La Stampa 12.9.16
La riforma non diventi una roulette
di Luigi La Spina
L’intreccio
tra referendum sulla riforma costituzionale e legge elettorale
costituisce un’altra formidabile occasione per confermare una tendenza
ormai alla moda, quella del «voto a dispetto». Una tentazione alla quale
sembra sempre più difficile resistere, anche perché dilaga in tutto il
mondo, infrangendo quelli che erano una volta gli insuperabili muri fra
la destra e la sinistra e innalzandone altri. Quelli che separano
l’elettorato in una divisione ben più significativa e attuale, quella
tra populisti e governativi, dove i primi sembrano gioiosamente
arrembanti e i secondi difensori tremebondi di palazzi del potere in
disfacimento.
La mancanza di leadership autorevoli e
l’inconsistenza ideologica e politica dei partiti hanno liberato gli
elettori da qualunque fedeltà a un programma, come si diceva una volta, e
persino a un singolo progetto, facilitando così la disponibilità dei
cittadini alle scelte più improvvisate, meno consapevoli delle
conseguenze di un voto, magari in totale contraddizione con le loro
intenzioni.
La mobilità elettorale di questi ultimi tempi,
accompagnata dalla sempre più difficile capacità degli istituti di
sondaggi di azzeccare i risultati di una consultazione, sono chiari
segnali di questa tendenza.
Ecco perché la confusione tra il
giudizio su una riforma costituzionale destinata a un importante
cambiamento delle regole di un sistema che governa l’Italia da circa 70
anni e quello su una legge elettorale che, in 70 anni, è mutata secondo
le più variabili convenienze dei partiti, offre l’opportunità, ma anche
l’alibi, per giustificare qualsiasi motivazione per la scelta che gli
italiani dovranno fare in autunno.
Renzi si è accorto tardi del
rischio, non solo per l’approvazione della sua riforma costituzionale,
ma anche per la sopravvivenza del suo governo e del suo stesso destino
politico, di questa confusione e la sua disponibilità a un mutamento del
cosiddetto Italicum testimonia la volontà di rimediare a un errore
tattico, impensabile per un maestro di tattica quale si ritiene, forse
non a torto.
Il ravvedimento del presidente del Consiglio conviene
certamente a lui, ma, in fondo, conviene anche ai suoi concittadini,
perché saranno aiutati a diradare, almeno un po’, quella nube di
ipocrisie, vantaggi personali o di corrente politica, furbizie e veri e
propri inganni che rendono davvero difficile a un elettore che voglia
dare un voto consapevole decidere se approvare o no la riforma
costituzionale. Le leggi elettorali, tra l’esigenza di assicurare la
governabilità e il dovere di consentire una adeguata rappresentatività
dei voleri del popolo, non sono mai perfette, come tutti i compromessi.
Inquinare un giudizio su un importante cambiamento della nostra carta
costituzionale come, tra gli altri, l’abolizione del cosiddetto
bicameralismo perfetto con considerazioni, più o meno opinabili, su
regole elettorali contingenti autorizzerebbe davvero a trasformare un
voto importante in una roulette dove persino il banco non è favorito.
Le
regole, sia quelle elettorali, sia e soprattutto quelle costituzionali,
sono fondamentali per una democrazia ed è giusta, quindi, la grande
attenzione di politici e dell’opinione pubblica alle loro riforme.
Peccato che non ci sia altrettanta attenzione per quei cambiamenti che
avvengono in silenzio, con quel mancato rispetto dei rapporti tra
istituzioni e cittadini che contraddistingue l’esistenza di una vera
democrazia. Come, ad esempio, avviene in questi giorni sul «caso Roma»,
dove le scelte, buone o cattive che siano, di una sindaca eletta dalla
maggioranza dei votanti vengono subordinate al giudizio di un
fantomatico «direttorio», a composizione variabile e imperscrutabile, e
sottoposte al verdetto finale di un tutt’altro che fantomatico Grillo. I
romani hanno votato Virginia Raggi, magari qualcuno se n’è pentito, ma
non si può considerare accettabile, del tutto rispondente alle regole
della democrazia, quella reale e non quella formale, che il nome scritto
sulla scheda elettorale fosse uno pseudonimo.