domenica 18 settembre 2016

La Stampa 18.9.16
Pace in Medio Oriente, ci vorrebbe san Francesco
L’incontro del frate di Assisi con il sultano d’Egitto, al tempo della quinta crociata, è un modello per il dialogo
di Fernando Gentilini

Un pomeriggio di non molto tempo fa, in un caffè di Gerusalemme, mi trovai a discutere del processo di pace israelo-palestinese con un diplomatico europeo. Io ero arrivato da poco in Medio Oriente, mentre lui ci viveva da diversi anni ed era considerato un grande conoscitore del mondo arabo. La cosa che mi colpì di quella conversazione fu che a un certo punto, mentre ragionavamo sul fatto che c’erano in giro troppi accordi tra le due parti rimasti lettera morta, lui disse che forse avremmo dovuto cambiare metodo di lavoro e prendere esempio dai francescani. «Dai francescani?» feci sgranando gli occhi. «Sì, dovremmo usare il metodo francescano» rispose lui senza scomporsi. E aggiunse che da queste parti la parola data vale molto di più di un accordo scritto, e lo dimostrava in modo inconfutabile l’incontro tra Francesco d’Assisi e il sultano d’Egitto al tempo della quinta crociata.
Rimuginai su quelle parole per tutto il giorno. Si era trattato di un breve scambio, durato qualche secondo. Ma, come direbbero Freud o Jung, era stato sufficientemente lungo per significare qualcosa. Così l’indomani mattina, volendo saperne di più, andai al convento di San Salvatore, nel cuore della Città Vecchia, roccaforte dei frati minori a Gerusalemme. Fra Sergio Galdi, segretario della Custodia di Terra Santa, fu gentile e prodigo di consigli. Anzitutto mi mostrò una riproduzione della Bolla pontificia del 1342 con la quale Clemente VI aveva riconosciuto ai francescani il diritto di rappresentare la Chiesa di Roma in Terra Santa. E poi mi spiegò che da quel momento in poi ai frati minori era stata affidata la custodia di un numero sempre maggiore di luoghi santi, dentro e fuori le mura di Gerusalemme, il che sul piano operativo e pastorale poteva considerarsi il coronamento dell’incontro del 1219 tra Francesco e il sultano d’Egitto. A quel punto lo incalzai con le mie domande: ma cos’era successo durante l’incontro? C’era stata davvero un’intesa tra i due? E in che misura questa intesa aveva preparato il terreno per la nascita della Custodia di Terra Santa?
Pellegrino in Terra Santa
Nei giorni successivi presi a frequentare la biblioteca generale della Custodia. Mi sembrava il posto più naturale per studiare il materiale che fra Sergio mi aveva messo a disposizione: i passi dalla Vita prima di san Francesco d’Assisi di Tommaso da Celano, la Leggenda maggiore di san Bonaventura da Bagnoregio, le lettere di Giacomo da Vitry, e soprattutto gli estratti dai cronisti della quinta crociata, inclusa la famosa Cronaca di Ernoul. Trovare le risposte alle mie domande non era facile, perché le fonti erano contraddittorie, si basavano su supposizioni, e nella maggior parte dei casi erano posteriori rispetto ai fatti narrati. Ma poco a poco, pagina dopo pagina, i contorni dell’impresa di Francesco cominciarono a delinearsi.
Era cominciato tutto verso la metà del 1219, quando il frate di Assisi decise di aggregarsi alla quinta crociata come pellegrino penitente, con l’intenzione di raggiungere il Santo Sepolcro a Gerusalemme. Le fonti ci dicono che, una volta sbarcato ad Acri, Francesco si recò a Damietta, sul delta del Nilo, dove da oltre un anno l’esercito cristiano teneva la città sotto assedio. E che qui, approfittando di una tregua nei combattimenti, rese visita al sultano d’Egitto Malik al-Kamil, nipote del Saladino, portando con sé un compagno, frate Illuminato da Rieti.
Le fonti non sono d’accordo sui motivi che spinsero Francesco a cercare l’incontro, e non forniscono neanche particolari sull’incontro stesso. Ma sono tutte concordi nel riferire di un’accoglienza da parte del sultano che nessuno, date le circostanze, avrebbe osato immaginare. Per usare le parole di san Bonaventura da Bagnoregio, «vedendo l’ammirevole fervore di spirito e la virtù dell’uomo di Dio» il sultano non solo evitò di tagliargli la testa, come pare gli avessero raccomandato i suoi consiglieri, ma «lo ascoltò volentieri e lo pregò vivamente di restare presso di lui».
