Il Sole 29.9.16
Lo yuan nel Gotha delle valute
di Rita Fatiguso
Dal 1° ottobre nel paniere che l’Fmi utilizza per il calcolo dei diritti speciali di prelievo
ci
siamo. Dal 1° ottobre lo yuan cinese entra nel paniere delle valute
utilizzate dal Fondo monetario internazionale per il calcolo dei diritti
speciali di prelievo (in inglese: Special drawing rights, Sdr) insieme a
dollaro, euro, yen e sterlina.
Pechino sta per incassare un
dividendo enorme sul fronte dell’internazionalizzazione della sua divisa
che è (e resta) non convertibile. Una sorta di paradosso, al quale la
politica economica ha fornito una soluzione: lo yuan non è convertible
ma tradable. Non si può convertire, ma l’utilizzo massiccio nei traffici
commerciali – la Cina è il primo trader al mondo – ne fa una moneta
largamente utilizzata.
Quindi, si può fare. E si farà. Nonostante
l’impressione che negli ultimi tempi ci sia stato un rallentamento anche
nell’internazionalizzazione della moneta, legato, ovviamente, alla
frenata dell’economia cinese. E tutto ciò nonostante lo sforzo dei
vertici cinesi di espandere la valuta all’estero nei modi più disparati,
dalla costruzione di hub finanziari dedicati al clearing dello yuan,
agli accordi bilaterali per swap e cross-border yuan commerce.
L’ingresso
dello yuan nel paniere dei Dsp diventa così uno snodo cruciale per
Pechino. Il meccanismo è partito e il “capolavoro” di diplomazia
economica realizzato dal Governatore Zhou Xiaochuan, sempre più defilato
a vantaggio del vice Yi Gang, ma attivissimo sul fronte del Fondo
monetario internazionale – ricordiamo la sua lectio a Washington il 24
giugno scorso, una vera e propria summa filosofica basata sull’utilizzo
di tutti i tool monetari possibili e immaginabili – sta per compiersi.
La Banca mondiale ha appena annunciato la prima emissione di
obbligazioni denominate in yuan che verranno rimborsate in valuta
cinese.
Non solo. Pechino, appena entrata nel salotto buono delle
monete, dispensa lezioni di riequilibrio nelle relazioni economiche e
monetarie internazionali.
I diritti speciali di prelievo, dopo la
crisi del 2008, sono serviti a sostenere la liquidità mondiale e Pechino
guarda sì ai Dsp come a una finestra per l’internazionalizzazione dello
yuan, ma anche a una pietra miliare nella riforma del sistema
internazionale monetario.
La Cina si candida, quindi, a
protagonista della riforma dei diritti speciali di prelievo: in
occasione del G20 di Hangzhou che ha appena chiuso i battenti i Dsp sono
stati ventilati come lo strumento principe per riformare il sistema
monetario internazionale.
A capeggiare la proposta Zhang Tao, vice
governatore della Banca centrale cinese, uomo chiave del partito
comunista cinese nell’ambito della Banca centrale dallo scorso mese di
aprile. Insieme a Tao Kunyou e Hu Zhihao, due esperti di sistemi
monetari internazionali, Zhang Tao ha elaborato una tesi molto precisa
resa nota in occasione del primo G20 cinese.
Alla base c’è
l’apporto dato con la costruzione di una nuova banca multilaterale di
sviluppo, l’Aiib, che la Cina ha messo su in quattro e quattr’otto, con
l’obiettivo di sostenere la crescita globale facendo leva sul fabbisogno
di infrastrutture dei Paesi in via di sviluppo. Messo a segno questo
obiettivo, la Cina ha incassato a gennaio scorso la riforma del board
dell’Fmi, grazie alla quale il peso delle economie emergenti è stato
elevato al 6% e i voti cinesi al 6.071% dal precedente misero 3.8 per
cento. La Cina oggi è al terzo posto.
Un altro successo cinese sul
fronte internazionale è stato quello di ottenere un maggior controllo
sulla fuoriuscita di capitali, un fenomeno che per Pechino rappresenta
un problema particolarmente difficile da maneggiare.
È il
controllo della liquidità, in effetti, il vero cruccio cinese. Per
questo motivo Pechino ha premuto per entrare nel paniere, perché i
diritti speciali di prelievo rappresentano un utile supporto in caso di
crisi di liquidità. La Cina ha così agguantato la prima revisione utile
del paniere, perché la prossima è fissata addirittura al 30 settembre
del 2021.
I diritti sono anche diventati per un gruppo di Paesi
una sorta di ancora di salvataggio per i tassi di cambio basata sul
fatto che non c’è più soltanto una moneta a primeggiare sulle altre in
caso di crisi. Pechino tuttavia sottolinea come le ultime aste per
l’allocazione di Dsp siano risultate non particolarmente felici, la
quota attribuibile alla moneta del Fondo monetario è scesa al 2,5%.
Per questo c’è da procedere nella riforma dei diritti speciali di prelievo e la Cina si candida a guidarla.
Come?
Intanto lo yuan entra nel paniere con una quota del 10,92% dietro il
dollaro Usa (41,73) e l’euro (30,93), ma oltre lo yen (8,33) e la
sterlina (8,09).
Questo ha irrobustito lo yuan che diventa più
appetibile per le banche centrali come divisa di riserva, ma anche la
reputazione stessa della moneta ci guadagna, con l’effetto di
contribuire alle riforme interne, nonostante il rischio della turbolenza
dei mercati e l’instabilità dello stesso yuan.
Ma aggiungere lo
yuan al paniere vorrà dire che questo rappresenta il 60% del Pil
mondiale e il 90% delle esportazioni. Di fatto, i Dsp hanno un impatto
notevole sulla liquidità ma inferiore a quello sul sistema monetario
internazionale.
Questo spiega il succo della proposta cinese:
aumentare l’utilizzo, farne una vera moneta, utilizzarla non solo per
far far fronte alla liquidità, ma anche per renderla simile una moneta
sovranazionale, aprendola a utilizzi diversi tra cui l’emissione di
securities per investimenti privati. «I Dsp hanno le caratteristiche e
il potenziale delle riserve sovragovernative». Così parlò Zhou
Xiaochuan. E tanto è bastato a fare della Cina il primo sostenitore
della moneta del Fondo monetario internazionale.