi» non lo volevano. Lo scenario è cambiato - in peggio. 
Oggi non si risolvono perché neppure i leader mondiali hanno la capacità
 di controllare le forze che scatenano i conflitti e che sono alla 
radice delle minacce o crisi che devono fronteggiare.
Con una 
tregua violata alla faccia dei negoziatori riuniti a New York, la Siria è
 l’esempio più clamoroso. Lo è anche il prepotente irrompere 
dell’immigrazione nel mondo (non solo in Europa). Lo è anche il 
terrorismo, riapparso improvvisamente nelle strade di Manhattan alla 
vigilia del discorso con cui Barack Obama si è congedato dall’Onu.
Il
 Presidente americano ha parlato da saggio, ma la saggezza non rassicura
 gli americani o il pubblico mondiale. Altri, come Angela Merkel dopo la
 sconfitta elettorale a Berlino, affrontano lo stesso dilemma: tener 
ferma la barra, ma mostrare la via d’uscita. Il mondo è alla presa con 
forze dirompenti. La risposta alla sfida non si trova solo nei fori 
europei e internazionali, a Bratislava o a New York. I giochi si fanno 
sul terreno: in Siria, in Africa, nel Mediterraneo.