giovedì 15 settembre 2016

Corriere 15.9.16
Lucetta Scaraffia
«I bambini non siano oggetti di fabbricazione»
intervista di Elvira Serra

«Perché? Perché? Perché devono arrivare a questo?».
Lucetta Scaraffia, dal 2007 membro del Comitato nazionale di bioetica, non si rassegna all’ipotesi di un futuro in cui basteranno uno spermatozoo e una cellula della pelle per generare un bambino.
Allora ci dica perché no.
«Anzitutto perché non conosciamo gli effetti psicologici, medici o evolutivi sui bambini “fabbricati” così. Banalmente, non sono stati studiati neppure quelli sui figli concepiti in provetta».
Come mai, secondo lei?
«È difficile farlo perché molti genitori che si rivolgono ai centri di procreazione assistita, una volta che la gravidanza va a buon fine, spariscono. E davanti agli altri negano sempre. Eppure secondo alcuni pediatri i bambini nati con la fecondazione assistita si ammalano con più facilità rispetto agli altri».
Di fatto, la ricerca svolta a Bath rappresenta una speranza per le coppie omosessuali, che in teoria potrebbero riuscire a generare un figlio attraverso il patrimonio genetico di entrambi i partner, senza bisogno di altro.
«Intanto ci dimentichiamo che quell’embrione, ammesso e non concesso che si riesca a produrre, avrà bisogno di un utero in affitto. Quindi non si prescinderà da uno sfruttamento del corpo della donna, che viene ridotta a un forno. Ma non è tutto».
Cos’altro?
«La cosa più grave è che stiamo ignorando i diritti del bambino e lo stiamo trattando come un oggetto di fabbricazione. È terribile voler far prevalere su tutto la legge del desiderio».
Gli scienziati dicono che il nuovo tipo di concepimento avvantaggerebbe anche le donne non più giovani o scampate a una malattia, perché la cellula epiteliale si rinnova sempre.
«E perché mai una donna dovrebbe diventare madre a 60 anni? Per essere già vecchia quando il figlio ne avrà venti? E come farà a svegliarsi di notte per accudirlo? Come è giusto che una dodicenne non debba partorire, lo stesso vale per una signora anziana».
Non vede proprio nessuna utilità in questa ricerca britannica?
«Io credo che la ricerca debba fare altro, per esempio studiare come possiamo curare le malattie. Le cose della vita sono queste: la fatica, l’amore, la relazione umana, tutte cose che non si possono ricreare artificialmente in laboratorio».