Il Sole Domenica 11.9.16
Dibattiti teologici
La «Pace» di Cartagine
Nel
411 l’imperatore Onorio convocò nella città africana molti vescovi (tra
cui Agostino) per la pacificazione tra cattolici e donatisti
di Gianfranco Ravasi
«Un
libro, come un bambino, ha bisogno di tempo per nascere. I libri
scritti in fretta ispirano diffidenza nei confronti dell’autore». Questo
– che è uno dei Pensieri e fantasie di Heinrich Heine – potrebbe essere
assunto a motto per il testo che stiamo per presentare. Anzi, un’opera
che possiamo solo evocare, tanto essa è imponente e frutto di una
gestazione estremamente lunga. Per comporre il suo saggio questo
studioso, Alessandro Rossi, ha certamente trascorso su carte, documenti,
bibliografie anni di investigazione e, pur sperando che questo non
accada, alla sua opera finale si potrebbe applicare il motto dello
storico inglese secentesco Thomas Fuller secondo cui «la cultura ha
guadagnato soprattutto da quei libri con cui gli editori hanno perso».
Con la nostra segnalazione – che, lo ripetiamo, è ben altro che una
recensione – vorremmo non solo aiutare un po’ la coraggiosa casa
editrice, ma anche mostrare una volta tanto il modello esemplare della
più raffinata ricerca storico-critica, sperando per questa via di
allertare l’interesse di qualche studioso e soprattutto di incuriosire i
cultori o gli appassionati di secoli in cui il dibattito teologico era
anche un sofisticato confronto culturale e persino politico.
Sì,
perché siamo di fronte a un’accuratissima raccolta di verbali di una
conferenza (in latino collatio), cioè di una disputa dai risvolti
istituzionali sia ecclesiastici sia politici: infatti, a promuoverla,
anzi, a imporla era stato nientemeno che l’imperatore d’Occidente
Onorio, figlio di Teodosio, noto per aver spostato la capitale a
Ravenna, e a presiederla era stato delegato un giudice imperiale,
Marcellino. Siamo – come scrive Rossi – «in una Cartagine dal clima
arroventato non solo dall’estate subtropicale ma anche dalla presenza di
pressoché tutto l’episcopato africano», travagliato da un ormai
secolare scisma, causato agli inizi del IV secolo dalla dissidenza di un
vescovo di Cartagine, Donato. Ora siamo al 1° luglio del 411 e la
conferenza si distenderà in modo serrato per tre giornate, il cui
dibattimento – che vedrà come mattatore s. Agostino, vescovo di Ippona –
ci è appunto conservato in un fedele resoconto a noi pervenuto in un
unico codice, il Parisinus 1546 del IX secolo.
Il “donatismo” era
fiorito su un terreno insanguinato, quello delle persecuzioni di
Domiziano e Massimiano, e si era attestato su posizioni rigoriste
soprattutto nei confronti dei lapsi, cioè dei cristiani che avevano
abiurato sotto il peso della repressione pagana, e dei traditores, i
vescovi e i fedeli deboli, pronti a consegnare le Scritture ai
persecutori perché le votassero alle fiamme. Da questo evento specifico
si era configurato, però, un sistema dottrinale dotato di una sua
identità ideologica, liturgica, pastorale e comunitaria in fiera
polemica con la Chiesa cattolica altrove diffusa. Alla base c’era,
dunque, una diversa concezione ecclesiologica di stampo più rigido e
apologetico, accompagnata dal corollario della negazione della validità
dei sacramenti “cattolici” e da un’antitetica visione delle relazioni
col mondo, la società, le istituzioni.
