martedì 20 settembre 2016

La Stampa 20.9.16
Letta
“Non siamo in salvo, dopo Londra altri Paesi possono uscire dall’Ue ”
“Fare in fretta, siamo ancora impreparati in caso di crisi”
intervista di Francesca Paci

«Non siamo affatto in salvo, altri paesi potrebbero seguire Londra», mette in guardia Enrico Letta, direttore della Scuola Internazionale dell’Università SciencesPo di Parigi e presidente dell’istituto Delors. «L’Europa - dice - non si aggiusta con i tweet». Il summit di Bratislava ha congelato gli entusiasmi europeisti vellicati a Ventotene per dimenticare la Brexit. Da dove ripartire? Dire dall’euro nell’età dei populisti suona provocatorio. Eppure è sull’euro e sulla crescita che si concentra lo studio dell’Istituto Jacques Delors e della Fondazione Bertelsmann (Repair and Prepare. Growth and the Euro after Brexit) che Letta presenta oggi a Berlino.
L’euro è il primo target degli euro-scettici. Lo rafforziamo?
«Paradossalmente l’euro è oggi il tassello dell’Ue più amato dai cittadini, perché al netto delle critiche a Bruxelles tutti sanno quanto tornare alle monete nazionali nuocerebbe ai paesi deboli. I dati ci suggeriscono anche come la Banca Centrale Europea sia l’istituzione che gode della maggiore fiducia. Senza Draghi la situazione avrebbe potuto essere peggiore. La tempesta non è passata: se la crisi si ripresentasse saremmo ancora impreparati e non possiamo più permetterci, come nel 2008, di impiegare 4 anni per il Fondo salva-Stati».
Cosa propone il rapporto?
«Parte dal presupposto che non esiste un’unione monetaria senza un’unione economica e va in direzione opposta alla linea attendista di Berlino e Parigi, quella del non fare nulla fino al voto tedesco e francese del prossimo anno. Dobbiamo muoverci: a settembre 2017 potrebbe non esserci più un’Europa da aggiustare».
C’è molta diffidenza nei riguardi dei tecnicismi. Come si aggiusta l’Europa in parole semplici?
«L’unione economica deve generare gli investimenti mancati negli anni della crisi. Finora l’aggiustamento è stato a livello nazionale: oggi urgono politiche di crescita europee, il piano Junker è utile ma insufficiente. È uno dei nodi centrali del rapporto, di cui è parte integrante il lavoro del gruppo coordinato da Mario Monti sulle risorse proprie della Ue. Proponiamo per esempio che il Fondo salva-Stati non sia usato solo per spegnere l’incendio ma per creare investimenti e che abbia meccanismi di reazione immediata tali da non dover ricorrere come nel 2009 al Fmi, tuttora in campo. L’altro nodo, su cui la Germania frena, è l’ultimazione dell’unione bancaria».
Secondo il rapporto la road map potrebbe durare 10 anni. Gli europei avranno tanta pazienza?
«Il metodo Delors teneva insieme il cacciavite e i principi. I tecnici hanno bisogno di tempo per rinforzare i bulloni. Ma il rapporto parla anche all’opinione pubblica che chiede risultati visibili. Servono gli investimenti e la democratizzazione dell’euro. Voglio dire che bisogna affiancare a Draghi dei ministri dell’economia dell’euro che non siano banchieri ma abbiano una legittimazione politica e creare una sorta di parlamento dell’euro. Ai tempi della crisi greca c’erano il Fmi, la Banca Centrale e il parlamento europeo che comprendeva però anche paesi non in zona euro come il Regno Unito: i greci avevano buon gioco a contrapporre la propria legittimità di eletti a quella di organismi non eletti».
La Brexit potrebbe agevolare la democratizzazione dell’euro?
«Spero di sì. Ero per il Remain ma adesso è fatta e non si torna indietro. Il Regno Unito vorrebbe diventare la Singapore d’Europa ma noi dobbiamo essere saldi nel rifiutare la libertà di movimento dei soldi senza la libertà di movimento delle persone. Il tempo stringe. Il documento presentato a Bratislava dal Gruppo di Visegrad è quello di chi vuole uscire. Bisogna agire».
Può l’Europa risolversi nell’euro? E tutto il resto, la storia, l’identità, il progetto politico?
«L’’euro è un tassello importante, finora ci ha difeso ma non ci ha dato crescita. Bisogna eliminare il sillogismo per cui prima della moneta unica si stava meglio: il 2000 non è uno spartiacque a causa dell’euro ma perché sono entrati in campo concorrenti che hanno messo ko l’Europa, penso all’India, al Brasile, alla Corea del Sud, alla Cina che è passata dal 5 al 17% dell’economia mondiale. Poi certo, l’euro da solo non basta. Gli altri tre pilastri per salvare l’Europa sono la sicurezza, dal terrorismo alla difesa all’Fbi europea, la gestione dei flussi migratori e la polizia frontaliera, i giovani».
Può l’Europa risolversi nell’euro? E tutto il resto, la storia, l’identità, il progetto politico?
«L’’euro è un tassello importante, finora ci ha difeso ma non ci ha dato crescita. Bisogna eliminare il sillogismo per cui prima della moneta unica si stava meglio: il sillogismo per cui prima della moneta unica si stava meglio: il 2000 non è uno spartiacque a causa dell’euro ma perché sono entrati in campo concorrenti che hanno messo ko l’Europa, penso all’India, al Brasile, alla Corea del Sud, alla Cina che è passata dal 5 al 17% dell’economia mondiale. Poi certo, l’euro da solo non basta. Gli altri tre pilastri per salvare l’Europa sono la sicurezza, dal terrorismo alla difesa all’Fbi europea, la gestione dei flussi migratori e la polizia frontaliera, i giovani».