Il Sole Domenica 18.9.16
Islam non radicale ma distorto
di Roberto Casati
I
media presentano i fatti di terrorismo legati all’ISIS attribuendoli
all’“Islam radicale”. I governi europei, quello francese in primis,
hanno intrapreso campagne di “de-radicalizzazione”, per contrastare, per
l’appunto, una pretesa “radicalizzazione”. Esistono delle scale di
“radicalità” che le forze di polizia usano per misurare la pericolosità
dei sospetti e dei sorvegliati speciali. Il discorso sembra identificare
radicalità con estremismo politico e con comportamenti violenti e
aberranti. Ma ci sono delle buone ragioni per evitare questo modo di
esprimersi. Il presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, ha più volte
ribadito che si rifiuta di usare il termine “Islam radicale” in
relazione a fatti di terrorismo; ha risposto in modo assai articolato a
chi gli rimprovera di non usarlo, e invitato i suoi detrattori ad
astenersi al loro volta da quello che egli considera come un vero e
proprio gettare benzina sul fuoco che favorirà gli interessi dell’ISIS.
Molte forze progressiste in Europa si sono pronunciate conto l’amalgama
tra Islam e terrorismo. Mi sembra che gli argomenti invocati siano
sostanzialmente corretti: il fantasma dell’ISIS è di creare una specie
di chiamata alle armi di tutti i mussulmani contro un altrettanto
fantomatico Occidente, e non può che venir aiutato dall’identificazione
della religione islamica con le manifestazioni estreme violente di una
piccola minoranza; un processo che sarà sempre e comunque marginale,
limitato al reclutamento di alcune teste calde che se pur potranno fare
danni spettacolari e infliggere dolore estremo a ripetizione, non
cambieranno sostanzialmente gli assetti sociali e politici.
La
correttezza di queste analisi non ci dispensa dal riflettere alle parole
che usiamo. “Radicale” ci porta alle radici, e parlare di “Islam
radicale” significa sostanzialmente far passare il messaggio che le
posizioni dei simpatizzanti dell’ISIS assurgano a una forma di purezza,
di ritorno alle origini, di ritrovamento di un ipotetico vero Islam. Non
sorprende che il termine “radicale” possa piacere sia ai simpatizzanti
dell’ISIS sia agli islamofobi; sempre pronti, questi ultimi, a cercare
conferme dei loro pregiudizi; attratti dall’amalgama ulteriore tra
“arabo” e “mussulmano”, è musica per le loro orecchie la lista dei
cognomi degli attentatori degli ultimi mesi in Europa. E anche alcuni
commentatori non certo in odore di anti-progressismo pensano che il
termine “Islam moderato” sia un vero e proprio ossimoro. La stampa
(occidentale!) ci mette del suo quando chiama gli attentatori
addirittura “martiri” e le loro vittime “crociati” o “infedeli”, senza
nessuna presa di distanza.
Qualcuno penserà che sia tardi per
frenare la diffusione dell’aggettivo “radicale”, ma vale sempre la pena
di fare un tentativo. Ecco alcune proposte avanzate in varie sedi. Obama
parla di “twisted Islam”; di contorsione, di distorsione quindi. Non ci
sarebbero un Islam moderato e un Islam radicale; c’è invece da un lato
l’Islam (con le sue molte facce, certo) e contrapposto ad esso un
pensiero distorto. Alcuni media francesi parlano di “fanatizzazione” e
non di radicalizzazione. Altra possibilità: quello dell’ISIS è un Islam
confuso, e certo le azioni dei terroristi in Francia negli ultimi mesi
fanno pensare a notevoli forme di confusione, si badi: non soltanto
umana o psicologica quanto intellettuale o politica. Si può anche più
semplicemente dichiarare che quello dell’ISIS non è nemmeno Islam (come
ha fatto il Fiqh Council of North America), o addirittura anti-Islam
(come ha fatto la East London Mosque, una delle principali moschee
britanniche). Quale che sia l’opzione scelta, resta che i termini “Islam
radicale” e “radicalizzazione” sono veramente infelici e meriterebbero
uno sforzo che li bandisse dal discorso pubblico.