Il Sole 29.9.16
Migranti, pochi ricollocamenti in un anno
Rapporto Commissione Ue. Bruxelles insiste con il meccanismo e chiede all’Italia di aprire nuovi hotspot
di Beda Romano
Bruxelles
A un anno dalla scelta di ricollocare in Europa i rifugiati giunti in
Italia e in Grecia, le ultime statistiche mostrano che i numeri
rimangono estremamente bassi, ma per ora la Commissione europea non
intende aprire procedure di infrazione contro i paesi in difetto. Nel
frattempo, si avvicina la scadenza dei controlli frontalieri in cinque
paesi dell’area Schengen, tra cui la Germania. Il rischio è che i
Ventotto decidano di rinnovare la misura, alla luce del difficile
contesto politico.
Secondo i dati pubblicati ieri dalla
Commissione europea, in un anno 5.651 persone sono state ricollocate
dalla Grecia (4.455) e dall’Italia (1.196). In totale tra il 2015 e il
2017, l’iniziativa prevede la redistribuzione di 160mila rifugiati
provenienti dall’Oriente e dall'Africa. Migliori risultati vi sono stati
sul fronte del reinsediamento di persone ancora fuori dal territorio
europeo: 10.695 rifugiati sono stati accolti nell'Unione, su un totale
previsto di 22.504.
Il ricollocamento dei profughi non piace a
molti paesi, soprattutto dell’Est Europa. Si discute sempre più
animatamente di “solidarietà flessibile”, come viene chiamata dai paesi
del Gruppo di Visegrad (Ungheria, Repubblica Ceca, Slovacchia e
Polonia). Anziché accogliere rifugiati, vorrebbero contribuire alla
strategia europea con contributi finanziari. Ieri il vice presidente
della Commissione europea Frans Timmermans ha esortato «i paesi che
possono fare di più ad agire urgentemente».
Ha precisato Dimitri
Avramopoulos, commissario all’Immigrazione: «I paesi hanno la
responsabilità legale di applicare le decisioni prese (...) Parlare di
diverse forme di ricollocamento non significa un cambio di politica
rispetto a quello che è stato deciso». Ciononostante, lo stesso
Avramopoulos ha spiegato che «non è sul punto di far scattare procedure
di infrazione» contro i paesi in difetto. Il tema del ricollocamento è
molto controverso, e Bruxelles cammina sulle uova.
Detto ciò,
Bruxelles si vuole ottimista sul futuro della redistribuzione. Esponenti
comunitari fanno notare che in parte il ricollocamento è lento non solo
per la riluttanza dei paesi di accoglienza, ma anche perché l’iter di
selezione nei paesi di arrivo è farraginoso e perché i profughi che
possono essere ricollocati devono appartenere a specifiche nazionalità
poco presenti almeno in Italia. Sempre a proposito dell’Italia,
Bruxelles ha chiesto ieri nuovamente l’apertura di nuovi centri di
accoglienza (hotspots).
Nel tentativo di frenare l’esodo verso
l’Europa, all’inizio dell’anno Bruxelles e Ankara hanno firmato una
controversa intesa che prevede il ritorno in Turchia ipso facto dei
rifugiati arrivati in Grecia, e da lì la loro eventuale partenza verso
l’Unione. L’accordo ha provocato «una netta e continua diminuzione»
degli sbarchi sulle isole greche, secondo l’esecutivo comunitario. Da
giugno, gli arrivi sono scesi in media a 85 al giorno, rispetto ai 7.000
al giorno registrati nell’ottobre 2015.
Dinanzi alla difficoltà
di controllare le frontiere esterne dell’Unione, alcuni paesi -
Germania, Austria, Svezia, Danimarca e Norvegia - hanno anche ottenuto
di poter introdurre controlli straordinari ai confini interni dell’area
Schengen. L’autorizzazione di sei mesi scade il 12 novembre. Nella
documentazione pubblicata ieri, Bruxelles non prende posizione su un
eventuale rinnovo. Si limita a notare che non ha in questo momento
motivo per proporre modifiche alla decisione presa in maggio.
Una
scelta su questo fronte non dipenderà solo dall’effettiva necessità di
meglio controllare le frontiere interne per via di difficoltà a
monitorare i confini esterni dell’Unione. La situazione politica avrà
senz’altro un ruolo. Il ministro degli Interni tedesco Thomas de
Maizière ha lasciato intendere il 21 settembre che a meno di sorprese
Berlino avrebbe chiesto il rinnovo della misura.