La Stampa 14.9.16
“Ho salvato i romanzi cancellati da Stalin”
Il paziente lavoro di Shentalinskij per recuperare gli scritti di Bulgakov e altri sepolti alla Lubianka
di Anna Zafesova
Quando
il diavolo chiede al Maestro di leggere il suo romanzo, il protagonista
del capolavoro di Mikhail Bulgakov risponde di averlo bruciato. «Scusi ,
non ci credo, non può essere. I manoscritti non bruciano», replicò
Voland, e il romanzo si materializza dall’aria. Succede che i grandi
scrittori profetizzino quello che poi accade nella vita reale, dice
Vitalij Shentalinskij, che ne ha avuto la prova quando il colonello del
Kgb Anatolij Kraiushkin, responsabile degli archivi della polizia
segreta sovietica, gli chiese se gli interessavano i diari di Bulgakov.
Erano stati sequestrati durante una perquisizione del 1926, restituiti
tre anni dopo e bruciati immediatamente dallo stesso scrittore. Ma
nell’Urss di Stalin nemmeno il fuoco era una protezione sicura: il Kgb
aveva fatto una copia dei diari, conservata negli archivi segreti per 60
anni.
Shentalinskij ha dedicato la sua vita a una missione unica:
cercare i manoscritti che non bruciano e riscrivere la storia. «Metà
degli scrittori sovietici furono perseguitati, la categoria più esposta,
perché in Russia la letteratura è il secondo governo come diceva
Herzen», dice, e nel suo archivio oggi ci sono tre mila nomi di autori
fucilati, arrestati o ridotti al silenzio. Dagli archivi della Lubjanka
sono emersi romanzi e poemi di cui si ignorava l’esistenza, lettere,
diari e manoscritti - come la famosa lettera di Bulgakov a Stalin, alla
quale il dittatore rispose con una telefonata a sorpresa - che hanno
cambiato la storia della letteratura russa. Luciana Vagge Saccorotti
racconta l’odissea dell’autore del Maestro e Margherita e la ricerca di
Shentalinskij per scoprire la verita nel libro Il maestro svelato
(Gammarò, pp. 170 €18), che gli autori presenteranno il 18 settembre a
Pordenonelegge.
Poeta e scrittore, agli albori della perestroika,
Shentalinskij si mise a bussare alle porte degli archivi. «Sapevo che
c’era un intero strato sommerso di letteratura, sapevo che numerosi
scrittori erano stati vittime delle purghe staliniane e che da qualche
parte c’erano tutti i manoscritti che erano periti con loro. Non potevo
più resuscitare i morti, ma uno scrittore vive nei suoi libri, e ho
voluto far resuscitare i manoscritti». Era la fine degli anni Ottanta,
quel periodo unico di libertà e caduta dei divieti in cui ogni giorno si
apriva un nuovo spazio di libertà, «un momento irripetibile, oggi
sarebbe impossibile», ricorda Shentalinskij che all’epoca teneva sulla
rivista Ogoniok una rubrica dal titolo «Conservare per sempre», il
timbro che troneggiava sulla copertina delle cartelle degli archivi
della Lubianka. Ogni rubrica era una scoperta, e si ricorda di aver
ricevuto lettere di lettori infuriati: «Lei scrive che Pavel Florenskij
fu fucilato nel 1937, ma l’enciclopedia sostiene che è morto nel 1943».
Ma anche le enciclopedie erano state falsificate, per occultare
l’incredibile mattanza di intellettuali del 1937.
Gli archivi del
Kgb erano - e rimangono - impenetrabili, e nessun ricercatore
indipendente vi ha mai messo piede. Il colonello Kraiushkin convocava
Shentalinskij alla Lubianka - «lei è il primo scrittore a essere entrato
in questo edificio di propria spontanea volontà», scherzava - e gli
metteva davanti le cartelle che aveva scelto quel giorno. Leggerle era
un incubo: «Alcune pagine erano schizzate di sangue, probabilmente
l’agente che conduceva gli interrogatori non aveva badato a chiudere i
verbali prima di picchiare il detenuto per estorcergli la confessione». I
manoscritti si potevano fotografare, i verbali no, e andavano
trascritti a mano, di corsa, prima che venissero portati via. Aveva
paura? «Cercavo di controllarmi, mi ricordavo sempre che la mia paura
non poteva essere nulla in confronto a quella che avevano provato loro
in quei momenti». La scoperta più incredibile? Il «Romanzo tecnico» di
Andrej Platonov, di cui si ignorava l’esistenza, e il Poema della grande
madre di Nikolaj Kljuev, di cui si conoscevano soltanto pochi brani».
Tutto conservato non per amore della letteratura ma come prove e indizi,
visto che gli scrittori venivano incriminati e fucilati per quello che
scrivevano, o affermavano in pubblico, come dimostrato da decine di
rapporti dei delatori che circondavano Bulgakov: «E’ l’unico modo che
abbiamo oggi di sentire la sua voce, capire che uomo fosse, raccontato
da chi lo spiava». Qualcosa è sopravvissuto per puro caso. Un archivista
del Kgb salvò il romanzo di Platonov per caso: doveva distruggere
l’incartamento, ma l’aveva aperto e le prime righe l’avevano catturato.
Altri manoscritti sono scomparsi nel nulla, come i leggendari sette
plichi con 24 cartelle di Isaak Babel, affidati a un tenente maggiore di
cui si sono perse le tracce. Il continente sommerso della letteratura
massacrata insieme ai suoi autori attende ancora di essere mappato.