ITALIA
Corriere 8.9.16
L’Italia e i sospetti europei
di Maurizio Ferrera
Sulla
scia del drammatico terremoto in Italia centrale, Matteo Renzi ha
riaperto la questione della cosiddetta flessibilità, chiedendo a
Bruxelles un consistente sconto sul deficit pubblico del 2017. Sarebbe
la terza volta dal 2015. A questo punto è chiaro che non si tratta solo
di iniziative giustificate da eventi imprevisti, quanto piuttosto del
tentativo di rinegoziare quel «vincolo esterno» sul bilancio pubblico
che negli anni è diventato sempre più stretto. E che compromette i
margini di manovra considerati essenziali per il governo dell’economia.
Dal
punto di vista interno, l’obiettivo appare comprensibile e legittimo.
Lo stesso si può dire, però, dei dubbi e delle resistenze dei nostri
partner, a cominciare dalla Germania. Osservato dall’esterno, il sistema
Italia continua infatti a produrre segnali contrastanti. Al dinamismo
di alcuni settori produttivi si contrappone un preoccupante ristagno
dell’economia nel suo complesso, recentemente confermato dall’Istat. I
turisti che viaggiano per il nostro Paese colgono gli indizi di una
società prospera. E le statistiche confermano che la ricchezza privata
degli italiani è fra le più elevate d’Europa. Eppure abbiamo un debito
pubblico enorme e tuttora in crescita, livelli di povertà (soprattutto
minorile) da Terzo Mondo, servizi pubblici scadenti. Persino dal
terremoto, con il suo terribile fardello di vittime e distruzione, sono
emersi messaggi ambigui.
D a un lato, una grande mobilitazione di
solidarietà spontanea, testimonianza di un robusto capitale sociale.
Dall’altro, la persistente diffusione di indegni fenomeni di
inefficienza, corruzione e frodi nell’uso delle risorse pubbliche, in
occasione del precedente terremoto.
Verso l’Europa Matteo Renzi ha
adottato un discorso nuovo, tutto incentrato sulla rottura con il
passato e sulle riforme. Il 31 agosto il presidente del Consiglio ha
riassunto in trenta slide altrettanti successi del proprio governo:
dall’occupazione alle tasse, dagli interessi sul debito alla giustizia.
Un esercizio utile, per carità. Ma chi ci osserva dall’esterno, per
quanta simpatia possa avere per il nostro premier, sa bene che si
potrebbero compilare altrettante slide sui vizi persistenti del sistema
Italia, nonché sulle questioni che sono rimaste ai margini dell’agenda
governativa: lavoro femminile (siamo ancora il fanalino Ue), ricerca e
sviluppo, economia sommersa e illegale e soprattutto il drammatico e
crescente divario del Mezzogiorno dal resto del Paese.
È in questa
cornice che vanno inquadrate le perplessità europee a concedere quel
credito (anche finanziario) che il governo rivendica. Il paradigma
dell’austerità, caro a molti commissari Ue e ministri dell’Eurogruppo,
spiega una parte non secondaria di queste perplessità. Ma il resto è
colpa nostra. Della «politica», in primo luogo. In buona parte, però,
anche di quei corpi intermedi (sindacati, associazioni imprenditoriali,
corporazioni varie) che oggi chiedono a gran voce più coinvolgimento nei
processi deci-sionali.
Non possiamo stupirci se a Bruxelles il
tentativo di rinegoziare il vincolo esterno possa sembrare una tattica
opportunista, volta a comprare tempo e risorse che poi verranno
utilizzate in modi non virtuosi. La credibilità internazionale è un bene
difficile da conquistare. Renzi non ha torto quando dice che le riforme
richiedono tempi lunghi per dispiegare i propri effetti. Siamo tuttavia
sicuri che l’agenda del governo sia sufficientemente ambiziosa, basata
su una diagnosi articolata e coerente di tutte le ombre? Ammesso (ma,
francamente, non concesso) che lo sia, quali sono esattamente gli
strumenti con cui realizzarla con tempi non biblici? Dov’è quella
«squadra» di esperti, lungamente promessa, che dovrebbe progettare,
monitorare, valutare le politiche pubbliche? E infine: in che misura i
famosi corpi intermedi concordano sulla diagnosi di base e sulle linee
strategiche per il cambiamento?
Senza risposte chiare a questi
interrogativi, è difficile dissipare i sospetti. E invece di essere (se
usata bene) una soluzione per far ripartire la crescita, la riduzione
del vincolo esterno rischia di alimentare molti dei vecchi vizi,
relegandoci in una lunga eclisse di ristagno economico e sociale.