giovedì 15 settembre 2016

La Stampa 15.9.16
Lo psichiatra restaura le emozioni del cinema
Premiato alla Mostra di Venezia per “Break Up”
di Emanuela Minucci

Ha cominciato a salvare film con la leggerezza di uno dei palloncini di Break Up di Marco Ferreri che grazie al suo contributo è tornato a nuova vita. All’inizio ha investito 50 mila euro nel restauro di questa pellicola «così, per il piacere di veder scorrere il mio nome, in una delle sale del Lido». Il risultato è andato ben oltre. L’uomo dei cinque palloni, protagonista un sublime Marcello Mastroianni, nel ventennale della sua morte ha vinto il Leone d’Oro di Venezia nella categoria Classici per il miglior restauro. Per la felicità del presidente del Museo del Cinema di Torino Paolo Damilano ha avuto la meglio su capolavori come Manhattan e La battaglia di Algeri. L’ha deciso la giuria di 26 laureandi in Storia del Cinema, guidati dall’esperienza di Roberto Andò. E la loro scelta ha entusiasmato anche critici come Steve Della Casa che ha subito chiamato il mecenate per portare L’uomo dei cinque palloni a Sottodiciotto, il Festival da lui diretto: «Sono molto grato a chi ha salvato dall’oblio una pellicola tanto surreale quanto importante».
Così, il sogno di Massimo Sordella, 59 anni, psichiatra torinese, si è realizzato andando oltre ogni aspettativa. Non solo il grande applauso dei critici, ma anche il red carpet e un Leone d’Oro da esibire davanti a una pioggia di flash. Con nove fotografi su dieci che lo scambiavano per John Malkovich (la somiglianza è davvero sorprendente). Lanciato come un bimbo felice nell’iperuranio del Lido, l’uomo che voleva restaurare un’emozione ha deciso che continuerà, «perché salvare un’opera d’arte è una delle poche cose che conta». E ha già in mente la prossima pellicola: La strategia del ragno film di Bertolucci del 1970 liberamente ispirato a un racconto di Jorge Luis Borges. E anche in questo caso la trama si rivela molto intrigante per uno che di mestiere fa lo psichiatra: il tema del traditore e dell’eroe. Senza contare che le tavole dei titoli di testa sono del pittore Antonio Ligabue, un altro personaggio in bilico tra genio e traslucida follia. «Speriamo di farcela - spiega Sordella - io ce la metterò tutta, quando però ci sono di mezzo i diritti d’autore il cammino è tutt’altro che semplice». Se non sarà Bertolucci sarà un altro film di peso, ma una cosa è certa: l’avventura di questo signore che nella libreria di casa ospita oltre mille film conservati come neppure i gioielli della Regina, e che trascorre intere giornate nella Cinémathèque di Parigi a gustarsi vecchie pellicole in bianco e nero e in lingua come la retrospettiva su Gus Van Sant, è appena cominciata: «Potessi ne salverei a centinaia - confessa - perché è un modo di recuperare quello che siamo stati, la nostra memoria è tutta lì, nel bene e nel male».
Sordella considera il cinema una terapia dell’anima e il suo restauro «una maxi-dose di anti-depressivi omeopatici»: è il primo mecenate del genere in Italia e racconta così il suo gesto d’amore verso Break Up. «Al di là del fatto che ho avuto la fortuna di conoscere Marco Ferreri, in realtà è stato il film a scegliere me, avevo deciso di farmi un regalo, di restituire a nuova vita un titolo che appartenesse agli Anni 60/70, il periodo cinematografico che amo di più». Fra le proposte che gli sono state fatte dal direttore del Museo del Cinema Alberto Barbera ha scelto il film interpretato da Mastroianni: «Perché è la storia di un pensiero ossessivo - conclude, non dimenticando il suo lavoro di psichiatra - dove il ricco produttore di caramelle s’interroga su quanto un palloncino possa essere gonfiato prima di scoppiare. Una spietata analisi sul vuoto della società capitalistica».