Non è neppure chiaro quanto tempo Francesco si trattenne nell’accampamento saraceno, se un solo giorno oppure un periodo più lungo. E soprattutto non sappiamo come andarono le cose tra i due nel poco o tanto tempo che passarono insieme. Se per esempio Francesco chiese davvero di sottoporsi alla prova ordalica del fuoco, come riferisce san Bonaventura, oppure se corrisponda al vero quanto riporta Giacomo da Vitry, secondo il quale, prima di congedarsi da Francesco, il sultano lo pregò in segreto «di supplicare per lui il Signore perché potesse, dietro divina ispirazione, aderire a quella religione che più piacesse a Dio».
Un’ipotesi verosimile su cosa sia accaduto nella tenda del sultano si trova in uno studio dello storico Pacifico Sella, Francesco e il sultano: l’incontro, pubblicato nel 2011 dalla rivista Studi francescani. Un testo utile anche a districarsi tra le fonti e per cogliere la portata storica e religiosa dell’impresa. Non bisogna infatti dimenticare l’impegno apostolico di Francesco, che tra l’altro fu il primo santo cristiano durante il Medioevo ad avviare un dialogo con il mondo musulmano. E neanche la sua determinazione a visitare la terra del Signore come pellegrino, che lo aveva portato a tentare per ben due volte prima del 1219, senza riuscirci.
Una missione diplomatica
Secondo Pacifico Sella quella di Francesco fu una missione di pace, nel senso operativo del termine, per ottenere con la diplomazia ciò che i crociati non erano riusciti a ottenere con le armi. Viene citato a sostegno di questa tesi un passo della Cronaca di Ernoul, in cui si racconta che i due frati, prima di dirigersi verso il campo musulmano, confidarono al cardinal Pelagio, comandante dell’esercito cristiano, di voler incontrare il sultano per compiere un gran bene. E viene inoltre citata una fonte araba coeva, secondo la quale vi sarebbe effettivamente stato un confronto dialogico tra il frate e i consiglieri del sultano alla presenza di quest’ultimo. Lo scopo di Francesco dunque non era né il martirio del fuoco e nemmeno di convertire il sultano, come sostenuto da alcune fonti, ma di avviare una trattativa per ottenere qualcosa.
Su quest’ultimo punto Pacifico Sella richiama la storiografia francescana. E scrive che per Francesco «il gran bene consisteva nell’assicurarsi da parte del sultano il permesso per sé, per i suoi frati, e ovviamente per tutti i pellegrini cristiani che si erano uniti alla crociata con il sogno di poter visitare la Terra Santa, di potervi andare senza pagare tributi (il cui versamento era vietato dalla Chiesa nel tempo della crociata), o, peggio, senza essere costretti a prestare servizio armato nell’esercito crociato». Ecco dunque lo scopo della missione, il motivo dell’incontro con il sultano; il cui esito, dal momento che i due frati erano rientrati sani e salvi all’accampamento crociato, non poteva che essere stato positivo.
Nonostante le guerre
Non sappiamo se Francesco abbia poi raggiunto Gerusalemme. I più, nel silenzio delle fonti, tendono a escluderlo. È lecito però pensare che durante l’incontro di Damietta, Francesco e il sultano abbiano discusso la futura presenza francescana in Terra Santa; e che taluni degli eventi che seguirono siano stati in qualche modo preparati da quella conversazione. La missione apostolica dei francescani in Terra Santa poté infatti iniziare negli anni successivi, nonostante i continui scontri tra cristiani e musulmani. E anche dopo la caduta dell’ultimo bastione crociato di Acri, nel 1291, i frati minori continuarono da Cipro a programmare e attuare ogni forma possibile di apostolato a Gerusalemme e in altre zone. La loro presenza al Santo Sepolcro è segnalata dal 1322. E dal 1333, grazie all’intercessione dei reali di Napoli, Roberto d’Angiò e Sancha d’Aragona, essi poterono abitarvi, celebrarvi messa, e stabilirsi anche al Cenacolo del Signore.
Da quel momento i possedimenti si sono moltiplicati, e oggi alla Custodia di Terra Santa sono affidati 74 santuari, tra cui il Santo Sepolcro a Gerusalemme, la chiesa della Natività a Betlemme e quella dell’Annunciazione a Nazareth. Un dato che da solo basterebbe a descrivere la lungimiranza di Francesco e la sua capacità di stare sempre avanti rispetto allo spirito del suo tempo. Che i santi vedano più lontano degli statisti potrebbe quindi essere la morale di questa pagina di storia francescana; che poi era un po’ il senso del «ci rivorrebbe un san Francesco» di cui alle Lettere contro la guerra di Tiziano Terzani. In ogni caso, per quanto mi riguarda, io continuo ad avere fiducia negli uomini, malgrado tutto. Sperando che un giorno, il più presto possibile, riescano a compiere un gran bene su questa martoriata terra mediorientale, come Francesco e il sultano.