domenica 18 settembre 2016

Corriere La Lettura 18.9.16
Fu così che Gesù inventò Dio . E finì quasi per crederci
di Ranieri Polese

Gesù è mai esistito? E se sì, che uomo era? Da oltre due secoli, da quando cioè filologia e critica storica hanno cominciato a esaminare con criteri scientifici gli scritti del Nuovo Testamento, si è imposta la distinzione tra il Gesù storico e il Gesù della fede. Quello che — dando credito alle poche fonti dell’epoca — nacque a Nazareth, visse in Galilea e morì a Gerusalemme ai tempi dell’imperatore Tiberio, o invece il Cristo Figlio di Dio mandato sulla terra per riscattare con il suo sacrificio gli uomini dai loro peccati? Con il progredire delle ricerche archeologiche, la scoperta dei cosiddetti Vangeli apocrifi e dei Rotoli del Mar Morto, le nuove indagini storiche sul periodo (l’esistenza di Ponzio Pilato e del sommo sacerdote Caifa è ormai inconfutabilmente attestata da documenti), si è comunque aperto un grande spazio anche per l’immaginazione romanzesca che, dalle grandi biografie ottocentesche (David Friedrich Strauss, 1835; Ernest Renan, 1863: entrambi negano la natura divina di Gesù e considerano i miracoli e la resurrezione alla stregua di leggende, miti) arriva fino ai giorni nostri, Dan Brown compreso.
Prevale, spesso, in queste narrazioni l’elemento sensazionalistico (gli amori di Gesù con Maria Maddalena), il tema del complotto (la Chiesa ha nascosto le verità scomode per non perdere la sua autorità, ma a quest’opera oscurantista possono pure collaborare sinistre forze politiche), ma anche il desiderio di mettere alla portata del più vasto numero di persone — spesso da questi libri vengono realizzati film di grande successo — questioni che troppo spesso la ricerca scientifica non si mostra in grado di illustrare a quanti non sono addetti ai lavori. Eppure, qualunque sia la soluzione del dilemma — Gesù storico o Gesù della fede — il personaggio e tutto quello che rappresenta continuano a suscitare interesse.
Sotto Tiberio di Nick Tosches rientra nel filone della fiction teologica (sarebbe forse più giusto dire anti-teologica, visto l’atteggiamento quasi iconoclasta con cui si aggrediscono dogmi credenze tradizioni). Il titolo è ripreso dagli Annali di Tacito: «Cristo, sotto l’impero di Tiberio, era stato condannato al supplizio dal procuratore Ponzio Pilato». Tosches, però, in una breve introduzione, si sbarazza subito di Tacito e di Giuseppe Flavio, i due storici del primo secolo che nominano Gesù: sarebbero solo interpolazioni medievali. Poi ci racconta di una sua visita all’Archivio segreto vaticano (primavera del 2000), accompagnato da un vecchio monsignore con funzioni di archivista-bibliotecario, dove per caso vede un rotolo di pergamena, lo estrae dallo scaffale e subito nota la parola Iesum . Quello scritto risale al primo secolo, è stato composto da un nobile romano mandato in esilio da Tiberio a Cesarea, Gaio Fulvio Falconio, che ormai vicino a morire scrive una lunga lettera al nipote per narragli i fatti di cui fu testimone, anzi addirittura in gran parte protagonista. E al centro del racconto c’è Iesus.
Iesua, in latino Iesus, è un perdigiorno che si aggira per i vicoli di Cesarea. Per sopravvivere è pronto a tutto, furti, prostituzione, risse di strada. Quando Gaio lo vede, resta colpito dall’intensità del suo sguardo, in cui oltre alla fame, alla rabbia, c’è qualcosa di più. E il romano, che ha speso metà della sua vita a servire Tiberio e a promuovere la sua divinizzazione, concepisce un folle piano. In quella terra di profeti irascibili che recitano frasi del Libro e mal sopportano l’occupazione romana, fra gente che vive nella confusa attesa di un messia (un rivoluzionario che scaccerà gli invasori o un mistico che pensa solo all’anima?), l’idea di un uomo che si presenti come salvatore, che dia voce alle riposte speranze e alle più cupe disperazioni, l’idea insomma di creare un messia, anzi il Messia, lo cattura subito. Iesua e Gaio comunicano con un po’ di greco, a volte lui rompe il suo silenzio citando versetti del Libro, più spesso ride di quel ricco straniero che lo vuol far diventare simile a un dio e intanto gli promette di portarlo a Roma e di farlo diventare ricco. Uomo di forti appetiti carnali, Iesua si masturba frequentemente, poi, quando Gaio gli paga una notte in un bordello, il romano la mattina dopo lo trova circondato da ragazze che lo ascoltano e non vogliono nulla in cambio per il piacere che gli hanno dato. E in mezzo alla gente, Iesua si dimostra pronto a recitare la sua parte, scettico e distaccato da principio, poi sempre più coinvolto.
