Il Sole Domenica 18.9.16
Christopher Bollas
Terrore schizofrenico
Il
bilancio di cinquant’anni di attività: il suo approccio implica molti
anni di cura che esordiscono con un confronto diretto con i ragionamenti
terrorizzanti dei pazienti
di Vittorio Lingiardi
Christopher
Bollas è una delle voci più carismatiche della psicoanalisi
contemporanea. Con questo aggettivo voglio rendergli merito, ma al tempo
stesso segnalare che quando la psicoanalisi diventa troppo carismatica
mi preoccupo. I libri di Bollas sono quasi tutti tradotti: i primi da
Borla (tra questi, L’ombra dell’oggetto, Forze del destino, Essere un
carattere), i più recenti da Cortina (Cracking up, Il mistero delle
cose, Hysteria). I suoi concetti - tra cui «idioma», «conosciuto non
pensato», «oggetto trasformativo» - hanno fortemente influenzato la
sensibilità clinica contemporanea. Col tempo, la vena letteraria della
sua produzione saggistica si è sviluppata fino a raggiungere uno stile
in cui estetica della narrazione e indagine psicopatologica sono
divenute inseparabili. Non stupisce che abbia voluto cimentarsi anche
con l’arte del romanzo (tre romanzi tradotti da Antigone Edizioni).
In
questa nuova opera dedicata all’«enigma della schizofrenia», Bollas
ripercorre e celebra i suoi 50 anni di attività con pazienti
schizofrenici. Nella prima parte del libro prevale il racconto delle
esperienze cliniche giovanili tra Stati Uniti e Gran Bretagna; la
seconda parte, più vicina alla teoria clinica, propone una lettura
psicoanalitica di fenomenologie psicotiche, per le quali conia
espressioni come “feticcio schizofrenico”, “disabitazione psichica”,
“empatia psicotica”; nella terza parte, infine, racconta le peculiarità
del suo stile di analista di pazienti schizofrenici. Vignette cliniche
più o meno articolate accompagnano le tre sezioni. In equilibrio tra
casistica e autobiografia, Se il sole esplode può ricordare certi lavori
di Oliver Sacks.
A modo suo è un libro coraggioso e
controcorrente se pensiamo che, per molti professionisti della salute
mentale, parlare di terapia psicoanalitica per schizofrenici è un
ossimoro. Ancor più se pensiamo che quella di Bollas è una psicoanalisi a
cinque sedute settimanali, skype e telefono inclusi, che può durare
anni. Nel libro si parla poco di outcome e follow up di questi
trattamenti lunghi e, immagino, costosi, la cui efficacia è testimoniata
solo dal racconto di chi li esercita. Siamo all’opposto dell’approccio
evidence-based, anch’esso peraltro non sempre adeguato per indagare
l’efficacia dei trattamenti analitici. Per Bollas, comunque, un successo
analitico si ha quando «la persona ha potuto prendere le distanze da
allucinazioni e difese psicotiche», «è in grado di entrare in relazione
con gli altri, funzionando secondo modalità non psicotiche e non
soffrendo più il dolore mentale di essere schizofrenica».
All’ipersoggettività di questo approccio, vanno affiancati due
ingredienti di tutto rispetto: la passione e l’esperienza.
Dapprima
tirocinante della University of California, poi terapeuta alla
Tavistock Clinic di Londra, quindi supervisore in varie sedi cliniche
internazionali, Bollas ha sviluppato intuizioni rilevanti sui
comportamenti degli individui schizofrenici. Come lettore «addetto ai
lavori» devo però aggiungere che, del suo approccio, un aspetto che mi
lascia perplesso è una certa vaghezza diagnostica, che lascia confini
imprecisi tra ciò che definirei vulnerabilità alla psicosi, scompenso
acuto in paziente non psicotico, funzionamento psicotico, schizofrenia
(o meglio schizofrenie).
Anche se il volume si conclude con una
bibliografia ragionata, Bollas chiarisce che il suo libro non è un
manuale, né uno studio sulle cause della schizofrenia («non ho una
risposta in merito»), né un saggio scientifico sui risultati della
terapia analitica con gli schizofrenici. Emerge però una particolare
lettura evolutiva, che provo a sintetizzare: «essere un bambino
significa sopportare per un tempo prolungato una condizione in cui la
mente umana è più complicata di quanto il Sé possa normalmente
sopportare». Non dipende solo dalle circostanze o dalla patologia dei
nostri genitori o di altre persone, ma anche dalle nostre menti, capaci,
«di per se stesse», di produrre contenuti in grado di sopraffarci.
