La Stampa 14.9.16
Referendum, il “sì” Usa diventa un caso
Bufera su Usa e l’agenzia Fitch
L’ambasciatore in Italia: la vittoria del no sarebbe un passo indietro per il Paese
Per la società di valutazione inciderà sul rating. Le opposizioni: assurda ingerenza
di Amedeo La Mattina
L’ambasciatore
in Italia: passo indietro se vince il “no”, insorgono le opposizioni Il
presidente della Bce Draghi: all’Europa servono equità e un progetto
politico
L’ambasciatore americano in Italia si schiera per il sì
al referendum e l’agenzia Fitch prevede uno «choc per l’economia» con la
vittoria del «no». Due interventi che scatenano l’ira delle opposizioni
e della minoranza Pd
L’endorsement dell’ambasciatore
americano a favore del referendum costituzionale diventa un caso
politico-diplomatico. John Phillips ritiene che la vittoria del No
sarebbe «un grosso passo indietro» per l’Italia: serve stabilità per la
crescita economica e per attrarre investimenti. «Sessantatré governi in
63 anni non danno garanzia». Parlando ad un convegno del centro di studi
americani sulla Brexit, l’ambasciatore ha raccontato che «molti Ceo di
grandi imprese Usa guardano con grande interesse al referendum per
capire quale sarà il contesto italiano per il loro investimenti. Per
questo la vittoria del Sì «sarebbe una speranza per l’Italia».
Le
sue parole hanno scatenato l’ira dell’opposizione e non solo. Anche
Bersani è sbottato: «Roba da non crederci, ma per chi ci prendono?». Il
ministro Orlando invece minimizza: «Solo un consiglio da un Paese
amico».
Insomma il caso politico diventa molto spinoso e in mezzo
ci finisce indirettamente pure la gaffe di Luigi Di Maio che paragona
Renzi a Pinochet. Gaffe doppia perché in una prima versione il grillino
scambia il Cile per il Venezuela e poi perché il colpo di Stato militare
venne sostenuto proprio dagli Stati Uniti. Di Maio non si riferiva alle
dichiarazioni di Phillips. Lo ha fatto successivamente, dicendo
all’ambasciatore che questa riforma non aiuterà l’Italia, anzi «per come
è scritta congestionerà lo Stato».
Il contro circuito c’è tutto.
Il vicepresidente della Camera si è attirato gli improperi di tutto il
Pd, sinistra Dem compresa. Il più duro il sottosegretario alla
presidenza del Consiglio Luca Lotti, che ha definito Di Maio «un piccolo
uomo».
E non è solo l’ambasciatore, che ha pure parlato della
«grande stima che Obama nutre per Renzi», a scatenare la bufera.
L’agenzia di rating Fitch ha fatto il resto. Il responsabile rating
sovrani per Europa e Medio Oriente, Edward Parker, nel corso di una
conferenza a Londra ha sostenuto che «se prevalesse il No, lo vedremmo
come uno choc negativo per l’economia e il merito di credito italiano».
Insomma, è la tempesta perfetta. Ce n’è abbastanza per far gridare
all’opposizione che siamo all’ingerenza di uno Stato straniero negli
affari politici italiani. E con Fitch di mezzo il deputato 5 Stelle
Toninelli si sente legittimato a dire che questa è la prova che «poteri
forti sono a favore del referendum».
Matteo Salvini consiglia
bruscamente all’ambasciatore di farsi «gli affari suoi» e di non
interferire, «come troppe volte è già accaduto in passato, nelle vicende
interne italiane». «Se a votare sì al referendum sono i massoni, i
banchieri e i poteri forti - precisa Salvini - allora ancora più
convintamente ci schieriamo per il no». Giorgia Meloni si rivolge
direttamente a Renzi e lo sfida a dimostrare di non essere «fantoccio»:
chieda dunque agli Usa di scusarsi. Dal Dipartimento di Stato americano
nessuna parola.
I capigruppo di Fi Romani e Brunetta, anche loro,
parlano di interferenza, ingerenza. «L’Italia - fa presente Brunetta - è
un Paese occidentale con una democrazia strutturata e matura». «Non
siamo una colonia», sostiene Maurizio Gasparri. Di fatto l’uscita di
Phillips è stata l’occasione per rendere ancora più infuocata una
campagna referendaria che sta portando la sinistra dem sul fronte del
No. Anche Forza Italia, dopo l’incontro tra Berlusconi e i capigruppo
Brunetta e Romani ad Arcore, sta accelerando contro il referendum per
ricompattare il partito.