giovedì 15 settembre 2016

La Stampa 15.9.16
Il mondo che espelle la pietà
di Antonio Scurati

Viviamo in un mondo osceno. Viviamo nel tempo dell’oscenità trionfante. Ciò che va perduto in questo tempo è la compassione, ciò che viene espulso da questo mondo è la pietà. L’esistenza che quotidianamente conduciamo nella casa di vetro della trasparenza mediatica è un’esistenza spietata.
Violenza e sesso. Sesso e violenza. Entrambi i fondamentali antropologici della nostra «parte maledetta», se sottoposti ad analisi, dimostrano alla nostra triste scienza questa amara verità.
È più facile vederlo riguardo alla violenza. La rivoluzione tecnologica dei media elettronici ci ha messo nella condizione storicamente inaudita di poter assistere immediatamente e continuamente a scene terminali di violenza estrema che annientano vite che non sono la nostra. Da molto tempo, guerre, assassini, catastrofi, cataclismi sono il nostro pasto quotidiano, la nostra abituale dieta mediatica. Ci gonfiamo, così, in una obesità cinica. Ingolfati da questa sugna d’immagini truculente, perdiamo la basilare capacità umanistica di immedesimarci nella sofferenza altrui.
È una drammatizzazione della vita senza tragicità.
Quando nella rappresentazione della morte altrui viene meno l’interdetto che nella tragedia greca proibiva di portare in scena il momento cruento, la catarsi, la purificazione dei nostri sentimenti di pietà e terrore, diventa impossibile. In platea rimangono solo passioni impure: sollievo egoistico, godimento perverso, paura onanistica. Nel paesaggio mediatico contemporaneo il tragico è stato sostituito dall’osceno, da ciò che dovrebbe rimanere «fuori dalla scena» (etimologia fasulla ma rivelatrice). Ben presto, noi umani che abitiamo il mediascape di fine millennio ci siamo trasformati in animali anfibi, capaci di vivere simultaneamente in due ambienti opposti: all’asciutto del nostro mondo pacifico e protetto ma anche immersi nella palude insanguinata dalle vittime di apocalissi lontane. La nostra mente incallita, la nostra pelle squamata si sono presto dimostrate impermeabili a entrambi gli ambienti. La crudeltà, scrisse qualcuno, è mancanza d’immaginazione. Vale non solo per la crudeltà inflitta ma anche per quella consumata attraverso i media: non distogliamo lo sguardo dalla sofferenza altrui, non invochiamo il proverbiale velo pietoso perché non siamo più capaci d’immaginarci di essere lui.
Tutto ciò è vero per la violenza ma è vero anche per il sesso. La piena luce mediatica, la trasparenza totale di una visibilità ubiqua, compulsiva e, alla fine, persecutoria, hanno investito anche la sfera dell’eros, quel luogo dissacrato che fino a ieri pretendeva per sé una essenziale, vitale invisibilità. Quando una giovane donna viene perseguitata fino al suicidio da immagini di un amplesso che ha lasciato incautamente filmare, quando una donna giovanissima viene stuprata grazie alla complicità di testimoni che invece di soccorrerla (reazione umana, tragica) la filmano (reazione disumana, oscena), quando anche il momento di suprema verità esistenziale dell’incontro sessuale tra la nostra nudità e quella dell’altro viene falsificato da un profluvio di immagini che non nutre la nostra vita vissuta ma, al contrario, la divora, ecco che anche l’eros, oltre al thanatos, viene dato impasto alla spietatezza. Il troppo delle immagini ci impedisce di immaginare; di immaginarci nella pelle, nella carne degli altri, di divenire quella vita straniera, a noi prossima. Viviamo, così, soli, giorno dopo giorno, sotto un cielo inclemente, sotto lo spietato open sky delle comunicazioni globali in tempo reale. Non conosciamo pietà. Non la concediamo e non l’aspettiamo.
Con grande disinvoltura le nuove generazioni, cresciute con un’educazione sentimentale a base di pornografia di massa, sovrappongono, e spesso antepongono, al sesso le immagini del sesso. Per i nostri giovani è divenuto quasi abituale filmarsi durante gli amplessi, scambiarsi foto della nudità dei corpi. In questa forma, si tratta di una novità senza precedenti nella storia. Una pratica dirompente, dalle implicazioni sociali e psichiche devastanti, come solo può esserlo un atto compiuto all’incrocio di ben due rivoluzioni, quella digitale e quella sessuale.
Di fronte ad essa, si deve rinnovare la lotta ancestrale che da sempre c’impegna nella zona bruciante di contatto con la nostra parte maledetta: restare umani. Ridiventarlo ogni giorno. A cominciare dalla pietà per le vittime.