domenica 18 settembre 2016

La Stampa 18.9.16
“Se vinco il referendum, al vertice di Roma sarò più forte di Merkel e Hollande”
Il premier rilancia la sfida ai leader. Il 18 ottobre l’incontro alla Casa Bianca con Obama: “Un fatto enorme. Gli parlerò di crescita-crescita-crescita”
di Francesca Schianchi

«Io sto solo dicendo a Merkel e Hollande: volete portare l’Europa a cambiare? Io ci sono. La volete così? Fatevela, ma non chiedetemi di starci. Io la faccia su un maquillage non ce la metto. Visto che poi tocca a me finirla: perché se vinco il referendum succede che il 25 marzo, al vertice di Roma, io arrivo come il più forte di tutti, mentre loro saranno in piena fase elettorale». E’ mezzogiorno quando, poco prima di concedersi un pranzo col figlio maggiore Francesco, il premier Matteo Renzi si lascia andare con qualche amico in una saletta attigua all’imponente salone dei Cinquecento di Palazzo Vecchio. All’indomani del deludente consiglio europeo di Bratislava, è qui, nella sua Firenze, che trascorre la mattinata. Visita alla conferenza sulla disabilità, apertura del Festival dell’innovazione Wired Next Fest, piccolo fuori programma con bagno di folla in piazza («che bello stare tra la gente: se invece lo annuncio prima mi contestano, perché sono tutte contestazioni organizzate»), lì dove, a dispetto dell’abito scuro che smagrisce, una verace concittadina lo rimprovera: «Oh Matteino, come tu sei ingrassato, che ti danno da mangiare a Roma?».
Circondato da amici e compagni di Leopolda come l’attuale sindaco fiorentino Dario Nardella, il presidente del consiglio è di umore allegro, nonostante l’esito dell’incontro del giorno prima. «I giornali si ostinano a titolare “l’ira di Renzi”, anche se vedo che ormai c’è spesso anche “l’ira della Raggi”…», scherza, «e invece la mia posizione è senza polemica, col sorriso sulle labbra». Un sorriso amaro, però, se è vero che meno di un mese fa lui, il presidente francese Hollande e la cancelliera tedesca Merkel veleggiavano (apparentemente) affiatati e solidali verso Ventotene, per ricostruire insieme un’Europa diversa, e invece venerdì la posizione sua e quella di Parigi e Berlino si sono divaricate. Una distanza resa plastica dalla conferenza stampa di Hollande e Merkel, da cui Renzi è stato escluso. Giurano fonti presenti quel giorno di non avere saputo con certezza se i due leader l’abbiano organizzata come reazione infastidita della cancelliera alle parole del premier italiano durante la riunione («ho detto che non si può sostenere che le regole valgono per il deficit e non per il surplus commerciale della Germania da 90 miliardi di euro»), o se fosse già in programma da prima.
Fatto sta che «in questi mesi abbiamo proposto tre formati: quello di Ventotene, quello di Atene, e la riunione dei sei Paesi fondatori dell’Unione europea. Mi hanno chiamato dicendo: bene, bravo. Poi però, dopo aver fatto questo percorso, ho chiesto di fare modifiche vere: ebbene, a Bratislava non sono venute fuori. Loro pensavano che io facessi la parte di quello che si accontenta, che dice “sì, sì”, ma non è così», spiega a chi gli chiede una ricostruzione delle ultime ore. Poco prima, in una sala affollata, aveva sintetizzato la situazione con una battuta: «Non faccio la foglia di fico a nessuno: non sono fico e non faccio la foglia».
Eppure, insiste, «non sono polemico: con Hollande l’altra sera siamo andati a prendere la macchina insieme e abbiamo fatto anche due risate, mi ha detto: “Matteo, non hai attaccato la Turchia”, “sì François che l’ho attaccata…”». Il problema però resta, su due degli aspetti fondamentali delle politiche europee per l’Italia: l’immigrazione - che investe per prime e più di tutte le coste italiane - e la crescita. Che significa flessibilità e quindi soldi freschi da investire nella nostra economia. Renzi lo sa bene: «Fra sei mesi, a marzo del 2017», quando si terrà l’anniversario del Trattato di Roma, «o si è risolto il problema africano o mi ripiglio tutti gli immigrati anche quest’anno – ragiona sullo scenario – o si riparte con la crescita o mi ritocca la gauche caviar che mi dirà “Eh, però, la crisi…”». E allora, che fare adesso? Lui, per ora, mantiene lo stile arrembante: «Io non violo le regole europee, io le rispetto: ma ci sono altri che non le stanno rispettando. Non fai te, Europa, l’accordo con l’Africa? Va bene, lo faccio da solo». Convinto di avere un asso da calare di un certo peso: «Michelle e Barack invitano Agnese e Matteo alla Casa Bianca», ricorda l’invito a Washington dagli Obama del 18 ottobre prossimo. «L’ultima cena di Stato la fa con l’Italia, è una cosa enorme: e io parlerò di crescita, crescita, crescita». La ricetta di investimenti del presidente americano, lo ha ripetuto pubblicamente poco prima, è quella giusta: mica come la deprimente austerità europea. Spera che chissà, dall’altra sponda dell’Atlantico possa arrivare un sostegno. In vista di un nuovo round della lunga battaglia per cambiare l’Europa, al consiglio europeo di ottobre.