Iniziano così, i due soci in affari, un lungo viaggio attraverso tutta la terra di Israele (Gerusalemme sarà l’ultima tappa, come nei Vangeli). Iesua dice parole ispirate («Io sono la Parola e la Via»), si richiama spesso alle profezie di Isaia, sempre più spesso rielabora le frasi che Gaio scrive per lui. E la gente comincia a credergli, a seguirlo (il pescatore Simone è il primo discepolo), a offrire danaro per costruire il Nuovo Tempio. Il patto è che appena avranno raccolto abbastanza soldi, s’imbarcheranno da Cesarea per Roma dove li aspettano lussi e voluttà. Strada facendo, intanto, si presentano storpi, ciechi, ammalati: nessuno di loro esce guarito da quell’incontro, ma le voci che corrono parlano di miracoli e portenti. Lazzaro, ormai putrefatto nel sepolcro, non verrà resuscitato; la donna che perde sangue dopo un po’ viene allontanata; al padre della bimba cieca, Iesua dice che il Signore ha concesso a sua figlia di vedere cose che gli altri non vedono. L’esorcismo dell’indemoniato è una truffa in piena regola, e il vino della nozze di Cana è un povero trucchetto compiuto grazie a un’anfora dal doppio fondo. Quanto all’episodio di Cana, qui nel romanzo compare per la prima e unica volta Maria, la madre, che Iesua però maltratta trattandola come una donna indegna. E infine, a beneficio di Dan Brown e di tutti i fanatici delle leggende del Graal, Maria Maddalena è solo una vecchia sdentata che Iesua scaccia tanto è brutta e molesta.
Poi, però, succede qualcosa: il bravo prestigiatore comincia a credere alla propria leggenda, si lascia sedurre dalla devozione che folle sempre più straripanti gli tributano. E, per inverare quanto disse il profeta Zaccaria (salirà a Gerusalemme su un asino), vuole andare a sfidare nel loro covo farisei scribi sadducei. E sarà per lui un appuntamento fatale.
Scrittore di grande talento e di eclettiche inclinazioni (un suo libro su Jerry Lee Lewis, Hellfire. Con me all’inferno , è, per la stampa specializzata, la migliore biografia rock di tutti i tempi), Tosches si è cimentato con una ricerca sul banchiere Michele Sindona ( Power on Earth. Il mistero Sindona , Alet come il precedente) e con il racconto della carriera del cantante-attore Dean Martin ( Dino , Dalai). Nel 2002, con il romanzo La mano di Dante (in Italia, Mondadori), anticipava il fenomeno Dan Brown: da un lato c’è Dante che all’inizio del Trecento va in Sicilia in cerca di misteriosi insegnamenti, dall’altra c’è lo stesso Tosches che ai giorni nostri riceve l’incarico di cercare in Sicilia il manoscritto originale della Commedia .
Ora, con Sotto Tiberio , punta al bersaglio grosso, la vita di Gesù com’era veramente, narrata come fosse una favola morale. A dimostrazione di come sono gli uomini a creare il loro Dio, e non viceversa, mescolando nel suo racconto i lasciti di una scrupolosa documentazione con certi scoperti stratagemmi (il manoscritto ritrovato), senza curarsi di altro che del senso della sua storia. Dove l’uomo che crea un culto, una divinità, e così facendo rischia di perdersi nell’oggetto creato, è condannato a pagare per la sua superbia. Come capita appunto a questo Iesus umano, troppo umano. Che magari non sa che sulla sua morte si costruirà qualcosa, il Cristianesimo, che ha attraversato i secoli.