martedì 20 settembre 2016

La Stampa 20.9.16
Grandi contro piccoli, editori più divisi che mai
Mauri (Gems): “Si va dove c’è il mercato” Donzelli: “Insensato ammazzare Torino”
di Mario Baudino

L’analisi più spietata è quella di Carmine Donzelli (editore non iscritto all’Aie, ma che ancora non ha aderito all’associazione dei medio-piccoli per il Salone a Torino): «Quanto accade era del tutto prevedibile, purtroppo. Posto che è insensato ammazzare Torino, aggiungo che si può farlo in vari modi, col pugnale o con una bella iniezione letale, come si sta provando in questo momento. Però sempre assassinio è». Parla di una «pervicace volontà dell’Aie», di un «braccio di ferro» imposto «approfittando delle debolezze tattiche e anche politiche della città» e conclude amaramente di non aver mai immaginato che il comitato dei saggi potesse andare «oltre l’eutanasia».
Detto questo, se potesse o dovesse scegliere preferirebbe mille volte andare come sempre a Torino. Non a Rho, perché «a una manifestazione puramente commerciale non sono interessato». Il suo è un punto di vista largamente condiviso dai piccoli e medi editori (Antonio Sellerio si chiede ad esempio come si possa cancellare una manifestazione «dove abbiamo venduto tanti libri, incontrato tutti i maggiori scrittori del mondo, parlato con milioni di lettori»), ma non certo dai grandi gruppi, che forniscono all’Aie il grosso delle munizioni, e che preferiscono tacere.
Molto off the records, qualche giorno fa, un importante manager ci confidava che Torino gli andava benissimo, purché non ci fossero stand. Si può immaginare che quest’idea sia prevalente in casa Mondadori e in casa Giunti, mentre Feltrinelli è da sempre più possibilista. Stefano Mauri (gruppo Gems) ribadisce le sue posizioni: «Sono favorevole a organizzare le cose dove c’è un mercato che le possa sostenere», e questo mercato - spiega - è a Milano. Quanto agli stand, «gli editori non possono essere ubiqui. Sarebbe invece bello provare a “concentrare il fuoco” tutti dalla stessa parte». Nella resistenza di Torino vede dunque una guerra fratricida? «Se fosse, e cioè se si creassero due Saloni, sarebbe una guerra di resistenza sul medio periodo». Va da sé che non ha dubbi sul vincitore.
Ma davvero lo scenario è già fissato, con gli editori schierati a maggioranza (non per numero ma per peso di mercato) sui bastioni della Fiera milanese? Antonio Sellerio non è convinto: «Non posso pensare che non si trovi un’intesa, secondo me è ancora possibile». Altri meno. Giuseppe Russo (Neri Pozza) punta il dito contro «i diktat inaccettabili» e annuncia che lui «verrà a Torino». Marco Zapparoli (Marcos y Marcos) usa lo stesso aggettivo («inaccettabile») e prevede che per la prossima settimana, a Bologna, all’assemblea dei piccoli e medi editori, potrebbe scoppiare un bel putiferio.
Elisabetta Sgarbi, che con «La nave di Teseo» è stata protagonista della lunga stagione editoriale cominciata con l’acquisizione della Rizzoli da parte di Mondadori (chissà che tutto non sia deflagrato di lì), aveva proposto già all’inizio della discussione due fiere ben dislocate nel tempo, una a Milano fra gennaio e febbraio, una a Torino alle soglie dell’estate.
È ancora percorribile? «A me sembra tuttora l’unica possibilità. Ma mi pare si sia arrivati a uno scontro di volontà: è un braccio di ferro che squalifica il sistema culturale italiano, le due città e i due Saloni. E poi, viene da domandarsi, a che scopo?». Già, a che scopo? «Apprendo che ci sono veti incrociati. Se non fosse che ne ho viste molte, direi che sono piuttosto sconcertata. La pari dignità dei Saloni, non dimentichiamolo, deve coincidere con la pari dignità per gli autori, gli editori, i librai coinvolti». E questo obiettivo sembra si stia perdendo. Dalla Feltrinelli, proprio all’inizio della pur breve maratona negoziale, il direttore organizzativo Alessandro Monti ci aveva detto di essere sicuro di una soluzione per cui tutti potessero ancora scegliere dove andare, con un Salone diffuso su due grandi città. Soluzione tramontata? Urgono pontieri.