Quello di Cartagine non è
stato un concilio né un sinodo, bensì un confronto dottrinale e
pastorale destinato a mettere un punto fermo a uno scisma che divideva
le comunità cristiane africane e soprattutto infastidiva il potere
politico imperiale. Alla convocazione aderirono quasi seicento vescovi,
anche se i rappresentanti con diritto di parola erano soltanto
quattordici. Rossi dedica ampio spazio nella sua introduzione
innanzitutto alla «lenta officina della conferenza», tra l’altro aperta
da snervanti operazioni di controllo dell’identità dei vescovi
convenuti, sia donatisti, sia cattolici. Si ricompone, così, il quadro
contestuale storico, si identificano i modelli precedenti per affrontare
le crisi ecclesiali (si pensi ad Ambrogio e agli ariani), si
ricostruiscono i documenti preparatori, si delineano le procedure e le
strategie dibattimentali predisposte e così via.
Alla fine, ecco
l’analisi delle vicende della conferenza, scandite dai verbali delle tre
giornate di dibattito. Lo studioso ricorre spesso a immagini colorite
per definire il procedimento e la relativa gestione da parte di
Marcellino, il delegato imperiale: “di tacco e di punta”, cioè con
accelerazioni e frenate, con “orecchie da mercante”, ossia con l’uso del
fraintendimento pilotato, “il gioco di squadra”, le “trappole”
approntate nell’ordine del giorno, il controllo dell’opinione pubblica.
Alla fine, ecco la sentenza elaborata in una notte da Marcellino,
suscitando le perplessità dei donatisti e la festosa ironia di s.
Agostino: «La causa è stata terminata di notte, ma per mettere fine alla
notte dell’errore; di notte è stata pronunciata la sentenza, ma essa è
rifulgente del brillare della verità». Lo stesso Padre della Chiesa
comporrà un Compendio di questa conferenza che Rossi offre in appendice
agli atti ufficiali. Con questo strumento Agostino aiutava sia i suoi
colleghi vescovi a controbattere ai donatisti, sia i fedeli ad essere
consapevoli della vittoria ottenuta da parte della Chiesa universale,
convinto com’era della debolezza teologica e persino della malizia dei
contraddittori.
Il vescovo di Ippona stenderà anche un trattato
specifico Contro i donatisti, dando il via a una potente operazione
mediatica che alla fine raccolse i suoi frutti. In realtà, ai vescovi
donatisti presenti all’assise nelle terme cartaginesi di Gargilio – ove
si svolse l’assemblea – «va riconosciuta una notevole abilità nel
lasciar testimonianza della propria comprensione degli avvenimenti
minando l’efficacia del progetto cattolico, disseminando gli Atti di
tutti quegli elementi che avrebbero permesso, in un futuro che essi
speravano non lontano, di rimettere in discussione l’esito della
conferenza», pensando così di frustrare il progetto dell’episcopato
cattolico. La lettura dei verbali risulta, perciò, interessante perché
permette quasi di entrare in presa diretta all’interno di quella grande
aula e di ascoltare – nel latino originario e nella versione italiana di
Rossi – le voci, le argomentazioni, le contese e persino le stoccate,
ora a colpi di fioretto ma altre volte con un affondo da spadone. Basti
solo questo esempio dell’implacabile Agostino, dopo un intervento
prolisso del vescovo donatista Emerito: «Che risposta breve! Quanto si
parla, quando non si sa che cosa si possa dire!».
Delle oltre 1100
pagine di quest’opera la mappa è ovviamente ben più ricca e complessa
rispetto al nostro modesto e schematico diagramma. Chi vorrà accostare
l’integrale troverà, in verità, uno straordinario orizzonte di fermenti
ideali, di polemiche sanguigne, di questioni delicate e sempre aperte
come il rapporto tra fede e politica, ma anche la descrizione
documentata delle ragioni della tradizione puritana e di quelle
dell’apertura innovatrice, del rigore e del realismo, dell’identità
locale e dell’orizzonte universale globale e omogeneo. Bisogna, però,
riconoscere che l’irruzione dei Vandali e il declino dello stesso
cristianesimo nell’Africa settentrionale stenderanno una sorta di
sudario sia sulla Chiesa donatista sia su quella cattolica, aprendo lo
spazio al successivo garrire dei vessilli dell’islam.
La Conferenza di Cartagine 411 , a cura
di Alessandro Rossi, collana «Letture cristiane del primo millennio» n. 54, Paoline, Milano, pagg. 1155, € 70