Paradossalmente, «per poter essere felicemente normali dobbiamo
piuttosto cercare di istupidirci». Quando cedono le difese contro la
complessità della mente, dice Bollas, «ci si può sentire sopraffatti da
emozioni insopportabili. Il Sé soccombe. Nella posizione schizofrenica,
l’integrazione del Sé nel confortante contenimento del quotidiano
risulta violata, e la coscienza deve confrontarsi sia con la complessità
dei processi di pensiero, sia con il materiale grezzo della funzione
inconscia». Il sole esplode.
Contrario all’approccio medico alla
condizione schizofrenica, Bollas propone il metodo della talking cure
intensiva. Basare la terapia sui farmaci comporta il destino più triste,
un’«incarcerazione psicotropa», non lontana da quella istituzionale dei
vecchi manicomi. Perseguire come obiettivo unico quello della riduzione
dei sintomi significa eliminare anche la dimensione umana della
persona, che nella maggior parte dei casi è tutt’uno con i sintomi.
«Sebbene la medicazione farmacologica possa dimostrarsi preziosa nel
corso della psicoterapia – scrive –, niente è più utile, per uno
schizofrenico, di un singolo impegno uno-a-uno da parte di un altro
essere umano che si sia dato il tempo necessario e abbia sostenuto il
training indispensabile per sapere come leggere questi pazienti, come
stare con loro, come parlare con loro, come comprenderli».
Secondo
Bollas, i comportamenti psicotici non sono privi di coerenza, ma sono
il prodotto di un ragionamento terrorizzante, che risponde a regole di
una logica precisa e spaventosa. Il terapeuta, empatizzando prima con il
terrore prodotto da questi pensieri, e confutando poi le convinzioni
deliranti (per esempio, «gli aerei quando atterrano si restringono», «le
mie gambe in acqua si distorcono»), riesce a far diminuire l’angoscia
e, nel migliore dei casi, a liberare i pazienti dal giogo delle loro
macchine influenzanti, come le definì cent’anni fa lo psicoanalista
geniale e suicida, Victor Tausk. In questo processo, secondo la visione
ottimistica di Bollas, il terapeuta avvia una ristrutturazione della
mente psicotica scissa, dando al Sé dissolto e frammentato la
possibilità di riorganizzarsi. La paura di annichilimento si trasforma
in fiducia intersoggettiva, in un graduale movimento in cui il paziente,
dall’iniziale chiusura autistica o ostile, si muove verso l’umanità del
terapeuta e inizia a provare curiosità nei suoi confronti. «Possono
essere necessari mesi o persino anni […]. Ma se lo psicologo riesce a
prendere in carico il paziente poco dopo lo scompenso, c’è una buona
probabilità che la curiosità si sviluppi, e quando questo accade, è un
importante passo avanti nella loro relazione umana».
La tempistica
degli interventi è fondamentale: i risultati migliori si ottengono
quando le terapie iniziano poco dopo il breakdown psicotico, cioè quando
il paziente si trova nel periodo di massima vulnerabilità, ma è ancora
immune da psichiatrizzazioni iatrogene. Quando il paziente è in questa
fase, ciò che determina il vero sprofondare nella schizofrenia è non
trovare un clinico capace di ascoltare. Capace di acciuffare il paziente
prima che cada, per citare il titolo di un precedente libro di Bollas
(Catch them before they fall, Routledge, 2013) ancora non tradotto in
italiano.
«Alle persone sprofondate nella schizofrenia deve essere
offerto molto tempo per parlare, per pronunciare la parola ’io’, per
avvertire il ripristino del nucleo narrativo. Quando il paziente parla
all’analista, il clinico collega stati emotivi a eventi reali e il
paziente ha la possibilità di sentirsi ricontestualizzato, restituito al
proprio Sé storico, potendo così evitare di inventare una nuova persona
e un nuovo mito». Se il sole esplode, dice Bollas, il mondo non
finisce. Noi lo leggiamo con rispetto e anche fascino, tuttavia
consapevoli che, oggi il paziente schizofrenico può essere incontrato (e
diagnosticato) in uno spazio terapeutico che non coincide, e non deve
coincidere, né con l’uso coatto degli psicofarmaci né con una
psicoanalisi troppo innamorata di se stessa e della sua onnipotenza
salvifica.
Christopher Bollas, Se il sole esplode. L’enigma della
schizofrenia, Traduzione di Paola Merlin Beretter, Raffaello Cortina,
Milano, pagg. 184, € 21