Il Sole Domenica 25.9.16
La questione dei neri
Usa schiavi del pregiudizio
Eddie Glaude mostra come Obama abbia rappresentato l’ennesima illusione di chi sperava nella fine della discriminazione
di Ermanno Bencivenga
Il
25 luglio 1946 la macchina di Loy Harrison, agricoltore della Georgia,
fu fermata da una banda di scalmanati. A bordo c’erano con lui due
giovani coppie di sposi neri, George e Mae Dorsey e Roger e Dorothy
Malcolm. George era un veterano della guerra nel Pacifico; Mae era
incinta di sette mesi. Roger era stato accusato di aver accoltellato un
bianco e, in attesa del giudizio, Loy aveva pagato i 600 dollari della
cauzione. Ma i bianchi che bloccarono la macchina non avevano intenzione
di attendere. I quattro neri furono legati a un albero e su di loro fu
fatto fuoco, almeno sessanta colpi. Dopo la morte di Mae, il feto le fu
strappato dal corpo con un coltello. Nessuno fu condannato per il
massacro. Il caso fu riaperto nel 2001, ma a tutt’oggi senza esiti
concreti.
È solo uno delle migliaia di episodi che hanno segnato
del marchio di Caino secoli di razzismo in terra americana, ma a suo
modo è particolarmente significativo. Avviene all’indomani di un lungo
conflitto in cui bianchi e neri hanno combattuto insieme contro
tirannia, discriminazione e genocidio, affermando un ideale di libertà,
uguaglianza e democrazia, e dimostra che quell’ideale viene
quotidianamente tradito da una realtà di violenze gratuite, di forze
dell’ordine che ne sono complici e di una giustizia che non sa o non
vuole perseguirle. Vent’anni dopo, la breve stagione di gloria dei
diritti civili avrebbe illuso molti che dall’inferno si fosse usciti; ma
a distanza di tempo si può capire che il risultato più tangibile di
quelle lotte e quei successi è stato consegnare il Sud al partito
repubblicano, che dal 1968 al 2008, pur essendo ufficialmente di
minoranza, ha avuto un suo presidente per ventotto anni e, soprattutto,
ha condizionato il linguaggio politico degli Stati Uniti. Non c’è da
stupirsi allora che proprio durante la pallida presidenza centrista del
democratico Clinton si sia dato il via allo smantellamento di quel poco
di stato sociale che era stato costruito e allo sviluppo di un universo
carcerario che oggi conta quasi due milioni e mezzo di ospiti, fra cui
un milione di neri.
Nel 2008 è stato eletto Obama, e ancora una
volta si è creduto di aver tagliato i ponti con il passato. Eddie
Glaude, direttore del Centro di Studi Afroamericani a Princeton e
presidente dell’American Academy of Religion, ha scritto Democracy in
Black per spiegare che anche questa è stata un’illusione. L’elezione di
Obama, sostiene, ha rappresentato il culmine di una politica razziale
priva di rispetto per la storia, i sentimenti e le prospettive dei neri;
e la sua presidenza ha confermato tali premesse.
Dai tempi di
Martin Luther King (oppure, secondo Glaude, di una rilettura edulcorata
dell’opera di King), i leader afroamericani hanno insistito su una
visione conciliante dei rapporti razziali. La distinzione fra bianchi e
neri va trascesa, anzi è già stata trascesa; ed è un peccato che si
verifichino incidenti che vanno in direzione opposta, di cui sono
evidentemente responsabili individui isolati e retrogradi; stringiamoci
dunque d’amore e d’accordo intorno agli ideali della nazione, tendiamo
la mano ai bianchi perché anche loro soffrono. Nel frattempo, la
disoccupazione fra i neri continua a essere doppia che fra i bianchi, un
maschio nero ha una probabilità su tre di andare in prigione (quindi di
essere ostracizzato, se esce, per il resto della sua vita) e, chissà
come, tanti giovani di colore, dopo aver avuto contatti con la polizia,
finiscono all’obitorio, e chi ce li ha mandati viene regolarmente
assolto. Quando succede, Obama fa un discorso in cui ricorda a tutti
ideali e valori, dopo il quale nulla cambia. Gli altri leader (Jackson,
Sharpton…) fanno discorsi analoghi (li fanno da molto più tempo di
Obama) e approfittano delle circostanze per rinnovare la propria
notorietà.
Questo è il presente. Ma c’è anche quel passato che
ripetutamente si è pensato di aver lasciato alle spalle. È davvero
possibile lasciarlo alle spalle? È possibile dimenticarlo, girare
pagina? È possibile che i neri guardino serenamente negli occhi i
bianchi, come se nulla fosse, sapendo del massacro in Georgia e di mille
episodi simili?
Glaude crede di no. Crede che occorra una
politica nuova. Non ha un quadro completo e coerente di quel che debba
essere. Suggerisce di votare scheda bianca per protestare contro le
scelte imposte dal sistema. Trae ispirazione dai movimenti spontanei
sorti a seguito degli ennesimi omicidi di neri da parte della polizia,
pur riconoscendo che movimenti del genere tendono a esaurirsi quando
viene meno l’emozione che li provoca. Invoca un forte intervento statale
a favore dell’educazione, del diritto al lavoro e dell’equità di
trattamento dei neri. Sono indicazioni un po’ confuse e talvolta
contraddittorie: c’è ovvia tensione fra uno Stato forte e lo
spontaneismo della piazza. Ma una cosa emerge con chiarezza: a suo
parere, non si può andare avanti così e la presidenza Obama non ha fatto
nulla per migliorare la situazione.
Eddie S. Glaude Jr., Democracy in Black: How Race Still Enslaves the American Soul , Crown Publishers, New York, pagg. 274, $26