giovedì 29 settembre 2016

Il Sole 29.9.16
Renzi frena, slitta la riforma della giustizia
Il premier: «Non metto la fiducia contro i magistrati» - Per Orlando la via maestra resta la blindatura
di D.St.

ROMA «Il capo dei giudici, il dottor Davigo, dice che questi provvedimenti sono dannosi o inutili. Ho il dovere di ascoltarlo, è una persona assennata. Quindi ci penso due, tre, quattro, dieci volte. Non possiamo mettere la fiducia con una posizione così dura dei nostri amici magistrati». Così Matteo Renzi spiazza tutti, rimangiandosi quel che durante il lungo Consiglio dei ministri notturno aveva appena concesso, e cioè la possibilità di ricorrere al voto di fiducia per sbloccare il Ddl di riforma del processo penale. Qualche ora dopo, l’Aula del Senato approva la richiesta sottoscritta da tutte le forze della maggioranza di «inversione dell’ordine del giorno» e la riforma, su cui il ministro della Giustizia Andrea Orlando si gioca la sua credibilità politica, viene scavalcata dalla riforma sul cinema e rinviata. Forse a martedì.
La palla è sempre in mano a Renzi, che deve decidere se affrontare «il rischio» della fiducia senza la stampella dei verdiniani, e su un testo fortemente divisivo dentro e fuori il Parlamento, oppure imboccare la strada del “binario morto”, almeno fino al referendum del 4 dicembre. Orlando ancora si aspetta la fiducia; il binario morto sarebbe uno «smacco», ammettono nel suo entourage e nella sinistra Pd. Ha dalla sua il ministro dell’Interno Angelino Alfano, che assicura di aver fatto «un sondaggio» nel suo gruppo e quindi esclude rischi per il governo. Rischi che invece vede se si andasse al voto segreto, a causa dell’asse tra i «giustizialisti dei 5 Stelle e del Pd». Ma Renzi al momento rimane contrario e usa Davigo per giustificare l’ennesimo rinvio.
Due anni fa, il premier liquidò con un irridente «Brrr... che paura» le critiche dell’Anm sulla decisione del governo di tagliare le ferie ai giudici. I quali non gliel’hanno mai perdonata, a cominciare da Davigo, riconoscendo invece a Orlando di aver recuperato il filo di un dialogo costruttivo. Paradossalmente, oggi Renzi si presenta come l’uomo del dialogo con «gli amici magistrati» e, per quanto strumentale venga considerata fra le toghe la sua sortita, rende Orlando più vulnerabile anche con i suoi interlocutori abituali: magistrati e avvocati.
Ma è politicamente che la posizione di Orlando rischia di indebolirsi. Ieri, da una una riunione dei «Giovani turchi» (l’area Dem che fa capo a Orlando) è emerso un messaggio chiaro: «La priorità è che la riforma del processo penale vada in porto, È fondamentale per l’azione del governo e ci sono tutte le condizioni per approvarla presto e bene. Non ci sono subordinate». Dunque, la via maestra è la fiducia.
Eppure, l’ipotesi binario morto, che già serpeggia da tempo, da ieri circola con maggiore insistenza, perché per questa via Renzi sgombrerebbe il campo da un grosso inciampo politico con i suoi alleati interni (Ap) e esterni (i verdiniani) e potrebbe affrontare più sereno la campagna referendaria. Tra l’altro, la riforma del processo penale contiene norme di varia natura (penale, processuale, penitenziaria), molte delle quali poco popolari e perciò è destinata a scontentare molti, per motivi diversi. Dunque, non porta voti. Tecnicamente, al binario morto si potrebbe arrivare cominciando a votare i primi articoli e aspettando che governo e maggioranza inciampino in uno dei tanti voti segreti: a quel punto si porrebbe una questione politica nella maggioranza, che avrebbe buon gioco a chiedere il ritorno in commissione, in attesa di tempi migliori. Cioè dopo il referendum di dicembre.
Certo è che su questo provvedimento si sta consumando una crisi di fatto della maggioranza e, forse, anche tra due leadership politiche, quella del premier e quella di Orlando, che i sondaggi danno in crescita anche quanto a popolarità e fiducia.