Il Sole 27.9.16
Ancora raid su Aleppo
Se la Siria diventa un altro Afghanistan
Americani, britannici e francesi lasciano il consiglio di sicurezza Onu - Mosca rigetta le accuse
di Ugo Tramballi
Punire
la popolazione civile che sostiene l’opposizione o che semplicemente
continua a sopravvivere nei quartieri di Aleppo che ancora controlla. È
la tattica semplice e medievale che sta adottando il regime di Damasco,
con l’aiuto di iraniani, Hezbollah libanesi e russi, in ordine
d’importanza dell’impegno sul campo. Conquistare con la fanteria quella
parte della città costerebbe mesi e perdite gravi. I bombardamenti
indiscriminati dell’aviazione siriana e di quella russa, fanno prima e
meglio.
Così 250mila siriani – le donne, i vecchi e i bambini che
ancora vivono nei quartieri ribelli, «tutti terroristi» – rischiano ogni
giorno la vita, senza che niente e nessuno possa fermare la
carneficina. Era dai tempi della Guerra fredda, delle invasioni di
Ungheria e Cecoslovacchia o della guerra in Vietnam, che gli
ambasciatori non abbandonavano ostentatamente il Consiglio di sicurezza
Onu, mentre il loro avversario parlava: lo hanno fatto l’altra notte gli
americani, i britannici e i francesi, quando ha preso la parola il
rappresentante siriano. L’americana Samantha Power ha definito una
«barbarie» il comportamento russo; «retorica inaccettabile» ha risposto
il russo Dmitri Peskov.
Americani, britannici e francesi non hanno
la coscienza del tutto pulita nelle vicende vecchie e attuali del Medio
Oriente. E per questo sono giustamente criticati. Dal passato come dal
presente nemmeno l’Urss/Russia ne esce molto bene: fra un golpe qui e
una guerra per procura lì, Est e Ovest sono sullo stesso piano. Eppure
da qualche tempo la Russia gode di ottima stampa: chi dubita della sua
buona fede in Medio Oriente e che la determinazione di Vladimir Putin
garantirà successi a lungo termine, viene guardato con sospetto. È un
po’ come nei giorni dell’invasione americana dell’Iraq, nel 2003: chi
sosteneva l’inesistenza di una “pistola fumante” e dubitava che quella
fosse una “liberazione” e non, appunto, un’invasione, era considerato un
antiamericano.
Come allora con George Bush e la sua squadra di
Dottor Stranamore neoconservatori, oggi è vietato criticare Vladimir
d’Arabia che starebbe – lui sì - salvando il mondo dal pericolo del
terrorismo. È quindi “complottismo” pensare che l’intera vicenda della
tregua siriana pazientemente negoziata dall’inviato dell’Onu Staffan De
Mistura sia estremamente ambigua. Dopo tante fatiche diplomatiche e le
resistenze dei diretti interessati (il regime siriano e le opposizioni,
entrambi con l’ottusa convinzione di vincere la guerra civile), il
cessate il fuoco era entrato in vigore. Ma i siriani di Damasco avevano
impedito che gli aiuti umanitari arrivassero alle popolazioni stremate.
Il colpo di grazia alla tregua è stato dato dal bombardamento americano
che doveva essere sulle postazioni dell’Isis e invece ha colpito quelle
del regime. Forse un giorno si saprà chi aveva passato le coordinate sul
campo agli americani. Questi ultimi comunque avevano ammesso il grave
errore e si erano scusati. Quello che non hanno fatto il giorno seguente
siriani e russi col bombardamento della colonna di aiuti della Mezza
Luna Rossa: loro negano, ma le opposizioni non hanno l’aviazione.
L’infortunio americano è bastato tuttavia perché il regime e l’alleato
russo riprendessero la metodica eliminazione dei civili di Aleppo.
Questa
determinazione nel massacro ha una stretta logica politica. L’obiettivo
di Bashar Assad e del fronte che lo sostiene è ottenere il controllo
della fascia costiera e delle città più importanti, dove vive la
maggioranza dei siriani: per questo Aleppo è decisiva fino al punto da
giustificare una strage. I russi sostengono questa strategia: il loro
imperativo militare e politico è tenere in piedi e rafforzare un regime
amico.
Ma perché la Siria non diventi un altro Afghanistan,
l’impegno finisce qui: liberare tutto il Paese sarebbe troppo costoso e
sanguinoso. Ed è qui che dopo Aleppo, se alla fine la prenderanno,
finisce anche l’impresa comune: Assad, iraniani e Hezbollah vogliono
tutta la Siria, la vittoria di Aleppo li convincerà che l’obiettivo sia
raggiungibile, nonostante i costi tremendi. A quel punto la Russia di
Putin diventerà come gli altri, gli occidentali, che hanno mestato,
bombardato e alla fine si sono trovati con alleati più infidi dei
nemici.