domenica 25 settembre 2016

Il Sole Domenica 25.9.16
Timothy Garton Ash
Una selva di parole vuote
di Nicola Gardini

Cosmopolis, repubblica mondiale in cui tutti parlano con tutti, è l’opposto delle dittature: è il luogo elettronico dove tutti siamo uguali e la verità è salva. Ma è proprio così?
Non è strano che Timothy Garton Ash sia divenuto un critico di internet e che ci abbia scritto sopra un grosso volume, Free Speech. Ten Principles for a Connected World. Internet significa, infatti, libera circolazione di parole, se non proprio “libertà di parola” (come si sarebbe tentati di tradurre il titolo); significa, insomma, democrazia dell’espressione, sulle cui possibilità e impossibilità Garton Ash ha cominciato a svolgere brillanti ricerche fin dagli anni berlinesi, quindi attraverso lo studio dei vari altri regimi sovietici. Il suo memoir The File (uscito nel 1998) documenta con affascinante chiarezza le conseguenze della repressione: coloro ai quali si impedisce o proibisce di parlare non solo finiscono per non dire certe cose, ma dicono, quando dicono, cose vere solo a metà, dunque, non vere: dunque, false. Chi non è libero di parlare mente sempre. Basta che la legge consenta di tappare la bocca a uno perché il sistema della verità vada in pezzi, perché la vita non sia vita, ma una finzione, una simulazione costante di altro, file e non life… Dopo che la Stasi ebbe reso pubblici i suoi archivi, Garton Ash andò a vedere se il suo nome ci fosse mai finito e scoprì che, sì, ci era finito, e il dossier, il file appunto, che lo riguardava raccontava una storia molto diversa da quella che la sua memoria aveva conservato. Tutti lo tradivano, tutti dicevano a lui certe cose, e alla polizia ne riferivano altre.
In Free Speech Garton Ash descrive Cosmopolis, una repubblica mondiale in cui tutti parlano con tutti e possono parlare di tutto, l’opposto delle tetre dittature di impronta staliniana. Sembra un’utopia, e in parte, effettivamente, lo è: perché Cosmopolis è “virtuale”, sta non nella geografia degli atlanti, ma nell’etere dell’elettronica. Per quanto incorporea, Cosmopolis può contenere l’infinito, e proprio perché incorporea, non ammette divisioni, non chiede passaporti. In Cosmopolis siamo tutti uguali e la verità è salva.
Ma sarà poi così vero?
Garton Ash, che di internet è senza dubbio un sostenitore, di internet vede anche le manipolazioni, e le denuncia con gran dispiego di dati quantitativi, di grafici e di aneddoti documentari. Gli stati controllano l’accesso e arrivano anche contrastarlo o vietarlo, come succede in Cina o sotto certi governi totalitari. Non solo. Internet offre agli sciacalli del commercio comodi mezzi di persuasione occulta, di intromissione e perfino di infiltrazione criminale. Internet è un mer cato non solo del libero pensiero e della libera espressione, ma di corpi, di armi, di azioni illegali, di linciaggi, di ingiurie, di attacchi alla privatezza e alla decenza, e all’innocenza dei bambini, come tutti sanno e, in gradi diversi, magari hanno sperimentato di persona. Chi, avendo acquistato o solo cercato di acquistare un certo prodotto online, non è poi stato investito per mesi da pubblicità dello stesso prodotto – viaggio, maglieria intima, libro o Dvd che fosse? Non sarà, alla fine, che la libertà di cui internet sembra la garanzia si riduca a una forma di controllo non troppo diversa da quella delle polizie segrete di una volta e di oggi? Chi ci guarda quando noi crediamo di guardare in perfetta solitudine il testo di una notizia, il post di un amico o una mail?
Se è per la libertà di parola, certi rischi forse vale anche la pena di correrli. A ognuno difendersi col suo buon senso. Ma che cos’è la libertà di parola? Che cos’è la libertà? Che cos’è la parola? Si fatica a definirli, questi vitali concetti, in rapporto alle funzioni ambigue che internet occupa nelle nostre giornate. Né, per quanto informato e poliedrico, il libro di Garton Ash tali domande se le pone con la dovuta serietà critica. Certo, evviva Cosmopolis, evviva l’abbattimento dei muri (intanto, però, sulla terra, nella geografia reale se ne continuano a erigere…). È giusto che tutti possano dire tutto? Ovviamente, no. Proclami nazisti, elogi della pedofilia, tirate misogine, tutto questo non dovrebbe comparire affatto, e quando compare, non a caso, se ne ottiene la rimozione. Ma che dire di infrazioni meno scopertamente antisociali, come vedersi attaccare in qualche post da uno sconosciuto che non ci ha capiti e forse neanche ci conosce? Come proteggere la fragilità, la vulnerabilità, la dignità delle persone dalla calunnia o anche solo dalla pubblicità? Come sottrarsi al ricatto di un dire che parola non è perché non nasce dal pensiero ma dal pregiudizio, e si pretende libero quando è solo insulto, emotività bruta, veleno? Tutto questo dovrebbe avere qualche risposta in un libro intitolato Free Speech.
L’aspetto più interessante del discorso, alla fine, sta nella difesa di un certo pensiero liberale, che a Oxford, dove Garton Ash insegna, ha uno dei suoi santi patroni, l’erasmiano Isaiah Berlin. Le riflessioni sui doni di internet eccole allora immettersi nell’alveo di una consapevolezza non puramente giornalistica sui compiti degli individui e sul senso stesso della collaborazione universale.
Timothy Garton Ash, Free Speech. Ten Principles for a Connected World , Atlantic Books, Londra, pagg. 504, £ 20